Capitolo 61

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Hayden

Juliette era stata quella persona che oltre a Meredith mi aveva apprezzato e mi aveva voluto bene senza un apparente motivo. Io a loro non ero mai riuscito a dare molto--l'affetto non era qualcosa che riuscivo ad esternare con grande facilità. Brandon, zia Helen, i miei nonni, loro mi avevano dimostrato il loro amore nei miei confronti, ma molto spesso mi ritrovavo a pensare che dovessero farlo, solo perché i miei genitori non lo facevano. Lo facevano per tappare dei buchi.

L'amicizia con Meredith era nata principalmente perchè le nostre madri erano amiche. Meredith aveva iniziato ad apparire in pubblicità fin da piccola e noi due ci conoscevamo da tutta la vita. Era sicuramente una persona più estroversa ed eccentrica di me, ma solo con chi conosceva già. Ero ben consapevole che tra lei e Makayla non scorresse buon sangue, ma speravo che prima o poi arrivassero ad una tregua. Meredith lottava anche lei contro i suoi demoni e come lei c'era stata per me, io ci sarei sempre stato per lei. 

Con Juliette era stato diverso. 

Mio padre me l'aveva fatta conoscere perché, vivendo sempre e solo chiusa nella magione che aveva comprato Albert Rojas quando si erano trasferiti in America, non aveva nessuna amicizia. Io le avevo introdotto Meredith e avevano instaurato un bel rapporto, nonostante fossero molto diverse caratterialmente.

Io e Juliette eravamo molto simili sotto diversi punti di vista e per questo non ero riuscito ad approcciarmi subito con lei. Era estremamente riservata, come lo ero io, ed entrambi non osavamo intrometterci l'uno nella vita dell'altro. Era piacevole stare in sua compagnia perchè non faceva domande. Anche lei attorno a me si era sempre mossa con cautela non volendo invadere troppo la mia privacy. E io, inoltre, cercavo di non interessarmi troppo della vita altrui.

Una sera, dopo un'ennesima esibizione a teatro a New York, eravamo finiti a letto insieme. Eravamo due ragazzini, non era la mia prima volta e nemmeno la sua, ma sicuramente era stato un momento in cui mi ero lasciato andare più del solito. Saranno state le endorfine rilasciate ma avevamo fatto una lunga e profonda chiacchierata, raccontandoci e svelando pensieri e paure che alla luce del sole non avremmo detto a nessuno. Come avevo anche detto a Makayla, quello svoltò decisamente il nostro rapporto.

«Non pensavo potessi mai tenere in casa un gatto. Mi fa piacere tu abbia cambiato idea.»

Lei era stata la prima persona, oltre a Brandon, a cui avevo raccontato delle cicatrici e degli abusi psicologici e fisici subiti dai miei genitori. Ricordavo come mi avesse ascoltato in silenzio, lasciandomi buttare fuori tutto quello che mi faceva stare male. Avevo capito che di lei potevo fidarmi ed ero finito col innamorarmi di lei. 

«Puoi dire qualcosa? È da mezz'ora che parlo da sola.»

Non era così che mi ero immaginato quella serata. Solo poco prima stavo stringendo Makayla nella mia macchina e ora stavo evitando di guardare qualcuno che si era finto morto e che mi aveva causato infiniti problemi.

Eravamo in cucina. La guardai, era appoggiata alle porte chiuse e sentii una fitta nel petto. 

Avevo sofferto molto per lei soprattutto per le sue parole, che erano diventate un mantra che mi aveva quasi fatto perdere la possibilità di avere al mio fianco la miglior persona che si potesse chiedere.

Era dimagrita, i capelli ora erano scuri e gli occhi--per tutti gli anni che avevamo trascorso insieme, da amici e fidanzati, aveva sempre avuto la capacità di nascondere alla perfezione il suo dolore. Aveva patito per la morte della madre e per i comportamenti del padre, ma non si era mai mostrata bisognosa di qualcuno. Lei si reggeva da sola. Adesso, mentre la osservavo per la seconda volta da quando l'avevo trovata in camera mia, riuscii a scorgere quelle emozioni che tanto aveva celato con i sorrisi.

It's a ClichéWhere stories live. Discover now