II - Villa Lawrence

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Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere.

Charles Baudelaire


Quand'è che si smette di essere una famiglia?

C'è un'unità di misura che definisce se c'è abbastanza amore per potersi definire tale o è solo una questione burocratica, avere lo stesso cognome, lo stesso sangue che scorre nelle vene, la stessa eredità?

È qualcosa ti cui ti puoi liberare o che ti porti dietro per sempre fin quando non inali l'ultimo respiro?

Famiglia per Aria era qualcosa di irreversibile, appartieni ad essa fin dalla nascita e non te ne liberi, mai.

Ci aveva provato a lungo a disintossicarsi da quel cognome che le gravava sulle spalle, a dimenticare i loro volti, i loro nomi, le loro voci, a dimenticare com'era condividere la vita con loro, svegliarsi la mattina e ritrovarseli tutti quanti intorno al lungo tavolo della cucina.

Forse per un tempo si era anche illusa di esserci riuscita, non sentirne la mancanza era sinonimo di assenza, eppure in quel momento si trovava lì, difronte all'imponente villa che da secoli apparteneva ai Lawrence.

L'Upper East Side era conosciuto comunemente da tutti come il quartiere più ricco di New York, erano veramente in pochi a conoscenza invece Saint Breath, un piccolo paesino che sorgeva proprio lì al confine e che aveva la fortuna di ospitare una delle famiglie più ricche d'America.

Era stata eretta dal suo trisavolo e da quel giorno, generazione dopo generazione era stata abitata da un Lawrence dopo l'altro, camminando in quei lunghi corridoi, dormendo in quelle stanze dai soffitti incredibilmente alti, dando vita ad eventi sociali e grandi balli negli enormi saloni da cui pendono lampadari di cristalli come accade solo nelle favole più belle.

Era da sempre il loro quartiere generale, la torre di controllo e di comando di una famiglia che più e più volte si era atteggiata ad aristocratica ed era stata definita da famose riviste del calibro di Vogue e Forbes come la famiglia reale della Grande Mela.

Auto da corsa, da collezione o semplicemente automobili che erano la dimostrazione di un lusso sfrenato erano parcheggiate una accanto all'altra nei sotterranei, due enormi piscine si stagliavano una dopo l'altra nel grande giardino che precedeva la villa dall'imponente facciata che a tratti incuteva timore e a tratti stupore.

Era rimasta da sola là fuori, tutti gli altri avevano già varcato l'ingresso con molte meno cerimonie.

Ma lei sembrava come bloccata.

Ritornare lì, a vivere tra quelle spesse mura non significava solo ritornare nella sua vecchia casa, nella camera in cui aveva giocato da bambina, in cui da ragazza aveva studiato o visto un film con la sua migliore amica.

Significava molto di più...

Era come un viaggio indietro nel tempo, come ritornare bambina per davvero, a quando una famiglia c'è l'aveva ancora, ritornare ai giorni in cui le voci ancora risuonavano tra quelle enormi stanze, in cui quei corridoi non erano bui e portatrici di tristi verità, ritornare ai giorni felici in cui poteva ancora sorridere nell'abbraccio di una madre che avrebbe fatto qualunque cosa per lei.

Un'improvvisa folata di vento la colpì in pieno e lei si strinse nella leggera giacca nera che portava sulle spalle.

La porta d'ingresso si chiuse e quel forte rumore sembrò trasportarla per davvero ai giorni in cui lì dentro viveva una vera famiglia e non solo delle persone che un tempo lo erano state.

Vide se stessa da bambina correre spensierata e buttarsi a terra, rotolarsi, lasciarsi avvolgere e accarezzare le piccole guance dai leggeri fili d'erba di quel prato ben curato.

I capelli neri e lunghi erano completamente scompigliati, diventati un tutt'uno con l'erba bagnata.

Le si avvicinò pian piano per paura che potesse scappare e correre via insieme al vento che l'aveva portata a pochi passi da lei, e quando fu abbastanza vicina da poterle vedere vividamente i dolci occhioni e le piccole labbra pallide, ebbe la sensazione che le stesse sorridendo. Forse si era riconosciuta ed era fiera della donna che era diventata, o forse non era a lei che stava sorridendo.

Le arrivarono all'orecchio altre voci, voci che conosceva fin troppo bene, che nonostante gli anni, la lontananza, l'odio ed il dolore non era mai riuscita a dimenticare del tutto, nonostante l'avesse tanto voluto e ci avesse provato e sperato in tutti i modi possibili e inimmaginabili.

Erano Gideon e Nicholas.

Anche per loro il tempo sembrava essere tornato indietro, erano bambini come lei.

«Ariaaa!» urlarono contemporaneamente e lei non potette fare a meno di voltarsi.

Si stesero al fianco della piccola e le presero le mani.

«Andatevene via» la piccola Aria mise il broncio senza alcuna intenzione di perdonarli.

«Scusaci, ci dispiace» mormorò Gideon per entrambi.

Peccato che con il tempo gli sbagli, gli errori e le mancanze per cui chiedere scusa e farsi perdonare erano aumentati e loro tre si erano sgretolati in un battito di ciglia, insieme al tempo che gli sfuggiva incontrollato dalle mani.

Restò per qualche altro secondo ad osservare quel ricordo prima che un'altra folata di vento la investisse in pieno e trasportasse la sua mente ad un altro ricordo.

Anche quella volta correva, ma aveva una valigia tra le mani e nessun sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra.

E allora capì subito.
Era il giorno in cui era scappata via.

Non si era guardata indietro neanche una volta, non voleva imprimere nulla nella sua mente, voleva semplicemente dimenticare, ma le urla di Nicholas che gridavano il suo nome facevano male e non l'aiutavano per niente.

Percepì di nuovo quell'assurda sensazione di essere in bilico su un filo del rasoio, un solo passo falso e sarebbe precipitata.

Era quella la sua più grande paura: non essere abbastanza forte da riuscire a contrastare l'oscurità che a volte, inevitabilmente, tornava a bussare alla sua porta, irruente come solo i peggiori temporali sapevano esserlo.

Cercava di non pensarci ma era impossibile chiudere gli occhi e discollegare la mente quando quei momenti la invadevano completamente.

Quella volta però le bastò scuotere la testa e quel ricordo scomparve così com'era comparso, e i suoi occhi furono di nuovo pieni del perfetto connubio tra antico e moderno che componeva la villa.

Salì gli ultimi gradini, si trascinò la pesante valigia dietro di sé, senza curarsi del fatto che stesse rovinando il delicato marmo bianco della scalinata, e poi finalmente prese coraggio ed entrò.

Si buttò tutto alle spalle e finse che quella fosse la prima volta che ci metteva piede, ma era impossibile fingere di non ricordare, tutto le urlava che un tempo lei lì era stata felice, che aveva trascorso i più bei momenti della sua infanzia, che quelle mura erano state scenario dei suoi primi passi, delle sue prime parole, dei suoi primi successi.

Era impossibile fingere di essere una semplice visitatrice che si ritrovava con la bocca spalancata nell'osservare quel grande quadro appeso lungo la scalinata che portava al piano superiore.

Ritraeva tutta la famiglia sorridente, i bambini seduti davanti e gli adulti a coppie di due alle loro spalle. C'erano tutti, i suoi genitori, i suoi zii, suo cugino, i suoi fratelli e infine c'era anche lei seduta proprio tra di loro.
Sembrava il ritratto ufficiale della famiglia reale.

Ma ancora una volta rabbrividì al pensiero di quella parola, di famiglia non c'era più niente, neanche un ricordo sbiadito.

E quella non era più casa sua, perché col passare degli anni era cambiata incredibilmente ed ormai ogni traccia di sentimentalismo era volato via, si era dissolto del tutto. Casa era solo quella indicata sull'atto di proprietà.

AriaWhere stories live. Discover now