Capitolo 19

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Citofonai e mi infilai velocemente mano in tasca come se avessi appena commesso un crimine da dover nascondere.

Era stata semplice irrazionalità. Istinto. 

Sapevo che avrebbe chiesto il motivo della mia presenza e non avevo idea di cosa inventarmi perché non c'era una reale spiegazione. C'era stato qualcosa che mi aveva spinta a prendere quella decisione, ma niente che potessi davvero spiegare con parole semplici. 

Il suono meccanico che segnava l'apertura del grande portone in legno mi procurò una fitta allo stomaco. Ora non potevo più tornare indietro, mi dissi.

Spinsi la porta e la richiusi alle mie spalle mentre lanciavo un'occhiata all'esteso giardino sulla destra. Il patio era spento e l'unica luce sembrava provenire dalla sala.

Camminai sul percorso fatto in piastrelle e una volta arrivata davanti all'ingresso l'altissima porta, con solo una sbarra a fare da maniglia e un apparecchio elettrico digitale, venne aperta.

«Adams.» salutò Hayden con un cenno di testa e voce profonda.

Persi qualche secondo ad osservare il suo abbigliamento casual, un maglioncino blu scuro, che gli cadeva morbido sulle spalle e petto e un paio di pantaloncini neri da basket. 

«Ehi.» soffiai, sentendo il cuore iniziare a battere più veloce per l'agitazione.

Si grattò la punta del naso e si accigliò, i suoi occhi blu mi scrutarono con perplessità, «non dovresti essere ad una festa?»

La festa post partita. 

Quella alla quale avevamo vinto grazie a lui e ai suoi tre touchdown. 

Aveva mantenuto l'accordo. Nonostante fossi delusa dal fatto di non poter avere la scusa di fargli fare ciò che avrei voluto, il pensiero che avesse fatto quelle tre mete per me era davvero qualcosa che mi procurava un forte pizzicore allo stomaco. 

Allargai le braccia tenendo le mani infilate nelle tasche della felpa e scrollai le spalle, «avrei dovuto ma...»

Ma sono qua.

Premette le labbra e annuì impercettibilmente per poi spostarsi e aprire maggiormente la porta per farmi entrare. Appena misi piede su quel pavimento di marmo bianco e lucido, sentii il calore dell'ambiente accarezzarmi le gambe nude.

«Non volevo disturbarti ma volevo vedere come stavi.» spiegai alle sue spalle mentre lo seguivo verso il soggiorno. Dio, perché ero qua? Mi grattai la testa arricciando il naso sentendo le guance scaldarsi, «sai, per la storia dei giornalisti e tutto il resto...»

Terminata la partita la giornalista aveva raggiunto Hayden come se la sua carriera dipendesse da quell'intervista e lo assalì con domande sul futuro: "Come mai ha deciso di abbandonare la carriera musicale?", "Proseguirà con il football?", "Sua madre non è d'accordo, cosa risponde in merito?", "Non è rischioso intraprendere questo sport con il suo talento?"

E poi ne aveva fatte un paio nelle quali avevo sentito il cuore fermarsi per qualche secondo: "Chi è la ragazza del ballo?", "E' una nuova fiamma?", "E' lei che le ha fatto cambiare idea?"

E tutte queste domande erano state fatte nel giro di cinque minuti mentre lui evitava di parlare e cercava di rifugiarsi negli spogliatoi.

Quelle domande mi lasciarono con la bocca asciutta perchè loro non sapevano che fossi io, e che avessi sentito tutto. E niente di tutto quello era vero. Io non ero la nuova fiamma di nessuno e soprattutto non gli avevo fatto cambiare idea. 

Fu Brandon a trattenermi dal non andare ad insultarli, dicendomi che in questi casi era meglio restare nell'ombra, e approfittare del fatto che ancora non sapessero la mia faccia. 

It's a ClichéWhere stories live. Discover now