10 ||l'ultimo piano||

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Dei pugni battono sulla porta, ed entra un ragazzo dagli occhi color nocciola, così intenso, che ti calma quasi, ti rilassa. Sembra quasi il colore delle castagne in autunno, oppure della cioccolata calda. Ha un ciuffo biondo cenere che gli ricade sugli occhi, è abbastanza alto, più o meno l'altezza di Rocco e ha un sorriso sulle labbra. Indossa dei pantaloni neri strappati, e una felpa verde militare. A questo ragazzo decisamente non manca lo stile.
Quello che però attira la mia attenzione è il septum che luccica. Rocco seduto sul mio letto lo guarda, poi si alza e si avvicina a lui quasi sorridendo
-ehi fra, come stai oggi?- gli chiede il mio compagno di stanza, mentre si battono il pugno
-a me chiedi come sto? Come stai te più tosto, lo skate park, senza di te non è più lo stesso- dice occhi color nocciola.
Io me ne sto zitta, ascoltando questi due, e guardandoli cercando di capire. In verità credo sia meglio così, spesso preferisco stare zitta e ascoltare gli altri. Almeno non sono costretta a parlare di me.
I due ragazzi continuano a parlare, mentre si danno pacche sulla schiena. Noto che però occhi color nocciola ci va con calma con le botte a Rocco. Lo vedo, perché so come si danno le botte i maschi, lo so. L'ho visto per tanto tempo, a stare in un angolo senza che nessuno se ne renda conto ti fa imparare tante cose, come ad esempio, il fatto che due ragazzi quando si devono salutare, ci vanno giù pesante tra di loro, finendo anche con il farsi male. Tutto ciò solo per scherzare. Ma a loro sembra non importare, non ho mai capito cosa ci trovino di così speciale, nel farlo. Li guardo per un bel po', mi serve poco per capire che sono migliori amici, anzi quasi fratelli, non di sangue, ma di vita sì, sono decisamente fratelli di vita. Lo vedo nei loro occhi, il bene che si vogliono, la voglia di proteggersi l'un altro. Si vogliono bene, un tipo di bene raro da vedere, sono certa che morirebbero l'uno per l'altro. Mi piace guardarli, sono come dire, in un mondo loro, ed è per questo che ho sempre preferito l'amicizia tra maschi che quella tra femmine.
Tra maschi non ci sono bugie, non hanno paura di dirsi certe cose, mentre l'amicizia tra femmine è un po' più complicata in questi argomenti. Noi donne siamo più complicate.

Rocco ad un certo punto della conversazione si ricorda di me, si gira e mi guarda, io esco dalla trans dei miei pensieri e incrocio il suo sguardo. Sento che dopo il discorso che abbiamo fatto e le conversazione che abbiamo avuto, il nostre legame stia iniziando a crearsi, su delle forti basi. In verità non so nemmeno se si stia creando, ma se dobbiamo essere compagni di stanza, per un po' di tempo, meglio andare d'accordo. Non mi va di essere come nei libri, che i due compagni di stanza si odiano e non fanno altro che litigare e urlarsi addosso. No grazie, una nota positiva di essere all'ospedale è che almeno non devo subirmi tutte le urla dei miei. Subito dopo questo pensiero, i sensi di colpa verso mia sorella, mi si scagliano addosso, perché lei a contrario mio ora li deve affrontare da sola, e questo solo per colpa mia. Ora mi sento realmente uno schifo.
-Rocco non mi presenti alla tua fantastica amica?- dice occhi color nocciola guardandomi e facendomi l'occhiolino, io giro gli occhi, e lo guardo storto, il mio sguardo poi si posa su Rocco, che sta fulminando il suo amico con un sguardo. Sembra capire, cosa penso. Il mio compagno di stanza sospira
-Carlotta questo è Michele, il mio migliore amico, Michele questa è Carlotta, la mia compagna di stanza- dice presentandoci, occhi color nocciola allora è il famoso migliore amico di Rocco, quello che l'ha portato qui all'ospedale. L'ho detto fin dall'inizio che sarebbero morti l'uno per l'altro. Se come prima impressione, appena ha parlato, Michele mi è sembrato un po' un pallone gonfiato come il mio compagno di stanza, ora devo ammettere che è davvero un buon amico per Rocco. Almeno ha saputo riconoscere quando un suo amico era in pericolo, e l'ha saputo aiutare. Michele si avvicina a me e mi porge la mano, io gliela stringo
-sei davvero bella, come mai una bella come te è dentro in un posto così brutto- mi chiede mentre sorride, io segno i polsi mentre guardo altrove, la gente ha il brutto vizio di giudicare la gente, oppure di apparire compassionevoli. Quanto odio quell'espressione, mi fa venire il volta stomaco.
-e io che pensavo che fossi qui solo perché hai i capelli viola, e pensavano tu fossi matta- io alzo lo sguardo e incontro gli occhi di Michele. Okay un punto in più per Michele. Credo che diventeremo buoni amici, decisamente buoni amici. Odio la gente quando inizia a giudicarmi in un modo solo perché mi taglio, senza nemmeno conoscermi, Michele non è una di quelle persone, perciò mi sta già simpatico.
-smettila di provarci con la mia compagna di stanza, coglione- gli dice Rocco mentre gli da una botta sulla spalla e scuotendo la testa. Io trattengo un sorriso.
-vieni con noi?- mi chiede Michele, io guardo la mia caviglia, Rocco non mi può portare in braccio per troppo tempo, non è giusto che si sforzi troppo
-non posso- dico indicando la mia caviglia fasciata e alzando le spalle, poi lancio uno sguardo omicida Rocco che stava per parlare -scordatelo non mi porterai per così tanto tempo, ti ho visto il primo giorno hai fatto una corsa e poi mi hai preso in braccio, avevi il fiato corto, non è giusto non ribattere, lo sai che se io decidessi di venire con voi con i miei piedi, non me lo permetteresti, lo so bene. Dunque starò qui- alzo le spalle cercando di sorridere falsamente
-non rimarrai qui da sola a deprimerti, chiamo Tatiana e gli chiedo un carrozzina e vieni con noi, non ribattere Carly.- dice Rocco deciso, con voce che non ammette discussioni, io nel mentre vedo gli occhi di Michele illuminarsi
-la chiamo io Tatiana- esce di corsa dalla stanza e comincia ad urlare in giro -Tatiana!- io questa volta il sorriso non riesco a trattenerlo e guardo Rocco
-ma che cavolo avete voi con Tatiana- dico, lui alza le spalle con noncuranza, mentre mi guarda con gli occhi brillano
-meglio che vada a fermalo, prima che venga buttato fuori dall'ospedale- dice andando verso la porta, ma poi si ferma si gira verso di me, alza lo sguardo guardandomi -lo sai che sei bellissima quando sorridi? dovresti farlo più spesso, era così per dire è, non ti fare strane idee- mi fa un sorriso quasi divertito ed esce dalla stanza.

Che cavolo mi ha appena detto Rocco?

Quando tornano, sono arrivata alla conclusione di aver capito male, è impossibile che lui abbia potuto dire quello che ha detto. Avrò sicuramente capito male. Michele sta trasportando una sedia a rotelle
-stava per farsi cacciare ma sono arrivato in tempo- dice Rocco prendendo fiato.
Io guardo la sedia a rotelle odio quel coso, sembra che io stia per morire, okay che ci sono andata vicina, ma insomma. Non voglio salire su quella cosa, ma allo stesso tempo voglio andare con loro. Perciò non posso fare altro che salire su quella cosa. Rocco mi si avvicina
-che c'è?- mi chiede appoggiando le sue mani sulle mie ginocchia, a quel tocco sento i brividi in tutto il corpo, ma li ignoro. Prendo un sospiro profondo e scuoto la testa
-niente tranquillo- gli dico facendo un sorriso falso, lui mi prende il braccio e mi adagia sulla sedia a rotelle, poi va verso l'armadio e mi porge una felpa
-fa piuttosto freddo fuori, qui dentro c'è il riscaldamento, fuori è solo inizio primavera- mi dice sorridendo, Michele si abbassa per essere all'altezza del mio orecchio e mi sussurra
-ma che romantico- io alzo gli occhi al cielo e lo guardo male, lui ride mentre mi spinge fuori dalla stanza. Io indosso la felpa e mi lascio portare. Dio questa felpa sa decisamente di Rocco. Sa di lui. Come se ormai il suo profumo si fosse impregnato nel tessuto. Sa di fresco, menta e un profumo che non avevo mai sentito, credo sia il profumo naturale di Rocco. Incredibile. Mi avvolge tutta, è calda, e ti senti come protetta, che nessuno ti può sfiorare, che i problemi rimangono fuori. Mi abbraccio la vita, e allungo le maniche tanto da arrivare fino alla punta delle dita, un piccolo vizio che ho preso, quando ho iniziato a tagliarmi.
Andiamo verso gli ascensori, ne prendiamo uno, Michele schiaccia il pulsante per l'ultimo piano, io li guardo confusi, pensavo andassimo al bar, a quanto pare mi sbagliavo.
Gli ascensori mi hanno sempre dato un po' d'ansia, non soffro di claustrofobia, fortunatamente. Ma non mi piace lo stesso l'idea che si fermi e che rimaniamo chiusi qui dentro. Dunque incrocio le dita finché le porte dell'ascensore non si aprono, quando vedo la luce tiro un sospiro di sollievo, che avevo trattenuto da quando siamo saliti. Continuo a non capire dove stiamo andando, anche se loro lo sanno benissimo a quanto pare, perché continuano a parlare tranquillamente.
Mi guardo attorno, siamo al 14 piano, non che l'ultimo piano di questo ospedale. Le pareti sono bianche e gialle, uno vero schifo, manco fosse bello, ma è un giallo vomito di bambino. Ci sono due direzioni, noi prendiamo quella a destra, e dopo un lungo corridoio vedo un bar. Da quando i bar sono all'ultimo piano degli ospedali? Di solito non sono al piano terra? Ma che razza di ospedale è mai questo?
Michele mi spinge dentro il bar, sempre parlando con Rocco, non so di cosa stiano parlando, sono troppo impegnata a guardare il bar. Questo sì che si può chiamare bar, cavolo. Le pareti non sono più color giallo vomito di bambino, ma per metà marrone scuro e per metà si vedono tutti i mattoni, ci sono tavolini e sedie dappertutto, molto moderne devo dire, il bancone, che occupa tutta una parete, ha dei disegno geometrici bianchi e neri, sul muro sopra di esso c'è un gran cartello con il menu.
Dietro il bancone ci sono due persone una donna un po' grassottella, con i capelli castano scuro e un uomo snello, pelato, o meglio quasi pelato, che parlano insieme, visto che a quest'ora non c'è nessuno. Ma la cosa che mi colpisce di più sono le immense vetrate da qui puoi vedere tutto il panorama sottostante a noi.
Cavolo, è davvero un bel bar.

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