Capitolo 57

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Tolgo la testa da sotto il cuscino non appena mi sveglio. Mi stendo sulla schiena e scalcio lo spesso piumone dopo essermi resa conto dell'assenza di Nohea. Mi sento da schifo per via di aver pianto fin le tre del mattino, tra le braccia di Nohea, nel letto.

Nonostante la tenda sia aperta e le tapparelle alzate alla finestra non entra un filo di luce, così immagino sarà una bruttissima giornata dal punto di vista meteorologo, anche a giudicare dal vento che sento ululante. Mi siedo sul letto sgranchendo le gambe, e noto appesa al gancio della porta una gruccia con un vestito. È color senape, in lana dalle cuciture verticali con un semplice scollo a giro gola. Le maniche sono lunghe, e sulla sedia, accanto alla porta noto invece un paio di calze in lana marroni e degli stivali lunghi, di quelli aderenti. Sembra abbiano il tacco, ma da qui non riesco ben a capire. Mei mi disse mi avrebbe lasciato dei vestiti puliti fuori dalla porta stamattina per andare a messa... cielo, la messa! Mi alzo di colpo, ma poi noto un bigliettino sul comodino giacché mi ero girata per vedere l'orario. Lo afferro: "Ho accompagnato mia madre a messa. Non ti ho svegliata perché tu sai. Evita di uscire, è prevista una tromba d'aria nella mattinata, ma sarò di ritorno prima. –N."

Bhe, sono le undici del mattino, molto tardi anche per provarci a raggiungere gli altri, nonostante io sappia dove sia la chiesa. Mei ci teneva così tanto...

. . .

Mi sono lavata, vestita, e tutto questo tempo da sola inevitabilmente mi ha portato a riflettere. Ieri sera è uscita da me una paura che avevo fin dai tempi rispetto Nohea, ancora prima, ai tempi del mio primo vero anno al collage. Mi sono sempre sentita troppo poco per lui, ed è un dato di fatto. È un mio problema lo so, ma ciò è maggiormente cresciuto dopo che ho saputo di Slava. Questo perché lui quando mi lasciò nell'albergo in Texas quel giorno, lo fece dicendomi che lui aveva bisogno di una persona che consocesse tutto di lui, ogni genere di cosa prima ancora che lui dovesse dirla. Tutto si è risvegliato in me due giorni fa, quando mi sono sentita in dovere di farlo essere migliore, come se potessi. Ora lui però è cambiato, è davvero diverso con la sua famiglia, ma non per merito mio, e probabilmente ciò mi lascia ambigua. È solo qualcosa che devo risolvere con me stessa. Io credo, mi fido di Nohea, voglio davvero farlo, e quando dice che cerco di distruggerci probabilmente è vero. Non sprecherò un secondo in più a comportarmi in quel modo, anzi, voglio godermi questo giorno come se ci fosse mia madre e papà attorno al tavolo della cena del ringraziamento.

Mi dirigo così verso il salone, per poter spiare dalla finestra e vedere se qualcuno è in arrivo, e non appena entro noto Maui che nota a sua volta me. <Buongiorno!> dico.

<Ciao!> mi saluta, e sembra molto più aperto a me risetto quella sera.

<Buon ringraziamento!> aggiunge anche, mentre vado a sedermi sul divano frontale a quello dove è seduto lui.

<Buon ringraziamento!> ricambio.

<Credevo tutti foste a messa.> dico poi per fare conversazione e non morire nel silenzio imbarazzante.

<Non sono credente.> mi dice lui chiudendo il libro che leggeva.

<Tu? Mormone mi ha detto mio fratello.>

<Non più ormai.> rispondo facendo spallucce. Annuisce, così di riflesso inizio a farlo anche io.

<Nohea mi ha parlato molto di te.> dico così.

<Cosa ci posso fare, sono tutto per lui...!> schiocca l'occhiolino scherzosamente. Ridacchio.

<Cose belle spero...> aggiunge poi, ma sembra timoroso.

<Oh sì, ognuna. Ci tiene molto a te...> dico poi. Lui annuisce imbarazzato.

<E lui a te...> aggiunge poi, ed è bello sentirselo dire.

Oasi ProibitaWhere stories live. Discover now