Capitolo 8.2

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Ansimai, tenendo una mano al petto e alla gola, cercando di respirare, per poi guardarmi attorno, pensando che ci fosse qualcuno pronto a farmi del male. Sollevando gli occhi mi accorsi di essere allo stadio, seduta sulle tribune. Chiusi gli occhi e strinsi i denti: non era reale, non può essere reale, cominciai a ripetere nella mia mente per riprendere il controllo.

<<Tara, stai bene?>> la mano di qualcuno accarezzò la mia spalla e mi voltai. Era Lilith.

Lilith. Avevo sentito quel nome. Avevo visto una ragazza dai capelli scuri e gli occhi verdi nella mia visione, eppure non poteva essere lei. Era una distorsione delle mie memorie?

Ma quel terrore, quella indimenticabile e viscerale paura, non poteva essere finzione. Marc D'Owel aveva sfregiato la mia anima, lui era lo stesso mostro che appariva nei miei incubi da lunghi mesi e ora aveva un volto, aveva un'identità concreta.

Lui era reale.

<<M-marc...>> balbettai ancora sotto shock.

Lilith si avvicinò ancora di più, afferrando la mano che stava stringendo con forza il mio ginocchio.

<<Non ti senti bene? Sono qui, puoi parlarmi...>> Parlò con il suo solito tono di voce calmo e rassicurante e mi aiutò a respirare in modo regolare. Pochi attimi prima il dolore era stato talmente forte da farmi credere che la teca cranica stesse schiacciando il mio cervello, ma cominciavo a sentirmi meglio, almeno fisicamente.

I ricordi non sarebbero più scomparsi e la mia salute mentale era instabile, a rischio di un collasso.

Non riuscivo a guardare i suoi occhi verdi, perchè ogni volta che lo facevo, vedevo anche Marc D'Owel. Il mostro che mi aveva torturato psicologicamente, lo stesso che aveva fatto qualcosa al mio corpo e mi terrorizzava non sapere che cosa fosse successo.

<<Lilith... ricordo Marc. Quando avevo n-nove anni lui... lui mi ha fatto del male>> le dissi sottovoce, tentando di focalizzare i miei occhi su di lei, ma non ci riuscivo.

<<Vuoi andare via? Possiamo parlarne quando saremo sole.>>

Finalmente riuscii a vederla più chiaramente e mi ritrovai davanti ad un'espressione quasi terrorizzata. Probabilmente dopo avermi sentito parlare dei miei incubi, anche lei stava pensando al peggio, soprattutto dopo quello che le avevo appena detto.

Annuii con debolezza e ci alzammo. Lilith inventò una scusa per farci andare via, ma lo sguardo di Isabella mi diceva che aveva capito subito che non stessi bene. La partita era a buon punto e i Diamondbacks stavano vincendo: vidi il tabellone con i punteggi, udii le urla di acclamazione e la gioia dei tifosi. Quella confusione mi stava facendo impazzire, ma la presa di Lilith sul mio braccio riusciva a trattenere il panico.

Pensai che sarei riuscita ad andare via, trovando un po' di pace, ma nel giro di pochi minuti cambiò ogni cosa.

La gente cominciò a gridare e fare fischi di disapprovazione, a quel punto vidi un uomo attraversare il terreno di gioco: quando lo sconosciuto giunse al centro del campo da baseball, scansando i giocatori in mezzo alla sua strada, tirò fuori una pistola dalla giacca e sparò in aria, facendo arretrare tutti e terrorizzando il pubblico.

Guardai Lilith che aveva gli occhi spalancati, mettendomi davanti a lei per ripararla da quello che stava succedendo. Strinsi i denti tentando di rimanere forte nonostante la paura e la confusione.

<<Salve a tutti idioti. Mi chiamo George e oggi ucciderò sicuramente qualcuno>> cominciò a ridere nel microfono che doveva aver strappato a qualcuno del personale. I giocatori erano scappati ai limiti del campo e George era l'unico a dominare l'area.

Injection: Phoenix RiseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora