Capitolo 3.2

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Attenzione: sangue e situazione angosciante.

***

Annaspai, strofinando le mani contro il suolo ma qualcosa di viscido sporcò le mie dita, facendo arretrare subito il mio braccio. Sollevando le palpebre non mi stupii di trovare nero davanti ai miei occhi e sentivo risuonare dentro le mie ossa i lamenti e i rantoli di alcune persone. Quando la mia vista si aggiustò al buio, rimasi pietrificata e portai una mano alla bocca per trattenere un urlo: ero a pochi metri del treno distrutto e vedevo la cabina spaccata a metà, con cavi penzolanti e pezzi enormi di ferro che minacciavano di tagliarti in due. Del sangue gocciolava dal pavimento della metà destra della cabina; mi venne un conato di vomito.

Ero in mezzo a pezzi di vetro, alcuni dei quali si erano infilati nella mia pelle, creando tagli di varie dimensioni. Bruciava ma li tolsi subito, facendo attenzione a non creare ulteriori ferite, poi mi alzai e il dolore diminuì rapidamente.

Mi ero sollevata a fatica dal terreno freddo e polveroso; strofinai le dita delle mani, sentendo quel viscido che non riuscivo a riconoscere, finché fui colpita dalle luci della galleria, e riconobbi quello che inzuppava le mie estremità. Si trattava di sangue e non poteva trattarsi solo del mio: era troppo.

Udii un lamento molto forte provenire dalla cabina spaccata in due e mi pietrificò. Trattenni le lacrime e mi avvicinai al treno con cautela: il finestrino della cabina distrutta era infranto, rimanevano solo alcuni pezzi di vetro tagliente. Osservando la posizione da cui mi ero rialzata, feci un calcolo mentale e compresi che era probabile che fossi stata sbalzata dal treno quando si era scontrato con la parete della galleria.

Non potevano esserci spiegazioni plausibili, se non che i miei poteri mi avessero salvato la vita un'altra volta.

Scavalcai un grosso cavo e mi ritrovai faccia a faccia con un incubo: nelle due cabine alcuni passeggeri stavano cercando di liberarsi dalle macerie, altri non si muovevano.

Ecco da dove proveniva tutto quel sangue.

Pensai subito al bambino e sua nonna, poi saltai sulla metà della cabina in cui ero stata seduta e vidi qualcosa attraverso la parete di ferro che si era creata con la sua distruzione; la scatola di ferro tremò, ma resistette.
Chiamai a gran voce i passeggeri presenti: <<Mi sentite? Voglio aiutarvi-!>>

<<Ti prego...>> chiese una voce bassa, lamentosa, che mi ricordò quella del bambino che che stavo cercando. Spalancai gli occhi e portai le mani sui pezzi di ferro davanti a me, tentando di separarli.

<<Sto arrivando!>>

Urlai per lo sforzo quando le mie mani provarono a piegare di nuovo il ferro per aprire un varco nel blocco e dopo qualche tentativo ci riuscii. Senza sprecare tempo andai avanti nella mia ricerca e appena vidi il bambino, lo raggiunsi: aveva gli occhi rossi e la fronte ferita da un taglio che fortunatamente era superficiale. Lo presi in braccio e gli dissi di non piangere perché presto sarebbero arrivati i soccorsi, anche se non ne ero certa, poi lo convinsi a restare fermo, lontano dal treno mentre cercavo sua nonna e i restanti feriti. Mi tolsi la giacca e la misi sulle spalle del bambino accarezzando il suo capo per fargli coraggio in quella situazione spaventosa: <<Che cosa farebbe un supereroe?>> gli domandai mentre camminavo di nuovo verso la cabina; il bimbo rispose cercando di calmare i singhiozzi: <<Sorriderebbe-e... davanti al pericolo e metterebbe al tappeto tutti i cattivi!>>

<<Ho sentito che vuoi diventare un eroe, quindi devi farti coraggio... come ti chiami?>> lo volevo tenere distratto, non sapendo come avrei trovato sua nonna o gli altri passeggeri.

Injection: Phoenix RiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora