Capitolo 6

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Solo quando mi ritrovai di fronte a quel palazzo in mattoni rossi, adiacente ad altri con struttura simile, realizzai quanto avessi camminato. Nel momento esatto in cui mi fermai e osservai il semplice ingresso composta da una porta in vetro, capii quanto tutto quello mi fosse davvero mancato. 

Ero immobile, in mezzo all'ampio marciapiede a intralciare i passanti, ignorai anche le spallate delle persone che mi urtavano, probabilmente vogliose di tornare a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Mi passai le dita sotto gli occhi, i dorsi delle mani sulle guance per ripulirmi dalle lacrime secche e buttai fuori un sospiro frustrato mentre guardavo il cielo.

Il sole stava tramontando, il cielo aveva iniziato a prendere quelle sfumature tra rosa, rosso e arancione, le nuvole creavano disegni spettacolari insieme a quei colori. Il tramonto era decisamente il mio momento preferito della giornata. 

Abbassai il mento e tornai a fissare quella porta. Il mio subconscio mi aveva trascinato fin qui, per cui non potevo voltare le spalle e tornare a casa. Anche se, immaginata l'ora, sarebbe stata la cosa migliore da fare, ma quella giornata peggio di così non sarebbe potuta andare per cui mi diedi coraggio e avanzi.

Girai la manopola di ottone e la spinta entrando nel locale. Era esattamente come lo ricordavo. Il piccolo atrio con una scrivania nella parete opposta all'ingresso e di fianco una porta chiusa che avrebbe condotto ad un lungo corridoio. Be', alla fine erano passati due anni, perchè avrebbe dovuto essere diverso.

C'era una madre con la figlia che discutevano con la segretaria e io mi trovai ad osservare le fotografie incorniciate sulle pareti laterali e i ripiani con i trofei.

Individuai molte mie foto, in molte ero semplicemente seduta sullo sgabello mentre suonavo, in altre stringevo i premi e avevo di fianco Rhonda che sorrideva.

«Che mi venga un colpo, ma quella è proprio Makayla Adams?»

Un sorriso spontaneo si incurvò sul mio viso nell'udire quella voce femminile che da anni mi mancava.

Mi voltai e incrociai gli occhi scuri ma pieni di sorpresa di Rhonda. Non era cambiata affatto. I suoi tipici capelli afro tenuti stretti da piccole treccine, oggi acconciate in una crocchia gigante. Le guance paffute e le mille collane rumorose attorno al collo. I grandi occhi scuri sempre vivi da quella scintilla di gioia.

«Rhonda!» esclamai e mi avvicinai a lei a braccia aperte.

Ricambiò l'abbraccio e quasi mi soffocò per quanto fosse stretto.

«La mia piccola star,» mi strinse e poi si allontanò lasciando le mani sulle mie spalle per studiarmi, «mi avevi promesso che non saresti sparita, piccola peste e invece l'hai fatto.»

Abbassai la testa colpevole ma continuai a sorridere, «chiedo venia.» 

Agitò una mano, «ma smettila. Dimmi, come stai? Guarda quanto sei cresciuta, sei diventata ancora più bella.»

Arrossii per quei complimenti, non ero abituata a riceverne di quel tipo, «grazie e tu non sei invecchiata di niente.»

«Sono passati due anni, ragazzina, mica dodici.» 

Risi e le diedi ragione.

«Be', cosa ci fai qua? Forza vieni, sta per iniziare una lezione.»

It's a ClichéWhere stories live. Discover now