Capitolo 4

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«Sta per entrare la prossima finalista. Viene dal Sud Carolina, è ancora molto giovane ma ha già tutte le carte in regola per essere una dei prossimi prodigi musicali.» sentii dire al microfono dal presentatore sul palco, «fate un caloroso applauso per la giovane Makayla Adams.»

Forza, toccava me. Era il mio momento.

Con i palmi sudati lisciai il vestitino color perla e sbucai fuori dal tendone rosso scuro delle quinte. Le luci puntate sul palco erano molto forti e faticavo a vedere il pubblico, ma non avevo ansia, volevo solo vedere dove fossero Rhonda, la mia insegnante, e Ethan, mio fratello. Le uniche persone che fossero venuti a vedermi.

Con un pizzico di nervoso mi avvicinai all'enorme e lucido strumento musicale e mi sedetti sul piccolo sgabello. Lanciai uno sguardo alla mia destra strizzando leggermente gli occhi per scovarli ma non riuscii ad individuare nessuno. Ma non dovevo pensarci, era il mio turno e dovevo pensare solo a suonare.

Mi scrocchiai le dita, Rhonda diceva che non era bello da vedere, ma ormai era diventata una mia abitudine. Sfiorai con le dita i tasti e chiusi gli occhi, nella mia mente rileggevo lo spartito che avevo provato e riprovato giorno e notte per settimane, era lì e lo sapevo a memoria.

Feci pressione sulla prima nota e il resto venne da sé, i tasti erano una calamita per le mie dita e mentre la melodia riempiva l'auditorium io mi sentivo trasportare dalla musica in quel mondo di cui amavo far parte. Sentire l'adrenalina che scorreva nelle vene ogni volta che effettuavo un passaggio complicato o che eseguivo una scala o un ponte, gli occhi delle persone su di me. Guardavano me e ascoltavano quello che io avevo da dire, la mia musica.

Questa volta avevo portato un rifacimento della Follia di Vivaldi, era stato un processo difficile, modificarla per renderla perfetta anche al pianoforte; ma eravamo riusciti ed era magia pura. L'andamento e la storia che raccontava la melodia nei primi tratti tranquilla poi rapida e quasi confusa e dopo ancora veloce. Ti trasportava come se fossi su una montagna russa. Era proprio quel sentimento che ti procurava, essere folle.

Alternavo rapidamente lo sguardo dallo spartito alle mie dita che rapide toccavano fugaci ogni tasto, bianco, nero, poi ancora bianco e cosi via. Nell'auditorium si udivano solo le mie note musicali, perfettamente in sintonia tra loro, facendo aumentare dentro di me la consapevolezza che tutta quella fatica, quell'impegno dedicato anni e mesi, finalmente stava per essere ripagato.

Avevo molte chance di vincere. Ero arrivata fin qui, nessuno si aspettava che una ragazzina di una piccola cittadina del Sud Carolina potesse nascondere questo talento, non potevo arrendermi proprio ora ad un passo dalla fine.

Sapevo che dopo di me si sarebbe esibito il fenomenale Hayden Miller, il nuovo prodigio musicale del mondo classico, ma potevo batterlo.

Poi... mi svegliai con delle dolci urla della mia famiglia. Rimasi a fissare la parete a pochi centimetri da me con smarrimento e malinconia.

Era da molto che non facevo quel sogno. Era stato ricorrente i mesi successivi alla vittoria e a quando per gravi motivi dovetti abbandonare la mia unica passione. Ogni volta che lo sognavo rimanevo con il pensiero fisso di chiedermi dove sarei stata ora se solo fossi andata avanti, se avessi proseguito e migliorato ancora di più il mio talento.

Mi obbligai a non pensarci e, dopo essermi stiracchiata ed essermi stropicciata gli occhi, sbucai fuori dalla mia tana calda e confortevole. Assonnata e con movimenti automatici mi diressi verso il bagno.

Era Lunedi. La seconda settimana di scuola era iniziata e io volevo solo che arrivassero le vacanze.

Quel weekend non avevo fatto molto. Sabato avevo poltrito sul divano dato che Donna era impegnata con l'uscita con Travis e Malcolm aveva un impegno con i suoi genitori. Domenica invece avevo poltrito sullo sdraio in giardino per godermi un po' di sole insieme ai miei amici.

It's a ClichéWhere stories live. Discover now