13. Mindgames pt I (HAM)

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Non lo sopporto. È impossibile.

In pochi mesi di lavoro nel mondo della Formula Uno, Elsa si è ambientata alla grande. È riuscita a realizzare molti dei suoi progetti, introdurre i nuovi dispositivi e i nuovi protocolli che aveva scritto, ma soprattutto stringere legami di fiducia... E forse anche vera amicizia con molti piloti.
E questo la rende invincibile nel suo lavoro.
Addirittura per Charles, Pierre e quasi tutti i giovani piloti è diventata un punto di riferimento... La chiamano anche quando hanno solo bisogno di parlare un po'...
Ma.
Ma non è così con tutti. Alcuni non li ha ancora mai incontrati al di fuori delle visite di controllo, ed è per questo che li conosce poco, ma è normale, infondo è arrivata da poco.
Ma con lui no, non è una questione di conoscersi poco o non aver avuto il tempo di parlare. No, lui le ha dichiarato guerra. E lei non ha intenzione di firmare alcun armistizio.

The Black King. Il più grande di tutti. Il **volte campione del mondo, dove Elsa usa gli asterischi perché il suo cervello ferrarista, anche volendo, proprio non riesce a contarli i titoli mondiali che non appartengono a Schumacher.
Elsa è nata ferrarista, ma nel momento in cui ha messo piede nel paddock come dipendente FIA ha giurato a sé stessa che sarebbe stata imparziale. E lo è, non favorirebbe mai e poi mai la Ferrari e non danneggerebbe mai nessuno per favorire la Ferrari.

La prima volta che l'aveva visto guidare dal vivo, l'aveva anche guardato ammirata.
Lewis Hamilton guida come una macchina da gara. Come se fosse al simulatore con le traiettorie impostate al computer. Al primo sguardo, aveva capito che lui non è come gli altri. E non lo sarà mai.

L'aveva visto di persona per la prima volta il giorno del suo debutto, al Drivers Briefing quando si era presentata a tutti i piloti, aveva cercato i loro sguardi, uno per uno. Sapeva leggere molte cose negli occhi.
Ma i suoi sembravano vuoti.
Come un muro, una lastra di marmo impenetrabile che riflette solo la tua immagine facendoti sentire sola e impotente.
Lewis era seduto in terza fila, posto laterale. La posizione perfetta per tenere sotto controllo tutto e tutti.
Faccia annoiata, postura anche troppo accomodata, con la caviglia destra sopra il ginocchio sinistro. Parla senza scandire le parole, come se farsi capire non fosse un problema suo.
Elsa aveva provato a sorridergli.
In tutte le persone un sorriso provoca una reazione, uguale o contraria, come in fisica: chi risponde con un sorriso gentile, chi con un sorriso sorpreso e sincero, con un sorriso falso di cortesia, chi con un espressione di disprezzo che cerca di mascherare con una smorfia.
Niente. Assolutamente niente.
Per lui non esisto.

Poi era venuto il tempo di iniziare a lavorare. Il suo check up, prima dei test di febbraio, era stata la visita più silenziosa che avesse mai fatto. Rispondeva a monosillabi, solo se interrogato. Mentre lo visitava Elsa pensava che perfino al suo primo giorno in Kenya, quando ancora non sapeva nemmeno una parola di Swahili, aveva parlato di più con i pazienti. Per questo le veniva da ridere, e decise di non nasconderlo. Sperava che lui le chiedesse che cosa c'era da ridere, così avrebbe provato a iniziare una conversazione.
Nulla. Neppure l'espressione di disprezzo che si legge negli occhi della persona a cui stai ridendo in faccia senza motivo.
Con i suoi colleghi aveva parlato poco di più, forse qualche frase accessoria con quelli che conosceva già.

Dall'inizio dell'anno al decimo weekend di gara non si era mai presentato, nemmeno per sbaglio, in orario a un appuntamento.
Spesso non si presentava affatto, o veniva quando Elsa era impegnata in una riunione in modo da farsi visitare da un suo collega e firmare tutte le carte uscendo dal centro medico senza mai incontrarla.

Ci sono ragazzini che marinano la scuola con più eleganza.

Elsa non pensava che fosse maschilista.

Lewis l'aveva vista arrivare nel mondo in cui era l'unico sovrano, come dalla spiaggia si guarda un uragano.
Lei brillante, attraente, intelligente, affascinante, e perfino gentile. Alla decima parola del suo discorso aveva già conquestato tutti.
Elsa era una minaccia, incontrollabile. Come un acido in grado di corrodere l'armatura in cui aveva racchiuso sé stesso, lasciando tutti fuori.
E l'unico modo per difendersi da lei era non farla avvicinare, non lasciarle aprire nemmeno un minuscolo foro sull'abisso dei suoi pensieri.
Pensava che nessuno psicologo, nessun mago, nessun mentalista, nessun profiler potesse mai entrargli nella testa.

Ma Elsa chiudendo gli occhi vedeva ancora il sorriso del profiler dell'FBI che si era quasi sposata.
E sapeva che Lewis, almeno questa categoria, l'aveva molto sottovalutata.

Are You Ok || Formula 1Where stories live. Discover now