XXVII - Ascoltami, ama chi vuoi

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Tu insegnami come si fa
ad imparare la felicità.

Michele Bravi - Inverno dei fiori





Esiste una sensazione strana con cui ti metti a letto alcune sere e che non smette di tormentarti fino al momento in cui chiudi gli occhi e ti addormenti

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Esiste una sensazione strana con cui ti metti a letto alcune sere e che non smette di tormentarti fino al momento in cui chiudi gli occhi e ti addormenti.

Poi, però, eccola lì che ritorna e ti fa sobbalzare durante il sonno, come se stessi precipitando da un grattacielo.

Un respiro.

Due respiri.

Tre respiri.

Apri gli occhi e ti accorgi che sei tutto intero, perfettamente intatto.

Ad Aria capitava molto spesso.

Quando viveva a Parigi l'unico modo per riempire quella sensazione di vuoto era rigirarsi innumerevoli volte nel letto, cercando di trovare il lato più comodo e la parte più fredda del cuscino.

New York, per quanto le venisse strano ammetterlo, era casa sua e solo lì aveva un modo super efficace per riuscire a colmare completamente quel vuoto.

Si alzò di fretta e indossò le prime cose che trovò a portata di mano. Aprì la porta della stanza con ancora una scarpa tra le mani e nel mentre raggiungeva le scale cercava di infilarsela facendo attenzione a non cadere. Una volta fuori si precipitò nell'unico posto dove i suoi pensieri si attenuavano e non pesavano più di tanto. Attraversò il piccolo ponte - che sostituiva quello che una volta tutti chiamavano comunemente Ponte Crescent - e si guardò intorno, come se non avesse mai visto quel posto. Gli alberi dall'altra parte della riva, quegli alberi che formavano un piccolo boschetto che delimitava il confine con il quartiere confinante con Saint Breath, erano spogli. Solamente poche foglie erano ancora attaccate ai rami che avevano tutta l'aria di essere sul punto di spezzarsi da un momento all'altro.

Le venne in mente uno dei primi giorni del suo ritorno a New York quando ne aveva abbastanza dei lamenti di Nicholas e si ritrovò sul vecchio molo a pensare, prima che l'ombra e il riflesso di Beth comparissero davanti a lei come per magia.

Imitò quegli stessi movimenti: si affacciò verso il fiume Hudson e intravide il suo riflesso, ma non era l'unico.

Più in là c'era un'altra persona, che aveva tutta l'aria di essersi persa.

«Hey» disse solamente girando la testa verso di lui «Che ci fai qui?»

Il ragazzo sprofondò con il corpo sull'erba e portò le mani al viso per coprirsi gli occhi straripanti di lacrime.

Aria aveva incrociato tanti occhi in giro per il mondo, aveva imparato a capire le persone con un solo sguardo: che fosse gioia, felicità, ansia, rabbia, delusione, tristezza o dolore.
In quei due occhi castani ci vide un misto di emozioni e per un attimo le ricordarono i suoi prima di partire per la Francia.
Ricordava perfettamente quel momento, il suo riflesso allo specchio, il rumore del treno, e New York che diventava solo un vecchio ricordo.

«Aria io...» esclamò piano tra i singhiozzi «Io ho combinato un casino. Non so che fare... mi sento male, non riesco a respirare, ti giuro che mi manca il respiro...»

«Calmati» lo afferrò per le spalle e lo sollevò lentamente, poi gli scoprì il viso e passò una mano sotto i suoi occhi per asciugare tutte le lacrime «Se fai così è peggio, respira lentamente»

Il ragazzo si passò una mano sporca di terra sui pantaloni e fece come lei gli aveva sussurrato, respirò lentamente e una leggera brezza gli arrivò sul viso. In quel momento si sentì immediatamente meglio, ritornò a pensare con lucidità e fece un grosso sospiro di liberazione.

«Cos'è successo?»

«Mi hanno cacciato di casa...» sussurrò mentre altre lacrime ricominciarono a scendergli sul viso «I...io non... ce la faccio»

Aria gli prese il volto tra la mani e soffiò delicatamente sui suoi occhi «Jannis respira, non perdere la calma...»

Il cugino annuì lentamente e ricominciò a parlare «Papà mi ha scoperto...»

«Che ha scoperto?»

«Una cosa che nascondo da troppo tempo»

«Vale a dire?» insistette.

«Ha scoperto che io... che io so... sono omosessuale»

«Per questo ti hanno cacciato di casa?»

«Mi ha visto al Rumours... poi l'ha detto alla mamma...» parlò velocemente senza neanche far caso a cosa realmente stesse dicendo «Hanno cominciato ad urlare, non si capiva più niente. Mi hanno detto che faccio schifo, che sono una nullità, che ormai per loro non sono più nessuno. Mi hanno guardato dritto negli occhi e mi hanno urlato contro che non sono più loro figlio. Hanno buttato i miei vestiti in mezzo alla strada...» esclamò quelle ultime frasi con un tono disperato, segnato dai singhiozzi e dalle mille lacrime.

«Jannis» lo richiamò non lasciandogli le mani dalle guance «Ascoltami, ama chi vuoi»

«Aria tu non capisci...» si alzò e camminò verso la riva del fiume.

«E invece ti sbagli, io sono l'unica persona che può capirti. Anche io mi sono ritrovata per strada proprio come te. Sono stata male come te, per un motivo ben diverso, vero, ma che importa? Il dolore non si può misurare, ma so perfettamente che il dolore che ho provato io sei anni fa è lo stesso che stai provando tu ora. L'unica differenza è che tu, ora, non sei solo»

Il ragazzo si voltò verso la cugina e gli rivolse un leggero sorriso, uno di quei sorrisi che si fanno quando si scorge una luce nel lungo tunnel buio.

«Grazie Aria»

Lo abbracciò stringendolo forte a sé per far sì che non si rompesse in mille pezzi «Se c'è una cosa che ho sempre saputo è che Saint Breath è una vera tortura e che la famiglia Lawrence non porta mai niente di buono» riuscì a strappargli un altro sorriso «Tu però non nasconderti per tutta la vita solo per essere accettato da loro... sii libero di essere chi sei realmente, sentiti più che libero di amare chiunque tu voglia»

Jannis a quelle parole si sentì per la prima volta in vita sua ben voluto, protetto e completamente in pace con se stesso. Come se avesse appena ritrovato la sua casa e non quella in cui ogni giorno aveva il terrore di ritornare.

«Non dobbiamo perdere tempo a rincorrere cose impossibili, irrealizzabili, futili, senza un reale interesse. Non dobbiamo sprecare tempo a cercare di essere persone che non siamo, semplicemente perché la gente attorno a noi si aspetta che siamo ciò che vogliono loro. Non siamo nati per accontentare gli altri, siamo nati per essere noi stessi. E che differenza fa se tu ami un uomo anziché una donna? Ti rende meno uomo? No, e se le gente pensa questo di te, tu urlagli in faccia che questo ti rende più umano di tutti loro messi insieme» lo guardò dritto negli occhi e gli rivolse un debole sorriso sincero «Un poeta, in una delle sue tante poesie, scrisse che l'amore è l'unico appiglio in un mondo di mostri, e per quanto io non sia una grande amante dell'amore credo che questa frase faccia al caso tuo al momento»

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