Capitolo 3

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C'erano due cose della scuola che odiavo profondamente: materie scientifiche e educazione fisica. E per quanto riguardava l'ultima, l'odio aumentava quando avevo il ciclo.

«Non ti accetterà mai la giustifica.» mi disse Donna mentre si allacciava le scarpe.

«Ma io sto male...» piagnucolai, picchiando la testa contro gli armadietti.

Odiavo la prof. Duncan, era una rabbiosa isterica, buttava su di noi la frustrazione per la sua vita amorosa finita in divorzio, e per la sua carriera da atleta terminata bruscamente per colpa di una rottura del ginocchio.

Ci faceva correre come se dovessimo partecipare alle olimpiadi e se osavi fermarti, erano dieci piegamenti più altri giri di corsa lungo il campo. E mentre tu sudavi come un maiale e sentivi le gambe cedere ad ogni giro campo del campo fatto, lei ti urlava addosso quando facessi schifo e che delle lumache come noi non avrebbero mai realizzato niente.

«Ti conviene fare lezione se non vuoi un'insufficienza già alla sua prima lezione. Soprattutto se ti prende di mira, è finita, lo sai,» mi disse lanciandomi in faccia un elastico per legarmi i capelli, «ricordi al secondo anno Cole Anderson?»

Feci una smorfia al pensiero di quel ragazzo. Aveva osato rispondere ad una delle sue solite provocazioni/insulti, quel giorno lo fece correre fino a che non iniziò a vomitare tutto. Poverino.

«Ugh, sai che odio vomitare.»

«E allora muoviti, siamo già in ritardo.»

Sbuffai contrariata ma alla fine mi legai i capelli e uscimmo dallo spogliatoio.

La temperatura a Greenville in quel periodo era ancora alta, motivo per cui ci si allenava nel campo esterno. Che era anche più grande e questo dettaglio a lei piaceva particolarmente.

«Wright e Adams, siete arrivate con due minuti di ritardo perciò sono due minuti di corsa in più. Forza muovete quelle gambe e raggiungete i vostri compagni. Young! Non osare fermarti!»

Quando soffiò nel fischietto mi distrusse i timpani. Ma prima che potesse aumentarci la pena, andammo sul campo di atletica per iniziare i nostri giri. Era una tortura correre, con il caldo, il ciclo. E soprattutto dopo la sessione di allenamento di due giorni prima che mi aveva indolenzito tutto il corpo.

E le tette ad ogni rimbalzo facevano sempre più male, maledetti chi diceva che averle grosse fosse una fortuna.

«Travis mi ha scritto ieri sera.» mi informò la mia amica.

Strabuzzai gli occhi, «davvero? E me lo dici solo ora?»

«Ci siamo messaggiati tutta la notte e mi sono dimenticata.»

Sorrisi maliziosa e la colpii giocosamente con il gomito sul braccio, «stronzetta.»

Era assurdo ne avevamo parlato solo due giorni prima che avrebbe dovuto scrivergli. Ed ora era stato lui a farlo.

«Be', racconta. Di cosa avete parlato?»

«Um, niente di che ma mi ha chiesto se questo sabato usciamo insieme.»

«Cosa? Oddio, davvero?» agitai le mani e guardai con stupore la mia amica.

Leggermente le sue guance presero una sfumatura più rosea del solito e ridacchiai.

«Gli hai detto di si, vero?»

«Adams! Vedo più la tua bocca muoversi che le tue gambe! Smettila di parlare e corri!»

Girai la testa alla voce dolce della mia professoressa e la fulminai con lo sguardo.

Stavo correndo, quello era il mio massimo. Inoltre, mi stava anche facendo male la milza. 

It's a ClichéTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang