Capitolo 45

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Due mesi dopo:

<Ricordami perché.> Dico a papà mentre siamo in aereo con in corso l'ennesima turbolenza. Perché proprio oggi doveva esserci mal tempo? E perché ha insistito così tanto perché ci trasferissimo nelle Hawaii? Questi ultimi due mesi nello Utah mi hanno trasmesso tranquillità, saremmo potuti restare.

<Cosa?> Mi chiede mentre si trattiene dal ridere notandomi aggrappata ai braccioli della poltrona come una tigre a un tronco in acqua.

<Trasferirci in Hawaii.> non ne abbiamo parlato molto. Me lo ha accennato poco meno di una settimana fa e aveva già fatto i biglietti.

<Devi continuare i tuoi studi. È passato già troppo tempo.> Dice.

<Sai che avrei ripreso a frequentare l'università li.> Dico mostrandogli che ho colto la sua balla. Ennesima turbolenza. Ho anche la nausea, anche se ammetto, non è del tutto dovuta all'aereo e alle turbolenze.

<No che non avresti ripreso. Ti ho dato due mesi di tempo, e non ti stai riprendendo. Devo ricordarti invece di raggiungere obiettivi come hai impiegato le ore?> Mi giro a guardarlo con gli occhi a fessure. Alza un sopracciglio.

<Film e serie TV. Mancavano i videogiochi. Non sei mai stata così Becca. Farà bene ad entrambi.> Alzo gli occhi al cielo tornano con lo sguardo rivolto davanti.

. . .

Non appena poso i piedi in aeroporto mi sento un tumulto, tanto che mi gira la testa. Solo vedere le persone con quei loro tratti così distintivi rievoca in me tanti ricordi, ma solo quelli negativi. È come se la parte positiva si fosse cancellata, e neanche se mi ci metto a pensarci per bene riesco a rievocarne.

Mi fermo con il mio trolley prima di uscire dall'aeroporto e lascio andare papà avanti, almeno fin quando non si accorge che non li sto più accanto. Sì rigira verso di me mentre alle sue spalle attraverso le porte vetrate noto di già le palme alte e la fauna così verde intensa. <Qualcosa non va?> Mi chiede ma sa già la risposta, infatti non è preoccupato. Poso gli occhi su di lui.

<Ti piaceva così tanto questo stato!> Già, mi piaceva così tanto...

Il sogno di un'infanzia e un'adolescenza ormai perduta. Rimango a guardarlo probabilmente terrorizzata poiché mi prende sotto il suo braccio trasformandolo in un mezzo abbraccio tirandomi i capelli sotto. <Lo so che ti ricorda l'ospedale, e la leucemia, ma dobbiamo esorcizzare la cosa.> Mi guarda senza lasciarmi mentre il mio stato impaurito aumenta di più alle sue parole.

<...il nominare la tua malattia che ormai hai superato, è un buon primo passo. Non credi?> Fa. Deglutisco la poca saliva che ho. Ha ragione su tutto, purtroppo. Ho reagito male quando ho scoperto di averla, durante, nel percorso di guarigione... Perché dovrei reagire bene adesso al ricordo? Mi fa davvero male soltanto sentirne il nome. Rievoca in me ogni cosa. Le chemio. L'odore di medicine. La nausea e il vomito. L'infermiera Tilly che mi rasa i capelli. Ogni cosa. Annuisco comunque a papà. Devo darmi una smossa. Lo devo fare per lui. Come a me è rimasto solo lui, anche a lui sono rimasta solo io. Merita una figlia che li rende il lavoro più facile, non il contrario. E poi ho compiuto di già vent'anni, è ora che io cresca. Non sono convincente neanche a me stessa...

<Avanti, andiamo.> Dice e ci incamminiamo fuori, fino a prendere un taxi che ci conduca a una casa affittata da papà, non poi così distante dal collage e dal campus. Già, ha fatto anche questo mentre io dovevo ancora apprendere la notizia.

Mentre il paesaggio scorre sotto i miei occhi mi rendo realmente conto solo ora di quanto io sia stata in stato di pausa nell' ultimo periodo. Mi sono totalmente chiusa nella mia zona di comfort. Nonostante ricevessi settimanalmente messaggi o chiamate da Isa, Lea, Kia, Kealani, Aron... Nohea... Non mi sono mai interessata di tenermici in contatto, ma so per certo abbiamo avuto mie notizie da mio padre, e sono anche più che certa quello dei miei amici sia stato un pretesto in più per portarmi qui. Dal punto di vista invece della fede è tutto un gran casino, passatemi il termine. Mi sono ritrovata a pregare spesso, o almeno, ogni volta che ne avessi le forze e che non finissi per addormentarmici durante. Credo che pregare mi abbia aiutata molto a rilassarmi, il che mi è stato d'aiuto visto il mio stato di terrore e ansia perenne. Sento che dentro di me il fiore del mio credo è ancora vivo, nonostante tutto, ma non so come definirmi, come definirlo. Mi sono resa conto di pregare sempre per il padre celeste, il Dio mormone, non so se per abitudine o altro. Se rifletto sulle basi portanti del mormonismo mi sento affine al pensiero per una serie di cose, e probabilmente in me c'è ancora la voglia di essere una buona mormone, ma come potrei ormai? Non mi influenza il fatto che sia mamma prima e poi papà l'abbiano abbandonata, ma il fatto che abbia mancato di rispetto a regole si, che inevitabilmente si è tramutato nel mancare di rispetto a me stessa. In realtà quando dico che sono confusa lo sono davvero, infatti prendo in considerazione l'idea di tornare ad essere mormone, ma non sono davvero sicura della scelta.

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