41. Being important pt I

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Montecarlo è sempre la tappa più fashion del calendario di Formula Uno. Sfilate di moda, eventi sportivi per beneficenza, party sugli Yacht: i piloti con contratti annuali pluri-milionari sembrano quasi poveri in confronto ai VIP che girano nel paddock.

VIP - pensava Elsa, che ha sempre amato soffermarsi sui significati delle parole - "Very important person"... il problema è 'important' per chi.
Anche Elsa, da ragazzina, ha sognato di diventare famosa, di essere una di quelle persone che tutti vogliono incontrare, tutti vogliono fotografare... insomma, una persona importante. Alla fine lo è diventata, senza averlo nemmeno troppo cercato, mentre faceva il suo lavoro in un posto pieno di persone importanti.
Eppure, ogni sera, mentre si guarda allo specchio lavandosi la faccia, si sente insignificante. Il suo viso è pubblicato in migliaia di foto sul web, ora anche in un video su YouTube con milioni di visualizzazioni, ma la sera, quando si toglie il trucco e si scioglie i capelli, non c'è nessuno riflesso allo specchio accanto a lei che le dia un bacio sulla guancia per augurarle buona notte.

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Elsa stava camminando da una parte all'altra del paddock per cercare qualcosa da mangiare a pranzo prima della sessione di prove libere del venerdì pomeriggio. In giro c'è molta gente, ma, stranamente, nessuno sembra interessarsi a lei, infatti nessuno la ferma per chiederle qualcosa come succede sempre... da un po' di tempo addirittura ci sono fan che le chiedono di fare una foto con lei. Elsa non sa cosa rispondere a questa domanda, non vuole sembrare scortese, infondo cosa le costa mettersi in posa per una foto... ma dall'altra parte le sembra così strano e anche un po' sbagliato: lei fa solo il suo lavoro, non ha motivo di avere dei fan. Comunque, almeno per oggi, sembra che ci siano persone più importanti di lei a rubarle la scena, occupando fan e fotografi. Così, per una volta, sta camminando indisturbata tra la gente. A un certo punto, il cellulare che tiene nella tasca dei pantaloni inizia a squillare. Lo prende, legge il suo nome sullo schermo.

Aaron

Sono passati quasi tre anni dall'ultima volta che ha sentito la sua voce, l'ultima volta che l'ha guardato negli occhi, il giorno in cui si è voltata indietro per l'ultima volta attraversando il gate dell'aeroporto. Lui era lì a guardarla andare via, senza dirle niente se non "buon viaggio". Jack era in braccio a lui, la salutava con la mano, aveva uno sguardo triste, come se avesse capito. Lei aveva sorriso e, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, aveva preso l'aereo e non era più tornata.
Ricorda l'ultimo sguardo, ma non l'ultimo bacio. Un paio di volte aveva provato a pensarci, a tornare con la mente a quegli ultimi giorni vissuti a Washington, per cercare di ricordare l'ultima volta in cui si erano guardati negli occhi come due veri innamorati, l'ultimo sospiro, l'ultimo bacio.
Forse era stata una sera, al suo rientro dal turno di giorno in ospedale, o forse in piena notte, quando Aaron tornava da uno dei suoi viaggi in cui attraversava l'America risolvendo casi per l'FBI... più probabilmente era stato uno di quei baci veloci, appena finita la colazione, mentre entrambi si preparavano ad uscire per andare al lavoro e portare Jack a scuola.
Non le viene in mente nulla. Gli ultimi giorni in America erano stati più pieni di lacrime che di baci, quando se n'era andata ormai il loro amore era svanito già da tempo. Aaron le manca come amico, come una delle persone importanti che avrebbe voluto avere accanto per parlare, scambiarsi consigli, condividere qualcosa, ma non come compagno.
Ma da quel momento, dall'ultima volta in cui aveva guardato il suo sorriso, non era passato nemmeno un giorno senza che pensasse a Jack. Lo immagina prepararsi per andare a scuola, giocare al campo da calcio, fare merenda... e poi lo immagina la sera mentre Aaron lo mette a letto. E si chiede se mai anche lui la pensi dicendo le preghiere prima di addormentarsi.

Non era più tornata.

Aveva pensato spesso di scrivergli, di chiamarlo, di farsi sentire, di rincontrarli. Ma non sarebbe stato giusto. Lei e Aaron erano adulti, sarebbero potuti rimanere amici, sentirsi ogni tanto, farsi gli auguri di Natale. Ma Jack aveva solo quattro anni, e aveva perso la sua vera madre quando ne aveva solo due. Non avrebbe capito. Si sarebbe illuso che prima o poi lei sarebbe tornata, avrebbe continuato a credere che potesse essere lei la cosa più vicina a quello che i suoi coetanei chiamano "mamma". E ad ogni telefonata sarebbe diventato felice per qualche secondo e poi subito triste e deluso per lunghe settimane, forse mesi, fino alla telefonata successiva. Elsa sapeva bene come vanno queste cose.
Non aveva mai smesso di pensarci, di chiedersi come sarebbe la sua vita ora, se avesse trovato la forza di restare. Ci aveva messo tanto tempo a convincersi che la sua vita non era quella a cui aveva rinunciato, ma non aveva mai smesso di sognare di avere Jack tra le braccia e non aveva mai smesso di chiedersi se un giorno si sarebbe innamorata di nuovo, di un uomo buono quanto Aaron.

Ma i "se" "forse" "magari" non ricostruiscono la vita che hai lasciato indietro. Nel frattempo il tempo scorre, e sembra alleviare il dolore, ma in realtà l'effetto è quello di un po' di aria fresca su una scottatura della pelle: appena il vento smette di soffiare, il dolore ritorna.

Tutti questi pensieri le passano davanti mentre legge il suo nome sullo schermo del suo cellulare, che la colpisce come una pugnalata che sente dritta al cuore, e allo stesso tempo come una secchiata di acqua gelida che la scuote dai suoi pensieri, da tutto ciò che aveva fantasticato sulla sua storia finita, e la riporta alla realtà. Aaron esiste ancora, non è rimasto chiuso in un libro di fiabe riposto sullo scaffale.

Vorrebbe rispondere, davvero. Ma non ci riesce, le sue dita non si muovono, non scorrono sullo schermo per accettare la chiamata. Aspetta troppo, forse anche dall'altra parte non c'era troppa convinzione e il nome sullo schermo scompare, al suo posto rimane solo una notifica di chiamata persa.
La mente di Elsa rimane come svuotata, da tutto, perfino dall'ossigeno, perché si rende conto di aver passato quasi due minuti immobile fissando il cellulare senza respirare. Si sente malissimo, vorrebbe svenire anche solo per non sentire tutto il dolore che le sta crollando addosso.

In quel momento, immobile in piedi con la folla che continua a scorrere come un flusso continuo camminando alla sua destra e alla sua sinistra in entrambe le direzioni, mentre i suoi occhi fissano il vuoto, la trova lui. Daniel.
"Elsa? Stai bene?"

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Spazio autrice
Ciaoo, scrivo qui solo per salutarvi, e per ringraziarvi ancora una volta di leggere quello che scrivo. Grazie in particolare a chi mi dà consigli e spunti su cosa scrivere, sto provando a seguirli, spero di essere all'altezza. Mi dispiace di aggiornare poco spesso, purtroppo sto scrivendo anche la tesi, ed è un bel po' più difficile di una fanficion, anche se, paradossalmente, questa la leggono molte più persone. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo un po' più dark e drammatico (per chi si fosse perso il resto della storia di Elsa consiglio di rileggere il capitolo 14)... nel prossimo i piloti - uno in particolare - saranno più presenti, promesso!
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Are You Ok || Formula 1Where stories live. Discover now