77. Panico

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In tutta la sua vita, in tutte le città e i continenti che ha girato ricominciando sempre da capo, Elsa non si è mai sentita così sola come in quel momento, mentre appoggia la testa al sedile del taxi che la sta riportando in albergo di Melbourne non lontano dal circuito dove ha appena finito di sorvegliare la giornata di prove libere.

Sente scendere dalle guance due rivoli silenziosi di lacrime salate, fuori il sole sta tramontando, la città è bella, la giornata di lavoro è andata bene, Carlos ha passato tutti i test medici ed ha superato bene anche le FP2, correrà il gran premio e potrebbe perfino vincerlo.
Ma lei, di tutto questo non sente niente.

Non vede più il cielo, non sente più le voci e le chiacchiere delle persone, non riconosce più i sorrisi. Tutto quello che sente è un grande, profondissimo, vuoto nel petto. Come una voragine che la trascina da dentro. Il dolore è così forte che vorrebbe smettere di respirare, per chiudere gli occhi e non sentirlo più.

La cosa peggiore è non avere nessuno con cui parlarne. Nessuno con cui condividere quello che prova, nessuno che sia lì con lei ad ascoltarla, a prendere sulle sue spalle un po' del peso che sente dentro per aiutarla a portarlo. Ha pochi amici nel mondo, e quasi tutti ora si trovano nell'altro emisfero.

Alla fine della seconda sessione di prove libere aveva visto da lontano Daniel che camminava verso il motorhome per raccogliere le sue cose e tornare in albergo. Lei stava camminando nella stessa direzione e aveva accelerato il passo per provare a seguirlo, avvicinarsi a lui e trovare una scusa per provare a parlargli, ma lui non si guardava intorno, era circondato da una nuvola di giornalisti, fotografi e addetti stampa.

Di certo di problemi ne aveva abbastanza anche lui, con la pressione che gli mettevano i media riguardo al suo futuro e al confronto con il suo compagno di squadra... e poi era la gara di casa, ovvero la gara in cui gli occhi di tutti sono su di te.

Daniel sorrideva sempre davanti alle telecamere, ma Elsa, che ormai aveva imparato a conoscerlo anche troppo, sapeva benissimo che quel sorriso non era più vero di quello che lei stessa da più di cinque giorni continuava a mostrare a tutti per nascondere la voragine che sentiva aprirsi dentro di lei.

Entra in albergo tenendo la testa bassa, cercando di nascondersi sotto al cappellino da sole nero che si era portata al circuito per le ore più assolate e che non ha assolutamente alcun senso indossarlo ora che è quasi buio ma che spera possa aiutarla a nascondere la sua faccia.
La faccia di cui si vergogna, non solo per le guance ancora umide di lacrime.

Ma mentre attraversa la hall cercando di andare il più in fretta possibile verso l'ascensore, per sbaglio, va a sbattere contro qualcuno.

"I'm sorry" dice in inglese continuando a camminare senza alzare lo sguardo verso il tizio che ha urtato, sperando anche lui continui semplicemente a camminare nella direzione in cui stava andando senza fare caso a lei.
Vana speranza.

"Ohi Elsa, sei tu! Ciao! Scusami che ti ho colpito, che sbadato... Come stai? stai tornando ora dal circuito?"

"Ehm, ciao Andrea... sisi, sto tornando ora dal circuito... scusa, sono un po' stanca..."

Andrea Ferrari è, tra tutti i personal trainer e le varie persone che ruotano attorno ai piloti, quello con cui Elsa ha legato di più, da subito, dal primo momento in cui si sono incontrati quando gli ha chiesto se voleva accompagnare Charles fin dentro l'ambulatorio alla prima visita.

In realtà non si sono mai frequentati più di tanto, si sono sempre incontrati per motivi di lavoro, per Charles... ma anche solo passare insieme a lui e al resto della compagnia un paio di giorni in montagna per Elsa era stato divertente come ai tempi dell'Erasmus quando viveva spensierata in un minuscolo appartamento pieno di ragazzi come lei.

Are You Ok || Formula 1Where stories live. Discover now