Capitolo 68

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Eravamo agli inizi di Aprile e, anche se durante la giornata il caldo iniziava a farsi sentire, la temperatura alle cinque della mattina era ancora molto bassa. Ero avvolta da una gigante felpa di Hayden e pantaloni della tuta felpati, oltre che indossare un cappotto scuro sopra a tutto. 

Il cielo aveva queste bellissime pennellate rosa e arancio, tipiche dell'alba. Da una parte, il cielo indossava ancora il suo manto notturno mentre dall'altra il sole iniziava a colorare la distesa cerulea con i suoi raggi non ancora così caldi.

L'aeroporto era già pieno di persone nonostante fosse così presto. L'ampio parcheggio non era al completo ma c'erano diverse macchine parcheggiate. Albert ci aspettava nel suv. 

«Scrivimi quando atterri.» dissi, le braccia attorno al collo di Hayden.

Le porte automatiche dell'aeroporto alle sue spalle si aprivano e chiudevano di continuo. Brandon era a qualche passo dietro di me.

«Lo farò. Non preoccuparti, okay?» strofinò una mano sulla mia schiena, «andrà tutto bene, promesso.»

Questo non potevamo saperlo.

«Stai attento, Miller.» sospirai.

«Sempre, Adams.»

Sforzai un sorriso e lui mi baciò la fronte.

«Per qualsiasi problema c'è Brandon.»

Annuii con una morsa allo stomaco. Certo...

«Okay, ora vai. Non voglio farti far tardi.»

Mi strinse un'ultima volta stampando un bacio sulle labbra, poi salutò Brandon con un cenno prima di voltarsi e sparire dentro una delle entrate dell'aeroporto.

Raggiunsi Brandon che stava ancora fissando il punto in cui era sparito e mi guardò con aria nervosa.

«È probabile che mi uccida.»

«Non mi interessa,» dissi, gli occhi che vagavano sul parcheggio in movimento, «Yolanda o Steven non mi faranno niente a casa mia. Sai anche tu quanto sia meglio stare con lui che con me.»

Annuì, «starai a casa di Mal, vero?»

«Si, ci sarà anche Donna.»

Quella sera ci sarebbe stato l'evento. Hayden stava per prendere il primo volo per New York in partenza alle sette del mattino e Brandon sarebbe dovuto rimanere con me, come richiesto dal cugino, ma mi ero messa d'accordo con lui per far sì che andasse anche lui a New York.

Hayden aveva paura che mi potesse succedere ancora qualcosa ma io ero certa che qua nessuno mi avrebbe fatto niente. Piuttosto, ero preoccupata per lui. Per tutto quello che sarebbe successo all'evento e volevo che qualcuno lo controllasse per me e che mi informasse su tutta la faccenda dato che non voleva portarmi con sè. Brandon aveva accettato di partire senza problemi, anche lui era angosciato per la situazione e preferiva stare vicino a suo cugino. 

In quei giorni, tranne quando eravamo stati alla spa, vedevo Hayden sempre più pensieroso in merito a tutto questo. Sapeva bene che con l'intervento di agenti di questo calibro, la faccia di suo padre, quella di Rojas e di tutte quelle che facevano parte di quell'organizzazione sarebbe stata spiattellata sulle prime pagine dei giornali dello stato. 

Sentiva la pressione addosso per quello che sarebbe successo dopo e non ero riuscita ad aiutarlo più di tanto perchè anche io non sapevo come avrei fatto a proteggerlo dalle voci che sarebbero nate. Anche qui, in questa piccola città della Carolina del Sud, avrebbero guardato Hayden come una specie di mostro ma senza sapere tutta la verità, ed era questo, oltre a tormentarmi, mi faceva anche rabbia. 

It's a ClichéWhere stories live. Discover now