Capitolo 18.2

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<<Salve, sono Diana Smith, sto cercando la signora Deborah Gomez, abita qui?>>

L'uomo mi guardò da capo a piedi e grugnì qualcosa, muovendo il braccio per farmi segno di seguirlo.

Guardandomi attorno mi resi conto che era stata troppo impulsiva nel venire nella periferia di Phoenix, in un quartiere povero e sconosciuto per cercare una mia paziente che non vedevo da giorni, ma era l'unica soluzione a cui avevo pensato quando nessuno del personale dell'ospedale era riuscito a contattarla. Deborah Gomez soffriva di dipendenza da droga e molto probabilmente anche da alcol: molte volte era arrivata all'ER priva di sensi, rischiando overdose se non malattie per gli aghi che utilizzava. Ultimamente era stata male per un virus intestinale, ma non era venuta alla visita di controllo che le avevo prescritto.

In ospedale cercavamo di tenere contatto con lei finché non saremmo riusciti a convincerla di entrare in un centro terapeutico per affrontare la sua dipendenza; purtroppo era difficile ragionare con chi era vittima di sostanze psicotrope come le droghe: Deborah faceva uso di eroina e non sembrava avere intenzione di smettere, ma io credevo in lei, mi fidavo delle sue promesse che si sarebbe impegnata a farlo.

<<Perché la cerca? È uno sbirro?>> sbuffò l'uomo che mi stava conducendo attraverso lo stretto e sporco vicolo che doveva portare dove probabilmente viveva la mia paziente.

<<No, sono la sua dottoressa.>>
<<Mh. Devo dire che è coraggiosa a venire qui da sola.>> ghignò, fissandomi un po' troppo a lungo, dopo essersi fermato a pochi passi da una saracinesca. Eravamo in mezzo a vari edifici fatiscenti e sulla strada vidi varie persone che riposavano sedute su dei pezzi di cartone, mentre altre si scambiavano degli oggetti, parlando a bassa voce.

<<Se cerca Deborah probabilmente è da Zeta.>>
<<Zeta?>> domandai titubante, percependo lo sguardo di alcuni dei presenti. Forse avrei fatto bene ad avvertire qualcuno che mi trovavo lì, prima che succedesse qualcosa di brutto.
<<Sì, è quello che commercia la roba... non dirò altro. Lo troverà là dentro probabilmente.>>
L'uomo si grattò la guancia, rivolgendo gli occhi al garage, poi mi osservò con un'espressione annoiata. Sbuffò quando vide che non avevo intenzione di muovermi e andò a bussare alla saracinesca.
Io nel frattempo presi il telefono e mandai un veloce messaggio a Catherine che mi rispose quasi subito chiamandomi.

<<Ma dico sei pazza?>>
<<Cat ascolta ora non posso parlare. Non dovrei metterci molto, ho solo portato dei farmaci per la mia paziente.>>
<<Vengo da te, aspettami->>
<<Sono già qui ormai, ti terrò aggiornata.>>
<<No, è meglio se->>
<<Allora dottoressa? Che cosa aspetta?>> l'uomo mi mise fretta. Vidi che il garage era stato sollevato abbastanza per farci passare, ma non vedevo ancora nessuno all'interno; era troppo buio per farlo.

<<Devo andare Cat, scusami.>>
<<Diana non-!>>

Dopo aver terminato bruscamente la conversazione con Catherine, seguii nuovamente l'uomo e mi ritrovai all'interno di una sorta di magazzino, polveroso e dall'odore più che riconoscibile di erba. Mi spaventai alla vista di alcuni uomini dall'aspetto minaccioso che si trovavano seduti ad un tavolino illuminato da una lampadine sfarfallante, posto vicino vicino all'entrata.

<<Che vuoi?>> rispose uno dei due, senza nemmeno alzare il volto. Stava giocando a carte con il suo compagno, ma mi fece rabbrividire vedere un coltello dalla lama lunga posto sul tavolo.
<<Deborah Gomez?>>
Uno degli uomini alzò il mento, dirigendolo verso l'altro capo della stanza, dove intravidi una figura femminile accasciata al muro, insieme ad altre persone che rimanevano sedute in mezzo a nuvole di fumo. Non aspettai altro, corsi da lei.

Injection: Phoenix RiseWhere stories live. Discover now