Capitolo 60

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La mattina successiva al compleanno di Brandon mi ero svegliata con un corpo pesante e addormentato sulla schiena e un bussare incessante alla porta. Io stringevo il cuscino e Hayden stringeva me, con la faccia premuta sulla mia scapola. Appena mi aveva sentito muovere, aveva borbottato qualcosa e poi mi aveva lasciato andare. 

«Ragazzi? Sveglia!» disse Brandon dall'altra parte della porta.

Tutti tranne gli amici di Brandon avevamo il volo all'una di pomeriggio -il loro per New York era verso le due- e dovendo arrivare almeno un paio di ore prima, era stato deciso che avremmo dovuto lasciare la casa alle dieci. 

«Arriviamo...» risposi mentre mi stiracchiavo.

Il bussare cessò.

Stropicciandomi gli occhi, guardai Hayden ancora sdraiato. Era rivolto a pancia in su e il piumone gli arrivava solo all'addome mentre aveva un braccio piegato sotto alla testa. I miei occhi gonfi e assonnati si soffermarono sui tatuaggi e sui muscoli in bella vista. Ora che entrava la luce del giorno potevo vederli bene e trattenni l'impulso di sfiorarlo. 

«Stai fissando, Adams.» gracchiò roco, con gli occhi chiusi. 

Arrossii e ruotai gli occhi, «muoviti, Miller. Siamo in ritardo.»

Durante il tragitto per arrivare in aeroporto, scoprimmo che in ritardo c'era l'aereo a causa di una tormenta di neve e in più l'aereo che era arrivato era diverso da quello prenotato, era più grande e ci avevano modificato tutti i posti.

Ovviamente io mi ritrovai da sola in fondo all'aereo. Ed ero anche a lato corridoio. Nei posti a fianco avevo una coppia straniera attorno ai trent'anni e speravo che non mi facessero venire la nausea con troppi atteggiamenti intimi. 

Mandai un rapido messaggio a mia madre dicendo che stavo per partire e poi misi il telefono in modalità offline. Lungo il corridoio si posizionarono le hostess e io mi mossi sul sedile, allungando il collo alla ricerca della testa di Hayden. Sapevo fosse nelle file davanti e lo individuai abbastanza velocemente. Purtroppo, lo trovai a chiacchierare con una ragazza bionda seduta al suo fianco. 

Con una smorfia irritata, mi concentrai sulle indicazioni che stavano dando le hostess. Almeno lui avrebbe passato queste due ore in buona compagnia.

Non avendo niente da fare, non avendo neanche la possibilità di ascoltare la musica essendo senza internet, il mio cervello ritornò con la memoria alla sera passata.

La figura di Hayden aveva attorno ancora qualche punto di domanda. Come la questione di Juliette, chi aveva fatto incazzare, cosa aveva in mente per eliminare suo padre e perchè sua madre compiva quegli abusi su di lui. Non poteva essere a caso, ci doveva essere un motivo.

Mi sembrò sfiorarle ancora, quelle cicatrici, bianche e lucide. Lui le nascondeva a tutti. Hayden nascondeva molto. Mai avrei pensato che un ragazzo come lui, che veniva rappresentato sempre al meglio, con una vita e famiglia perfetta, in realtà nascondesse così tanto dolore. Tanta sofferenza. E mai avrei pensato di poter conoscere la verità di quel ragazzo che con la sua musica mi aveva aiutata senza saperlo, e di innamorarmi di lui.

Il mio sguardo cadde sulle mani intrecciate della coppia al mio fianco. Lui le accarezzava il dorso col pollice e pensai a quando ieri Hayden sembrava sul punto di perdere il controllo e fare quel passo -quell'errore- che tanto avrei voluto commettesse. Mi mancava il suo tocco ruvido e delicato e ieri, mentre mi accarezzava le cosce, avevo avuto un assaggio della mia droga preferita.

«Spasibo za etu poyezdku.» 

La mia testa scattò verso destra, verso la coppia, e mi misi sull'attenti. Erano russi.

It's a ClichéWhere stories live. Discover now