CAPITOLO 12.2

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Quanto era passato?
Non lo sapeva.
Quanto ancora doveva stare lì dentro?
Non lo sapeva.
Chi era disposto ad aiutarla?
Non lo sapeva.
C'era solo una cosa di cui era davvero sicura la giovane strega rinchiusa ad Azkaban: il suo nome.
<Il mio nome è Robin Chelsea Crouch. . .>
Lo ripeteva in continuazione.
Ma non sapeva come andare avanti.
Come avevano previsto i mangiamorte, tutta la fiducia che Robin riponeva in Silente si stava pian piano affievolendo.
Persino quella in Alastor.
Temeva di essere stata abbandonata e che nessuno sarebbe stato in grado di salvarla.
Forse si doveva salvare da sola. . .
Era questo che intendeva Silente quando l'aveva salutata?
Robin si alzò a fatica e si mise in punta di piedi per guardare il panorama: la solita pioggia incessante e le onde mostruose che si infrangevano contro le pareti esterne della prigione.
Probabilmente, se fosse uscita da quella maledetta cella, avrebbe cominciato a odiare la pioggia, ma, stando rinchiusa, la trovava quasi piacevole.
Una distrazione da tutte le urla strazianti che provenivano dalle altre celle.
I muri non riuscivano a trattenerle, sebbene fossero belli spessi.
Non rimase molto tempo affacciata alla finestrella: quella poltiglia che le davano da mangiare non era affatto consistente e lei era dimagrita e si era indebolita parecchio.
Aveva imparato a convivere con i dissennatori che giravano per i lugubri corridoi di Azkaban.
Un improvviso calo della temperatura, fece capire a Robin che era in arrivo un dissennatore.
Si rintanò sotto la coperta e diede le spalle alle sbarre, nella speranza di limitare i danni causati dalla creatura.
Però un altro briciolo della sua felicità se ne andò.
Robin respirò a fondo, dopo essere rimasta in apnea per quale secondo, e buttò fuori tutta l'aria sonoramente.
Ci mise un po' per girarsi e capire che il dissennatore le aveva portato una razione di cibo.
Ma non sarebbe mai stata in grado di capire se quella era la poltiglia del pranzo o quella della cena.
La mangiò razionandola. Nonostante tutte le proprietà nutrizionali, man mano che restava la poltiglia nella scodella, diminuivano sempre di più.
Le venne in mente, di nuovo, la frase di Silente.
Il preside era sicuro che lei sarebbe riuscita a scappare. Ma in che modo?
Quasi sicuramente sarebbe riuscita a passare tra le sbarre dato che era diventata magrissima, ma i dissennatori erano sempre in agguato.
Si girò verso la finestrella. . . Oh no! Era sì sottopeso, ma non si era mica rimpicciolita!
Doveva esserci altro.
Qual era l'incantesimo preferito di Bellatrix Lestrange, dopo la maledizione cruciatus, ovviamente?
Robin se la ricordava perfettamente: bombarda maxima.
Avrebbe potuto causare una grandissima esplosione. Ma sarebbe riuscita a scappare?
Non nuotando.
Non poteva richiamare il suo manico di scopa. Chiuso chissà in quale magazzino della scuola.
Era in trappola.
E lo sarebbe stata per un bel po'.

Robin si addormentò senza accorgersi che il dissennatore era passato di lì a raccogliere la sua ciotola perfettamente ripulita.
La Morte non guardava in faccia nessuno.
Era tornata a farle visita nei suoi sogni e l'aveva tormentata con la storia dei Doni e della possibilità di rubarli ai legittimi proprietari.
Robin si era risvegliata di soprassalto, con una voglia matta di evadere da quella maledetta cella.
Si mise seduta. Richiuse per un secondo gli occhi e inspirò a fondo.
Animagus.
Lei era un animagus.
Si lasciò scappare un ghigno.
Controllò che nessun dissannatore fosse nei paraggi.
Aveva un tentativo. E le probabilità di successo non erano elevate.
Bombarda maxima.
La spessa parete che la divideva dall'esterno esplose in un milione di pezzettini.
La pioggia cominciò a riempire la cella, bagnando i piedi nudi di Robin.
La ragazza batté le mani dalla gioia. <Scusatemi,> disse. <ma Azkaban non è il mio posto ideale.>
Si trasformò in aquila e si allontanò, volando, da quella dannata cella e dalla prigione di massima sicurezza.
Avavnzare attraverso quel muro di pioggia si rivelò più difficile del previsto. L'acqua le bagnava le piume e le batteva contro gli occhi.
Non poteva fermarsi a riposare.
In primis perché i dissennatori l'avrebbero raggiunta. E, poi, perché non c'era nulla su cui appoggiarsi.
Chissà dove stava andando. . .
Ecco quale sarebbe stato il triste destino di Robin Chelsea Crouch: dispersa nel mare.
Così, però, mi deludi, Robin.
Va' leggermente ad Ovest, altrimenti ti ritroverai in Scandinavia. A Durmstrang, forse.
Grindelwald non avrebbe mai potuto lasciare indietro Robin.
La ragazza cominciò a sbattere più in fretta le ali.
Doveva decidere dove andare.
Era fuori questione recarsi da qualche parente, oppure a Hogwarts.
Intravide la terraferma. Delle immense praterie coperte di nevischio riempivano sempre di più la visuale di Robin, la quale iniziò a perdere, volutamente, quota.
C'era una sola persona di sua conoscenza che viveva in Scozia, ma Robin non se la sentiva di disturbarlo. E di metterlo, di nuovo, in pericolo per colpa sua.
Si appollaiò sul ramo di una quercia per riprendere fiato.
Non vai dal tuo amico?
Non voglio metterlo in mezzo. . .
Oh diamine, Robin! Metti da parte la tua voglia di restare nell'ombra e va' da Moody.
Non lo so. Penso di potermela cavare.
Quanto pensi che ci metteranno a trovarti?
Non ti salverà nessun ammendamento.
Dove mi trovo?
Onestamente non ne ho idea. Vedi degli insediamenti urbani?
Per Godric, non lo so. . . Mi gira la testa e non vedo l'ora di trovare la casetta di Alastor.
Casetta?
Villa?
Percepisco la tua ansia.
La Morte ti ha mai fatto visita in un sogno?
No.
Fantastico.
Me lo racconterai?
No.
Forse dovresti andare verso Est.
Tra qualche minuto riparto.
Robin spicco nuovamente il volo e andò verso Est.
Rammentava a stento come era fatta la casa di Alastor.
Era grande, vecchia, scura, con un tetto.
Ma non fu così difficile trovarla.
Un vero e proprio pugno dell'occhio.
Alla faccia dell'impatto visivo. . .
Commentò Robin tra sé e sé.
Doveva esserci un campo di forza, una barriera, o un qualcosa che impedisse agli estranei di avvicinarsi a essa. Ma Robin atterrò proprio di fronte alla porta d'ingresso, caratterizzata dallo stemma della famiglia Moody, una delle più antiche purosangue della Scozia.
Robin tornò ad avere le proprie sembianze.
Che senso avrebbe avuto bussare? Probabilmente Alastor era a dormire.
Alohomora.
<Complimenti per la sicurezza. . .> disse Robin, vedendo che la porta si aprì senza troppe difficoltà.
La ragazza sorrise. Dopo quasi due mesi, poteva finalmente scaldarsi.
Si avvicinò al camino, ancora accesso, e si accovacciò con le braccia tese verso la calda fiamma che ardeva gli ultimi pezzi di legno.
Quanto ci avrebbe messo il padrone di casa ad accorgersi che una criminale era riuscita a entrare in casa sua.
<Dai, Alastor, svegliati.> sussurrò Robin, mentre si sedeva sul pavimento in pietra della villa.
Non le ci volle molto per capire che il suo amico era in compagnia.
L'odore dolciastro che riempiva la stanza, aiutò Robin a capire di chi si trattasse.
<Chi sei? Come hai fatto a entrare qui?>
Se l'aspettava.
Si rialzò con le mani alzate e si girò con cautela, quasi timorosa di essere giudicata.
<Ho pensato di passare il Natale in compagnia, se permetti.> rispose lei, girandosi definitivamente e guardando negli occhi l'auror.
<Per la barba di Merlino!> esclamò lui abbassando l'arma.
Si avvicinò alla ragazza e le sfiorò la spalla con estrema delicatezza, come se il suo tocco potesse sgretolargliela.
Robin si gettò tra le sue braccia, cogliendo di sorpresa Alastor, il quale ricambiò immediatamente il gesto.
<Ma come ci sei riuscita?> chiese.
Robin intuì all'istante che si riferiva alla sua evasione.
Neanche lei credeva di essere davvero sana e salva. Ma, soprattutto, lontano dalla prigione dei maghi.
<I-Io... non lo so, davvero. . . È successo e basta.> rispose lei con voce tremante. <Preferivi vedermi dietro alle sbarre, per caso?>
<Non dirlo neanche per scherzo!>
<E dimmi, Alastor. . .> ridacchiò Robin. <Non ti pare il caso di chiamare anche Dolores? Almeno per dirle che non stai fronteggiando un mangiamorte.>
<Ma come hai. . . Vabbé, lasciamo stare.
Adesso la vado chiamare, se ci tieni tanto.> poi si voltò per guardarla un attimo. <Siediti. Avanti, fa' come se fossi a casa tua, piccoletta.> disse facendole un cenno.
Robin ringraziò. Dopodiché si stravaccò sul sofá presente nella stanza.
C'erano anche delle poltrone, ma non aveva affatto le forze per restare seduta con la schiena dritta e i piedi ben saldi sul pavimento.

L'Erede di GrindelwaldWo Geschichten leben. Entdecke jetzt