9. Hurts pt II (LEC)

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Elsa arriva in camera, apre la porta che era rimasta socchiusa.
Charles è seduto sul letto, con la mano destra avvolta in un asciugamano, lo intravede solo grazie alla luce dei lampioni che entra rigata dalle tapparelle alla finestra.
In un attimo la forma di quella luce riporta Elsa dentro una di quelle lunghe notti di Chicago. Con un respiro più profondo degli altri riesce a non naufragare nei ricordi e toglie lo sguardo dalla finestra.
Ha gli occhi lucidi, qualcosa di simile a lacrime inesplose di rabbia, delusione, dolore, solitudine.

Gli sorride, è sicura che il suo sorriso si veda anche al buio.
Si siede accanto a lui per un momento, in modo da guardarlo negli occhi, senza dire niente.
Sembra Kay il bambino della favola della Regina delle Nevi, che è stato colpito al cuore da una scheggia di ghiaccio.
Elsa gli dà un bacio sulla fronte, forse un po' troppo dolce per quanto lui si aspettasse, ma è quello che gli basta per cominciare a sciogliersi.
Poi si alza, stacca la lampada dal comodino, la accende e la appoggia sul tavolino vicino alla finestra.

Prende il kit da suture nella borsa, stende sul tavolo il telino sterile.
"Vieni" gli dice, indicando una delle due sedie al tavolo. Si mette i guanti e gli toglie l'asciugamano, la mano è ancora piena di vetri.
"Faccio piano ma ti farà un po' male... se ti fa troppo male dimmi"
Prende la pinzetta e comincia a togliergli le schegge di vetro una alla volta, lui stringe i denti, e ogni tanto si lascia sfuggire qualche gemito di dolore, Elsa è concentrata sul suo lavoro e non parla, ma alza continuamente lo sguardo per guardarlo negli occhi e capire se riesce a sopportare il dolore o se è troppo e deve fermarsi. Ma lui non cede.
Nonostante non abbia una soglia del dolore molto alta, sembra che non gli importi nulla, anzi. Forse vorrebbe che quel dolore alla mano fosse ancora più forte, fino a fargli dimenticare quello che sente dentro.

"Ho quasi fatto, ma il taglio è abbastanza profondo... qui devo metterti almeno 4-5 punti..."

"Potrò correre lo stesso la prossima settimana?"

"Si, se non ti farà troppo male sì. Ma per togliere i punti ci vorranno almeno dieci giorni."

"Cosa c'è nella siringa?"

"Anestetico locale, così sentirai meno dolore... non credo basterà perché il taglio è in un punto un po' delicato e alla fine fa male lo stesso, ma per le droghe pesanti mi sto ancora attrezzando, riprova la settimana prossima"
Lo guarda, lui non ha capito.
L'italiano, l'ironia e tutto ciò che non fa parte del ristretto ambito del motosport lo disorientano.

"Sto scherzando eh, poi lo sanno tutti che è meglio cominciare dalle canne."
Ridono, sta volta l'ha capita.

Ha bisogno di pensare ad altro, com'è possibile che la sua testa viva ventiquattrore al giorno dentro quella benedetta macchina?

"Sai, Charles... Il buio di questa stanza, il tavolino con la lampada... Mi ricordano notti di quasi 6 anni fa. Quando avevo 24 anni ed ero appena arrivata a Chicago"
Lui la guarda, sembra interessato.
Lei allora decide di continuare a parlare mentre lavora. A parlare di sé in un modo che non aveva mai fatto con nessuno prima.

"Quando sono arrivata in America avevo la laurea italiana in medicina, avevo fatto parecchie ore di tirocinio in ospedale e credevo di sapere abbastanza bene l'inglese... Ma poi sono entrata in quel posto che sembrava un incubo. Tutti correvano, arrivavano ambulanze ogni 5 minuti, dovevi imparare e fare allo stesso tempo, e spesso era prima fare e poi imparare. Urlavano raffiche di parole americane incomprensibili. Al mio primo giorno in pronto soccorso mi sono tirata indietro almeno 5 volte, lasciando fare il lavoro a un altro specializzando mente io rimanevo ferma impalata a guardare: continuavo a non capire cosa dicessero e cosa volessero da me.
A un certo punto sono scappata, ho aperto una porta a caso, speravo solo di trovare un angolino per piangere.

La stanza era buia, con la luce dei lampioni che entrava a strisce dalle tapparelle alle finestre. C'erano 5 tavolini con una lampada accesa, sembravano i tavoli della biblioteca dell'università, mi piaceva molto andare lì a studiare di sera.

Purtroppo niente libri, solo un paramedico e cinque persone in attesa. Tutti e 6 girati a guardami. Stavo per dire che avevo sbagliato stanza e andarmene, ma il paramedico mi dice < ah ecco, finalmente! Avevo chiesto il cambio due ore fa! Buon lavoro, ci si vede > si alza e se ne va senza che io riesca a rispondergli. Rimaniamo solo io, una dottoressa inesperta in un paese straniero, e cinque persone con tagli in varie parti del corpo da ricucire
Non so perché non sono scappata. Mi sono seduta e ho finito la sutura che il paramedico aveva lasciato a metà. Ho cominciato a chicchierare coi pazienti, abituandomi all'    accento americano. Ho conosciuto persone con storie incredibili, tutte diverse e tutte finite per caso nella mia sala suture. Sono rimasta chiusa lì dentro per tutta la notte, continuando a lavorare. Mi sono addormentata alle 4 del mattino appoggata al tavolino e tre ore dopo mi sono svegliata ritrovandomi faccia a faccia con un energumeno col giubbotto di pelle  che mi ha detto qualcosa tipo < Ehi bell'addormentata mettimi i punti alla mano o te li metto io dopo averti spaccato la faccia >.
Ecco, quel risveglio è stata la metafora di tutti i miei 4 anni di specializzazione in America. Però almeno a mettere punti  sono diventata brava."
Charles la guarda incantato mentre la ascoltava parlare l'aveva seguita nel suo mondo, come in un film.

"Sei diventata brava davvero" le dice sorridendo mente Elsa gli ferma la fasciatura sul polso.

"Grazie, la prossima volta ti insegno"
Gli risponde facendogli l'occhiolino e rimette a posto la lampada sul comodino e gli strumenti nella sua borsa.

"Ora te ne vai?"

"Si, torno nella mia camera al piano di sotto a dormire un po'..."

"..."

"Tutto ok?"

"Si, solo... Pensavo... Il mio letto è grande... Se vuoi posso prestartene metà e dormi un po' qui... "

Elsa sorride, lo abbraccia forte mentre finalmente quelle lacrime trattenute per troppo tempo gli scorrono piano sugli zigomi.
"È tutto ok. Resto. Dormo qui con te stanotte."

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C. Andersen, La regina delle Nevi, 1844
G. Gozzano, Invernale, da I colloqui, 1911

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