CAP.XCIII Incubo senza fine

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A volte la mente elabora disegni strani.

Crea forme e colori che poi si rivelano solo il frutto della più pura immaginazione.

Io voglio pensare che sia esattamente quello che sta accadendo dentro il mio cervello in questo preciso istante.

Tutta una finzione.

Respiro a fatica, incapace di muovere un solo muscolo.

Il mio corpo si è ibernato sul posto, come un iceberg statico in mezzo al mare. Le gambe non sono in grado di mettersi in moto e gli occhi di abbandonare il centro di quelle iridi grigie e dilatate.

Mio padre.
Non è possibile.
Non è vero.

Niente di tutto ciò può appartenere seriamente alla cruda e concreta realtà.

L'auto metalizzata al centro della stanza, il sangue a terra vicino al coltello e Riccardo che si tiene il braccio destro colpito.

Vorrei gridare, anche solo per sapere che non sto sognando, ma la voce è intrappolata al di sotto delle corde vocali, incapace di essere liberata.

Un paio di secondi sembrano eterni.
Nessuno fiata, nessuno si muove.
Tutto tace in bilico tra stupore e sconcerto.

Poi l'uomo che è l' esatto corrispettivo di mio padre fa un passo nella mia direzione.

Sussulto e Riccardo si scuote come risvegliato da un potente incantesimo.

Con una mossa lesta recupera il telefonino da terra e sposta le gambe verso di me, precedendo qualsiasi gesto dell'uomo di fronte.

In un lampo mi ritrovo affiancata a Riccardo, che afferrandomi stretta per un polso, mi trascina via.

La sua determinazione vince l'insormontabile forza di gravità posseduta dai miei piedi. Un ringhio sommesso proviene dal casottino mentre noi due ci allontaniamo nel boschetto a falcate sempre più lunghe.

La mano di Riccardo mi stringe il polso così forte da fare male ed io con il cuore a mille e il respiro in superficie mi lascio guidare sul sentiero e di nuovo al giardino prossimo alla villa.

Ho la testa confusa e sottosopra e lascio all'istinto il ruolo di padrone. Come una gazzella che fugge dal leone, mi affido completamente ai miei sensi. sensi che suggeriscono di seguire Riccardo, ovunque vada, ovunque mi conduca.

Sono letteralmente sotto shock.
Allibita, frastornata, sconcertata.
Mi sembra di essere atterrata in un mondo parallelo, fatto di quesiti segreti e verità nascoste.

Riccardo frena di fronte alla cinta muraria e caccia indietro un'atroce gemito di rabbia, - Cosa diavolo significa Arianna? – I suoi occhi mi raggiungono infuriati, - Cosa diavolo vuol dire tutto questo? -

Lo guardo sgomenta e scuoto la testa.
Ho perso le parole e la ragione.

Lui si infuoca sempre più, - Tuo padre? - Le sue labbra si muovono in sincronia con il tremito delle mie mani, - Quello è tuo padre? -

Annuisco e al contempo scuoto la testa.
Non so più chi sono io. Chi è lui.
Non so più cosa sto facendo e dove mi trovo.

Riccardo ringhia feroce e si volta verso il rumore dei passi che stanno raggiungendoci e poi di nuovo contro di me, - sali su questo dannato cancello! – urla.

Faccio come dice e, senza troppe domande mi porto in alto con slancio. La caviglia pulsa mentre impilo un piede dietro l'altro sulle sbarre di metallo. Ma non c'è tempo per darvi importanza. La paura e la fretta sono molto più importanti in questo momento.
Riccardo mi segue nell'arrampicata.
Reprime delle lancianti fitte di dolore alla spalla e cerca di forza in entrambe le braccia per aggrapparsi saldamente alle sbarre di ferro.
L'adrenalina è più forte del male della ferita e lo porta a resistere e a lottare, fino alla fine, fino allo stremo.

IO + TE ( #WATTYS2015 )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora