5 ||non fare questo ad Azzurra||

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L'infermiera addetta ai pasti mi posa davanti un vassoio con una ciotola posata sopra, io la ringrazio con il sorriso più falso che riesco a fare, lei sembra non accorgersene, oppure fa finta di niente.
Appoggia poi un vassoio davanti anche a Rocco, che però è seduto alla scrivania. Ci saluta ed esce dalla nostra stanza. Sospiro e guardo la mia ciotola, ho quasi paura di aprire il coperchio, perché già non ho molta fame, sentire l'odore del cibo riscaldato, che danno all'ospedale, ma la farà diminuire ancora di più. Nonostante tutto però apro la ciotola, l'odore mi fa rivoltare lo stomaco
-sono obbligata a mangiare?- sto riconsiderando il fatto di tenermi la flebo, Rocco non risponde ma annuisce mentre mastica con calma, ma come fa? Lo guardo con una smorfia, e poso di nuovo lo sguardo sul mio vassoio.
Apro il sacchetto che contiene le posate. Prendo una forchettata di pasta, chiudo gli occhi e apro la bocca.
Odio la pasta dell'ospedale. È cruda e senza sapore, ma almeno non vomito. Mastico e deglutisco, cercando di non concentrarmi troppo sul gusto.
Vedo Rocco fare un sorriso vittorioso
-che hai tanto da ridere tu!?- dico a denti stretti
-fai ridere, ecco cosa- dice con la solita smorfia inespressiva, poi di colpo inizia a tossire con forza senza riuscire a smettere, fatica anche a respirare. Lui si alza dalla sedia, mentre io lo guardo con occhi spaventati, vorrei poterlo aiutare ma solo alzandomi da qua, potrei creare altri problemi. Va verso il suo comodino, prende l'inalatore per l'asma, ispira profondamente e lentamente torna a respirare normalmente, si appoggia al suo letto e guarda il pavimento. Io incosciente di aver trattenuto l'aria, espiro di colpo
-tutto bene?- gli chiedo
-sì sì tutto bene- mi dice respirando lentamente. Abbasso lo sguardo su quella disgustosa pasta. Cazzo è vero per essere qui deve avere anche lui un problema o qualcosa, ci penso solo ora. Alzo lo sguardo verso il mio compagno di stanza
-Rocco perché sei all'ospedale?- chiedo, lui alza lo sguardo di scatto e lo vedo irrigidirsi
-cazzi miei- risponde freddo e distaccato, decido di non chiedergli nulla perché nemmeno io voglio parlare del mio passato, o di come mi sento. Preferisco tenermi i miei problemi per me, senza lasciare che nessuno sappia nulla. La stanza cala in un silenzio, finché non decido di rompere il silenzio
-in che reparto dell'ospedale siamo?- è una domanda che mi è sorta solo ora
-siamo nella parte psichiatrica dell'ospedale, qui fanno tutto quello che si fa in un ospedale normale, e in più abbiamo anche gli strizzacervelli, che fanno degli incontri ogni due giorni, e tutti siamo tenuti a partecipare- mi dice sempre appoggiato al suo letto e con lo sguardo basso. Mi ci volevano proprio quei centri di assistenza, con gli strizzacervelli, che esigono di sapere la tua storia, pensando di riuscire a guarirci, poveri illusi, non è così che si risolvono i problemi. Se ci obblighi a parlare non fai altro che renderci la vita più difficile, dobbiamo essere noi a chiedere aiuto non il contrario. Possibile che nessuno l'abbia ancora capito, eppure non è così difficile da capire.
-cazzo- impreco, Rocco alza lo sguardo
-che c'è?- io lo guardo
-gli strizzacervelli, sono degli stupidi idioti- dico incrociando il suo sguardo, lui fa un cenno di conferma, dandomi ragione -quand'è il prossimo incontro?-
-domani sera- dice sospirando, sospiro anch'io. Stiamo in silenzio, tutti e due con i nostri pensieri. Rocco torna a sedersi sulla scrivania e finisce di mangiare.
Io mangio altri tre bocconi e poi metto il vassoio sul mio comodino, non riesco più a mangiare, perché non ho ne fame ne voglia di mangiare quelle schifezze.

Quando anche Rocco finisce va a sedersi sul suo letto.
-in questi momenti mi servirebbe il mio telefono, solo per la voglia di sfogliare Instagram- riflette lui ad alta voce
-non possiamo usare i cellulari vero?- annuisce -me lo aspettavo- sbuffo. Rocco ha ragione, è strano il bisogno che sento, ma lo sento. Ormai la nostra generazione, vive o quasi attaccata al proprio telefono. La cosa un po' mi dispiace, non ci sono più le amicizie di una volta, non ci sono più i pomeriggi al parco, a parlare o a guardare le nuvole.
Ora si è tutti attaccati ad uno schermo.
La tecnologia avvicina che ci è lontano, ma allontana chi c'è vicino.
La nostra società d'oggi ragiona così, se sei presente sui social tutti sanno chi sei, se non ci sei non sanno nemmeno che esisti.
Odio ammetterlo ma anch'io sono così, non ragiono così, ma sento anch'io il bisogno di entrare sui social, ma non lo posso fare.
-tv?- mi chiede Rocco interrompendo i miei pensieri, annuisco, lui si alza prende il telecomando e accende la tv appesa alla parete, mette un canale a caso, in cui fanno un programma noioso. Alzo gli occhi e guardo il soffitto, in questi momenti è molto interessante. Non posso pensare, non posso lasciare che i pensieri mi travolgano e mi portino via. Devo trovare qualcosa da fare, qualsiasi cosa, basta che non sia pensare, se penso sto nella merda. Se penso finisce che mi faccio del male e basta, e non posso farcela, sono troppo debole ora.
Apro il primo cassetto del mio comodino all'interno ci trovo due, tre riviste, le guardo e ne cerco una che possa interessarmi, e inizio a leggerla. Anche se leggo solo quello che interessa i cantanti e gli attori che conosco.
Leggo di Lili e Cole, la mia coppia televisiva/reale preferita, sono due protagonisti di Riverdale che oltre a stare insieme nella serie tv, stanno insieme anche nella realtà.
Vedo i Coldplay, erano la band preferita di Vale, mi si stringe il cuore, e i ricordi mi travolgono

-uffi Carly, non è giusto, io volevo andare a quel cavolo di Instore- dice sbuffando mentre incrocia le braccia, io alzo lo sguardo dal libro di matematica e la guardo sorridendo, siamo in biblioteca da due ore ormai, e Valeria non smette di lamentarsi. Oggi i Coldplay, avrebbero fatto un instore qui vicino, io e lei non ci siamo potute andare
-dai Vale ne faranno altri, tranquilla- le dico accarezzandole una spalla, lei mi lancia una delle sue occhiate -dai ti prometto solennemente che andrai ad un loro concerto e ad un loro instore okay?- le dico porgendole il mignolino, mentre sorrido, lei un po' titubante me lo stringe, come facevamo da piccole
-promesso- diciamo insieme mentre ci sorridiamo

Promessa che non ho mantenuto ovviamente, odio avergli promesso cose che lei non potrà più fare, odio che la sua speranza si sia spezzata. Odio che lei se ne sia andata prima che noi potessimo fare tutte le pazzie che avevamo in mente, dovevamo fare così tante cose insieme, dovevamo andare a tanti concerti, fare figure di merda, andare in discoteca, diventare zie, farci da damigelle. Avevamo ancora tutta una vita davanti insieme, ma il destino ha deciso di portarmela via troppo presto, lasciandomi sola. Stringo la mia mano attorno al mio polso così forte da fermare il sangue, e sento i miei respiri accelerare
-Carly tutto bene?- mi chiede Rocco, avrà sentito il mio respiro che aumenta, non ottenendo risposta volta lo sguardo verso di me, e si alza di scatto, si avvicina al mio letto e mi guarda mentre mi prende la mani -Carly no, Carly smettila, Carlotta non ti fare del male, avanti molla la presa- io non ascolto e continuo a stringere -Carlotta per favore, non farmi chiamare le infermiere, smettila okay?- mi prende per il polso della mano che stinge l'altro polso, e lo accarezza lentamente sopra le fasce, e mi guarda.
Io tengo lo sguardo basso, con l'altra mano mi alza il volto mettendo due dita sotto il mio mento. Guardo le sue iridi verdi che mi dicono, mi pregano di smettere.
-non fare questo ad Azzurra-
Il mio pensiero va subito ad Azzurra, e ai suoi occhietti azzurri Io lentamente mollo la presa nel mio polso.
Io chiudo gli occhi e ascolto i battiti del mio cuore, che si erano velocizzati tutto ad un tratto. Rocco continua a guardami negli occhi, anche se io vorrei solo rannicchiarmi su me stessa, e non dover dire nulla. Per un momento i suoi occhi sembrano preoccupati, ma poi tornano i soliti di sempre, indifferenti, come i miei. Guardo l'ora sull'orologio, vedo lo sguardo di Rocco seguire il mio, sono le 10:40
-meglio andare a dormire tra un po' spengono tutte le luci- mi dice tornando a guardarmi io annuisco, lui mi prende in braccio e mi porta in bagno -vado a prenderti il borsone che ha portato qui Samuele il primo giorno- poi esce dal bagno, lasciando la porta aperta, avrà paura di cosa posso fare. Fa bene, avrei paura anch'io di me stessa.
Quando torna ha in mano un borsone, me lo passa, io lo apro e ci frugo dentro, lo devo ammettere, il mio migliore amico sa come preparare un borsone, all'interno trovo altri 4 pigiama, vari asciugamani, phon, 2 cambi puliti, intimo, spazzola, deodorante, profumo(anche se non credo mi possa servire), spazzolino e dentifricio. In quel momento sento il bisogno di cambiarmi, così faccio uscire Rocco e mi cambio intimo e pigiama, vorrei farmi una doccia, ma con la flebo non posso.
Mi lavo i denti e mi spazzolo i capelli, non so perché lo faccio, ma è un'abitudine che non riesco a togliermi di dosso.
Chiamo Rocco che entra e mi riporta nel mio letto, poi è il suo turno di andare in bagno. Sembra che quello che è successo cinque minuti fa non sia mai esistito, e forse è meglio così, niente domande, niente bugie. Così è decisamente meglio. Mi rimbocco le coperte e mi giro verso la finestra, ovviamente non riesco a vedere nulla, perché è buio, ma riesco ad intravedere alcune lucine, quando Rocco esce dal bagno, mi giro e lo guardo
-a che piano siamo?-chiedo
-ottavo piano, si abbiamo una bella vista- mi risponde.
Va a buttarsi nel suo letto e spegne la luce, dopo un momento di silenzio dice
-si vede che vuoi bene a tua sorella e che faresti tutto per lei, sei una brava sorella- dice, io sospiro e annuisco al buio, sapendo che non mi può vedere.
-buonanotte Carlotta-
-buonanotte Rocco-
Chiudo gli occhi e mi addormento, lasciando che tutta la stanchezza di oggi scivoli via.

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