18||piccola terrazza||

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Una settimana, una fottuta settimana da quando mi sono svegliata.
Credo di star per impazzire, dico sul serio, non ce la faccio più, ogni giorno tra queste mura, ogni giorno nella monotonia, ogni giorno le stesse cose, comincio ad odiare l'odore che c'è qui dentro, non che prima mi piacesse, almeno ora riesco abbastanza a camminare da sola, non riesco a correre, ma riesco a fare piccoli tragitti. Azzurra e Samuele vengono ogni giorno a vedere come sto, io e Michele stiamo iniziando a diventare amici. Dei miei genitori ancora nemmeno l'ombra, non so forse si sono dimenticati che esisto, Azzurra mi racconta che a casa non parlano mai di me.
Ogni due sere vado all'incontro, io e Vanessa stiamo iniziando ad essere amiche, qualche volta lei è venuta nella mia stanza e io nella sua. Ho scoperto che Nicolas, è ricoverato perché ha tentato il suicidio, per cyberbullismo, è gay. Da quando me l'ha detto gli ho detto che avevo sempre voluto avere un amico gay, niente potrà farmi dimenticare il sorriso che ha fatto in quel momento.
La stanza che condivido con Rocco, comincia ad essere anche a mia, infatti ci sono le casse con l'iPod, con vicino le mie inseparabili cuffie, che mi hanno tenuto compagnia le notti in cui Rocco crollava e non riusciva a rimanere sveglio, o meglio quando io lo obbligavo a dormire. Insieme a loro, sopra la scrivania ci sono 5 dei miei libri preferiti, che a volte sfoglio, leggendo le parole sottolineate, e il libro di Cenerentola, che a volte leggo ad Azzurra. Sul mio comodino c'è la foto con Azzurra con il mio libro preferito, mentre chiuso, sul cassetto del comodino, sotto chiave c'è l'album di fotografie, che a volte sfoglio con Samuele, o Azzurra oppure con Rocco, che a volte vede che una foto mi provoca un ricordo un po' più pesante del solito, decide di cambiare subito argomento.
A proposito di Rocco, stiamo iniziando a conoscerci. Ogni notte, o quasi, la passiamo a fare qualcosa insieme, che sia parlare che sia a giocare o che sia a fantasticare su cosa ci piacerebbe fare una volta usciti da qui. Quando Riccardo, dopo alcuni incontri mi dice che vuole parlarmi, il mio compagno di stanza mi rassicura dicendomi sempre che per qualsiasi cosa lui c'è. Ho ancora la sua felpa, mi sa che non la riavrà mai. Ieri sera ha avuto una crisi, di sicuro è preso meglio di me visto che io ho un crisi una sera sì e l'altra anche, ma sempre una crisi ha avuto. Stavamo giocando a Mario Kart, l'ho visto iniziare a tremare, perciò ho lasciato il joystick sul letto, e mi sono avvicinata a lui. Gli ho chiesto se andasse tutto bene, lui non ha risposto ma mi ha guardato aveva gli occhi rossi, mi ha solo detto che ne aveva bisogno, prima quasi sottovoce e poi urlando. Credo di aver avuto davvero paura, non sapevo che fare, allora ho reagito d'impulso. Gli ho preso le mani e le ho strinte, l'ho guardato negli occhi, e gli ho parlato sottovoce, raccontandogli un cosa che non centrava nulla, mi pare che di avergli raccontato di un pomeriggio, in cui ho fatto una passeggiata ma ha iniziato a piovere e sono tornata a casa correndo. Rocco all'inizio ha opposto resistenza, respirava male. Ma alla fine, il suo respiro si è regolato ed è tornato in sé. Mi ha abbracciata.

Ora sono sulla piccola terrazza del bar dell'ultimo piano, ho scoperto che si chiama piano di evasione, o meglio è come lo chiamiamo noi, in verità il vero nome non lo so e non lo voglio sapere, mi piace chiamarlo così, perché è il posto che mi fa sentire normale, se non fosse che ho il pigiama e ancora la fasciatura ai polsi. Da quando ho scoperto questa piccola terrazza, passo molto tempo qui, mi piace sentire il vento che mi accarezza la pelle, vedere tutto dall'alto, rendermi conto che fuori la vita continua, non si è fermata per me.
A volte mi chiedo se a scuola si preoccupano per me, soprattutto la prof di Italiano, che leggeva i miei temi e che aveva studiato il linguaggio del corpo. Mi ricordo che una volta mi aveva fermato dicendomi che per qualsiasi cosa, lei era disponibile, non so se aveva capito che mi tagliavo. Mi piace respirare l'aria "pulita", non ne posso più dell'odore del disinfettante, che c'è per tutto l'ospedale.
Sento qualcuno toccarmi la spalla, io mi giro e trovo Matilde con una tazza di cioccolata calda tra le mani, le faccio un piccolo e prendo la tazza tra le mani
-Grazie Matilde- la ringrazio, lei sorride
-non mi ringraziare cara- mi dice e poi torna dentro il locale. In questi ultimi giorni, sto iniziando a sorridere un po' di più, non sorrisi a trentadue denti, per quelli ho ancora bisogno di tempo, ma piccoli sorrisi a qualcuno li dono.
Torno a guardare il panorama, mentre la tazza mi scalda le mani. Matilde è una delle donne più umili e dolci del mondo. Ogni volta che mi vede, mi abbraccia e poi mi lascia venire qui nella terrazza dietro il bancone, mi lascia sola e va a prepararmi la cioccolata. Ormai anche questa è monotonia. Guardo l'orizzonte e immagino il mare, mi manca molto, sentire il rumore delle onde che si infrangono negli scogli, l'odore che c'è solo lì, la sabbia tra i piedi, i tramonti, le albe. Mi ricordo la casa al mare, era bellissimo addormentarsi con il rumore delle onde, e svegliarmi a vedere il sole che sorge, amavo svegliarmi presto e andare a sedermi sulla sabbia ad ascoltare il mare, magari mentre leggevo un libro, era bellissimo mi manca una sacco.
I falò sulla spiaggia, le notti a dormire sopra un asciugamano, le pizze sugli scogli.
Quanti ricordi legati a quel cazzo di posto, quanto vorrei tornarci.
Sento qualcuno toccarmi i fianchi, mi giro e vedo Rocco
-ehi- mi dice quasi sussurrando
-ehi, che succede?- chiedo guardandolo e distogliendo il mio pensiero dal mare, lui prende posto accanto a me, e si mette a guardare il panorama
-beh niente, volevo solo venire qui. A che pensavi?- dice continuando a guardare l'orizzonte, io torno a guardare l'orizzonte
-al mare- dico chiudendo gli occhi, e sentendo quasi il rumore delle onde -mi manca tanto-
-vorrei andarci ora, camminare sul bagnasciuga i piedi nell'acqua, il rumore delle onde- dice sospirando -okay parliamo d'altro prima che mi venga una voglia di andarci che parto di corsa- io faccio un piccolo sorriso aprendo gli occhi e guardandolo. Lui gira lo sguardo verso di me, e guarda la tazza di cioccolato, io capisco che ne vuole così gli offro la tazza, lui sorride e ne beve un sorso. Fa un cenno di ringraziamento con il capo mentre mi ripassa la tazza. Io ne bevo un sorso, e sento il mio petto scaldarsi, una delle sensazioni più belle al mondo. Come se il calore della cioccolata di propagare in tutto il mio petto e mi facesse sentire meglio. È una sensazione strana da spiegare ma bellissima
-tra un po' dovrebbero arrivare Samuele e Azzurra, e forse Michele, quello di solito è sempre in ritardo- dice guardandomi,
-allora meglio andare a chiamare Vanessa e Nicolas- dico alzando le spalle, lui annuisce. Torniamo dentro il bar, e ci avviamo verso gli ascensori, cammino abbastanza ora, non fa poi più così male. Certo avere dei lividi non mi ha aiutato quando è arrivata l'ora di provare a camminare, infatti per un giorno volevano darmi le stampelle, ma ho provato a fare un passo con le stampelle, e mi sono sentita come se un camion mi fosse passata sopra, avevo male ovunque. Perciò quando ho iniziato, ho iniziato da sola, senza stampelle ne altro.
Devo ancora ben capire cosa sia successo, ma per quel che ho capito quando mi hanno trovato ero in lago di sangue, e avevo già il taglio in fronte, i lividi e la caviglia gonfia. Sono arrivata alla conclusione che il taglio me lo sono fatta cadendo, la caviglia e i lividi non ne ho la più pallida idea, ma intendo scoprire come cazzo me li sono fatti. Io e Rocco prendiamo l'ascensore, e scendiamo all'ottavo piano, e andiamo verso la stanza 15.

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