11||qualche sport||

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Dopo essere entrati i due signori dietro il bancone, ci notano, e ci salutano calorosamente, la donna esce anche dal bancone per abbracciare i miei due accompagnatori. Qualcosa mi dice, che frequentano molto spesso questo bar. Quando la signora mi nota, mi sorride, ha gli occhi marroni, solamente quando si avvicina mi rendo conto che ci sono alcune pagliuzze verdi, spendono, come se avessero una propria luce. Il suo sorriso ti da sicurezza, e ti fa sentire bene
-tu devi essere Carlotta, giusto? Io sono Matilde, e quel pelato lì è mio marito Giovanni- mi dice porgendomi la mano. E ora lei come fa a sapere il mio nome? La guardo confusa, ma le stringo la mano, lei sembra capire al volo -ti conosco grazie a questi due- dice indicando Michele e Rocco -non facevano altro che parlare di te, si chiedevano se ti fossi mai svegliata- mi spiega sempre sorridendo, solo allora io le faccio un sorriso di cordialità, anche se esso è falso. Non è semplice tornare a sorridere dopo tanto tempo, soprattutto perché i demoni dentro di te continuano a dirti che non ne vale la pena e che, davvero sei solo un errore, e gli errori non possono permettersi di sorridere.

-allora beh, andate a sedervi, arrivo tra poco per prendere le ordinazioni- ci dice riferendosi anche agli altri due. Michele mi trascina in un tavolo vicino alle vetrate, ha le sedie alte. Guardo Rocco, e trovo già il suo sguardo posato su di me.
Io abbasso subito lo sguardo, facendo finta di nulla. Sento che mi si è avvicinato, lo sento perché il mio cuore aumenta il suo battito notevolmente, come se avesse appena affrontato una maratona. Odio avere questa reazione, odio me stessa e soprattutto odio Rocco perché mi fa questa reazione. Alzo la testa e mi ritrovo il viso vicino a quello di Rocco, mi prende sotto le ginocchia e dietro la schiena come sempre, e mi solleva in aria. In questi momenti mi sento volare, leggera come una piuma, ma allo stesso tempo protetta, come quando papà da piccola mi lanciava in aria, e poi mi riprendeva tra le sue braccia. Pensarci mi stringe il cuore e mi mozza il fiato.
Rocco mi appoggia su una sedia vicino alle vetrate, e mi guarda, come se aspettasse che io dica qualcosa, lo guardo confusa, lui sospira e dilegua il discorso con un movimento di mano.
Vorrei sapere cosa voleva che io dicessi, o cosa voleva dire lui.
Giro la testa e guardo il panorama. Siamo davvero in alto, vedere giù è meraviglioso. C'è una distesa immensa di case. L'orizzonte è piatto e infinito. Mi perdo a guardarlo. A volte mi meraviglio di quanto siamo piccoli, a volte penso ad una citta e dico cazzo quanto è immensa, poi ci rifletto e mi rendo conto che è solo una piccola città rispetto a tutto lo stato, o meglio ancora a tutto il mondo. E a volte mi spaventa, mi fa sentire piccola, inutile, inesistente. Penso a quante persone ci sono al mondo, quante magari io ho visto e non mi ricordo, a quanti luoghi non ho ancora visto, partendo dalle grandi metropoli per finire con le piccole case di montagna. E penso a quante cose non riuscirò a vedere, quante cose mi perderò.
Sarò io matta ma questa cosa mi stringe il cuore e sento gli occhi pizzicare, o meglio sentivo, ora non piango più da un po'. Guardo le strade, piene di auto che vanno chissà dove, a quante persone hanno la propria vita, che magari non ne faremo mai parte. Poi alzo lo sguardo al cielo, e guardo il blu, l'immenso blu del cielo. Penso alle persone che non ci sono più, e che mancano, non solo a me ma a tante persone.

Mi giro a guardare gli altri due, stanno guardando il menu, quando lo guardo Rocco alza gli occhi dal menu e mi sorride leggermente. Io prendo il menu davanti a me. Ho voglia di qualcosa che mi faccia sentire bene, che mi scaldi. E cosa c'è di meglio della cioccolata in questi momenti?
Alzo lo sguardo per vedere l'ora è quasi mezzogiorno, cazzo io dovrei pranzare, ma non ho molta fame. Faccio una smorfia e sbuffo. Torno a posare il mio sguardo sul menu. Sarebbe strano se prendessi patatine fritte e cioccolata calda? Che poi possono servire patatine fritte a ricoverati in ospedale? Per me no, ma ho troppo voglia di patatine cazzo. Appoggio il menu sulla tavola, quando lo faccio i due ragazzi davanti a me alzano lo sguardo verso di me, con un sopracciglio alzato. A guardarli così sembrano quasi fratelli gemelli. La cosa mi fa scappare un piccolo sorriso, che cerco vagamente di nascondere, non voglio sorridere, mi sento in colpa poi, io sono solo un errore non merito di sorridere.
-ma possono darci le patatine fritte?- chiedo -non è cibo spazzatura?- dico, e stavolta sono io ad alzare un sopracciglio, Michele alza le spalle con non curanza
-in verità non lo so, ma è mezzogiorno e devi mangiare qualcosa, anche se non hai fame hai capito?- mi dice invece Rocco guardandomi con i suoi maledetti occhi verdi
-sì papà- io sbuffo e riprendo in mano il menu. Alla fine decido che l'unica cosa che mi va davvero è un toast e un the alla pesca. Appoggio il menu proprio quando Matilde compare davanti a noi pronta per prendere i nostri ordini
-prima le donne- dice sorridendomi, mentre gli altri due la guardano male
-un toast e un the alla pesca- dico io mentre lei si annota la mia ordinazione, poi si gira verso gli altri due e li guarda in attesa
-anche per me un toast e una coca- dice Rocco a Matilde.
-per me un cheeseburger, patatine fritte e un coca- dice Michele sorridendo, lui no che non bada alla linea, nonostante questo ha più muscoli di me. Maledetto metabolismo veloce. Io lo guardo male, lui si gira verso di me -che c'è devo crescere- dice, io scuoto la testa. Ah maschi! Chi li capisce è bravo. Quando arrivano le nostre ordinazioni Michele sta raccontando un aneddoto che è successo l'altro giorno allo skate park. Io ringrazio Giovanni, il marito di Matilde, quando mi posa il piatto davanti.
Questo si può chiamare cibo, non quello che ti servono dalla mensa cavolo!
Comincio a mangiare mentre ascolto il mio compagno di stanza e il suo migliore amico discutere su un acrobazia, che se io provassi anche solo a fare finirei con il rompermi l'osso del collo.
-e tu Carlotta facevi qualche sport?- mi chiede Michele mentre mangia il suo cheeseburger, come se non vedesse cibo da decenni. Io mi prendo il tempo per masticare e mandare giù il boccone. Il ricordo di me con il body, mi stringe il cuore, ma faccio del mio meglio per ignorarlo. Mi convinco che se dico a questi due ragazzi che sport facevo non mi succederà nulla di male.
-da piccola facevo ginnastica artistica, ma poi ho smesso, per vari questioni- dico io abbassando lo sguardo, non sono ricordi molto belli, ero molto legata alla ginnastica artistica, ma da quando mamma ha perso il lavoro e i miei hanno cominciato a discutere, non c'è più stato tempo per pagarmi la retta per la palestra. Allora ho abbandonato, mi ha causato un forte dolore, ma ci ho fatto l'abitudine anche a quello. Mi rendo conto di aver creato un silenzio imbarazzante allora cerco subito di rimediare
-e voi invece da quando fate skate?-
-da quando eravamo piccolissimi, abbiamo iniziato insieme- dice Michele dando una spallata a Rocco sempre sorridendo, lui guarda l'amico e poi torna su di me
-ha ragione, anche se poi mi sono iscritto anche a calcio- dice quasi sorridendomi, e quello sì che è un sorriso capace di sciogliermi
-dovevi vederlo, era davvero bravo- dice Michele
-e poi?- chiedo io sempre più curiosa di questa cosa, ma soprattutto per allontanare me dall'argomento principale. Ma mi rendo conto di aver fatto una domanda sbagliata, perché vedo Michele farsi improvvisamente serio guardando Rocco, in compenso la sua mascella diventa serrata. Allora dico -tranquilli non siete obbligati a rispondermi-
-no è giusto che te lo dica- dice Rocco, poi prende un respiro profondo -ho iniziato a drogarmi, e dunque ad essere sempre più debole, mi hanno buttato fuori dalla squadra- non dico nulla, appoggio solamente una mia mano sopra la sua, che sta sopra al tavolo. Lui alza lo sguardo e mi sorride, un sorriso riconoscente. Uno dei pochi che gli ho mai visto sulle labbra, se non l'unico.
Finiamo di mangiare, poi Michele paga, anche se io non ero d'accordo, e torniamo in camera.

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