Capitolo Diciottesimo

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Non mi mancava per niente il gelo e il cappotto. Mio padre è venuto a prenderci dall'aeroporto dove atterravamo, in un paesino vicino Whittier. Per tutto il tragitto in auto ha mantenuto il silenzio- è sempre stato un tipo piuttosto taciturno.

«Ciao!» mi abbraccia Meri. Avrei preferito mia madre mi avvertisse che avremmo avuto tutta la famiglia di Paulo a cena. «Come stai? Ti vedo dimagrita...» mi dice guardandomi preoccupata dopo l'abbraccio. «Non ho avuto molto tempo per mangiare...» non ho avuto voglia di mangiare nella realtà. «Il lavoro deve togliere molto tempo anche a te... vediamo di farti riprendere qualche chiletto stasera allora! Ho preparato il "Bolo de maracuja"!» dice mentre mi spinge dolcemente per la spalla verso gli altri. Il dolce di cui mi parla è tipico brasiliano: una torta al frutto della passione, il mio dessert preferito. Spero mi si apri lo stomaco. «Pablo!» richiama il figlio perché venga a salutarmi. Pablo ha tre anni in meno di Paulo, ma ha praticamente la sua stessa stazza. Viene ad abbracciarmi e mentre mi stringe fa: «Portatemi via con voi, non sopporto più l'Alaska.» ogni volta parliamo di ciò quando mi ci ritrovo insieme. Lui è praticamente la versione maschile di me, e quindi totalmente l'opposto di Paulo. «Ti ho portato un regalo.» gli dico ridendo alla sua frase. I suoi occhi si accendono ma il suo entusiasmo viene fermato da mia madre che richiama tutti a tavola. «Te lo do dopo cena.» gli dico perciò senza infierire.

«Becca tua madre mi ha detto che deve dirti una cosa e perciò di raggiungerla in sala. Pablo dobbiamo tornare a casa nostra.» ci dice Paulo entrando nella mia camera da letto. Ero da sola con Pablo perché gli ho dato il regalo, ovvero una conchiglia presa dalla spiaggia e un capellino con lo stemma dell'università. Ne è stato entusiasta e mi ha sommerso di domande. «Buonanotte. Grazie!» mi dice Pablo andando via e lasciandomi da sola per salutare Paulo. «Buonanotte. Ci vediamo domani?» gli chiedo. «Domani mattina passo in comunità e poi credo che rimarrò il pomeriggio per fare dei lavori in strada. L'ultima nevicata ha mangiato i marciapiedi.» «Intendo anche io passare in comunità domani mattina.» «Va bene. Ci vediamo lì allora.» dice. Mi sporgo per dargli un bacio, si china e si crea lo strano imbarazzo del dove posarcelo. Incespica sulla mia guancia mentre li porgevo le labbra, così poi sorridendo timidamente mi accontenta e infine ridendo mi augura una buona dormita e mi dà un ultimo bacio tra i capelli. Mi rendo conto di ricominciare a respirare decentemente solo quando è fuori dalla mia stanza, e non è un non riuscire a respirare bene per la troppa emozione, ma per il forte disagio. Mi scrollo il disagio di dosso e per evitare di pensare mi trascino subito da mia madre.

«Avevate qualcosa da dirmi?» mi riferisco ad entrambi che sono seduti sul divano a guardare un programma in tv. «Si. Siediti.» mi dice mio padre mentre spegne la tv. Mi accomodo sulla poltrona sulla destra, e vedo mia madre insolitamente tesa e felice allo stesso tempo. Rimangono in silenzio a guardarsi per un po', e poi mia madre esulta a mio padre: «Posso dirglielo io caro?» sprizzante di felicità come mai l'ho vista. Sarà la prima volta che sorride alla vita. «Dirmi cosa?» neanche gli porgo la domanda che ricevuto nel frattempo il consenso da parte di mio padre per dirmi qualcosa lei per prima entusiasta dice: «Io e tuo padre ci trasferiamo nello Utah.» sorrido come da paralisi alla notizia, al contrario del sorriso di mio padre sinceramente contento. «Io e tuo padre abbiamo la possibilità economica per poter fare il trasferimento. La nostra vecchia comunità ci ospita per un mese, così potremmo nel frattempo trovare una casa in affitto e stabilirci in questa con calma.» si stringono la mano, e quel gesto mi illumina.

I miei non sono mai stati così vicini più di ora, e così felici. Sapevo che mia madre prima o poi sarebbe voluta tornare lì- più di mio padre- ma non pensavo lo facessero ora. Lo stato dell'Alaska e delle Hawaii sono così vicini, e l'idea che invece ora si trasferiscano in uno stato molto più lontano dalle Hawaii...

«Sono molto contenta per voi!» dico nascondendo la preoccupazione egoistica per me stessa. «Partiamo il dieci giugno. Puoi aiutarci a fare gli scatoloni prima che tu parta. Meri e Murillo ci hanno aiutato già così tanto in questi giorni...» «Li lascerete gestire la comunità qui da soli?» gli chiedo e ammetto di non riuscire più a nascondere lo sgomento. «Si, ma non sarà per molto. Credo che tra tre anni quando anche Pablo partirà per il collage, anche loro torneranno a vivere in Brasile, chi lo sa...» «E' sempre tra tre anni...» «Si troveranno bene. Non c'è molto da gestire visto che non c'è neanche una chiesa mormone qui.» dice indifferente mentre si alza andando verso la cucina, infangando qualcosa che lei per prima ha costruito. «Madre!» faccio come per rimproverarla. «Becca, riusciranno a tenere su la comunità e non è detto che io non ci voglia avere più a che fare.» è sempre stata così vanitosa dal punto di vista religioso. Per lei all'inizio era una sfida costruire una comunità qui da zero, ma l'idea di appartenerne a una più grande e formata da più tempo l'ha sempre fatta sentire più in risalto. Ecco perché sono sicura io per lei al cento per cento che una volta nello Utah terrà conto solo della comunità di lì, e non di qui. Ma cosa vuoi me ne importi, cerco solo un pretesto per far sì cambino idea, e sono troppo fuori di me per la notizia per avere atteggiamenti più umili e meno ego-concentrati! «Sai con chi mi sono rimessa in contatto? Con Carol!» dice mentre si prepara un digestivo. «Ti ricordi? La madre dei gemelli. Ci giocavi sempre con loro!» eccola iniziare ignorando ogni mio tentativo di sabotaggio.

To Be Continued...

Oasi ProibitaWhere stories live. Discover now