1.6 "Ho un piano"

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Il cielo scuro avvolgeva l'esterno della scuola, mentre una marea di puntini colorati iniziava ad uscire da una piccola porta.
Isabel, sola in mezzo a quella folla, si faceva strada tra i corpi compressi l'uno sopra l'altro. Aveva bisogno di respirare.
Arrivata in un luogo abbastanza vuoto, infilò la mano all'interno della sua borsa: avrebbe contattato i ragazzi. Tirò fuori l'oggetto preso la mattina e iniziò ad osservarlo: conosceva bene la tecnologia, ogni estate frequentava il Camp Knowhere, adatto a quelli "come lei". Infatti, bastò solo un'occhiata per capire la natura di ciò che aveva davanti: un registratore, non un walkie-talkie.
Un verso fuoriuscì dalla sua bocca: non riusciva a farne una giusta. Chiuse gli occhi e tentò di ripristinare un po' di calma: doveva  andare dai ragazzi o almeno contattarli.
Si guardò intorno, vide la sua bici, li avrebbe raggiunti così.
Quasi correndo, si infilò nuovamente in quella moltitudine, scostando persona dopo persona. Si fermò. Doveva chiamare sua madre, l'aveva promesso la sera prima. Sbuffando, si posizionò nella fila per le cabine telefoniche, ci sarebbe voluto molto.

Passo dopo passo, persona dopo persona, la fila procedeva lentamente. Era seconda.
Si guardò intorno, la gente sembrava ancora molta dietro di lei, ma una sola tra queste attirò la sua attenzione: la cabina proprio davanti a lei era occupata, da Nancy, intenta a digitare un numero. Curiosa più che mai, si avvicinò, solo di pochi centimetri. Sentiva tutto, ma non capiva nulla. Continuò a tendere l'orecchio sempre di più: Barb, biblioteca, si certo glielo dirò. Questo fu quello che sentì, mentre Nancy lentamente lasciava il suo posto. Non aveva alcun senso. In effetti, stranamente Barb era mancata tutto il giorno, ma cosa poteva esserle mai successo, era solo un giorno di assenza. Ma, ascoltando quel tono di voce, la situazione pareva molto più seria, spaventosa.

Un tocco la risvegliò, non ci fece caso. Altri tocchi e voci, la svegliarono definitivamente.

"Ti vuoi muovere!"

"Guarda che è libero, stramba"

"Non abbiamo tutto il pomeriggio, su"

Dicevano, accanendosi su di lei. Alzando le spalle, si accostò alla cabina e prese a digitare il suo numero. Due squilli veloci e, dopo un lieve ciao, la voce di sua madre inondò le sue orecchie.

"Tesoro! Come è andata oggi?" chiese.

Ma la cornetta cadde, penzolando verso il terreno, mentre altre voci piene di rabbia riempirono l'ambiente.

Isabel correva, lasciando la madre e la sua conversazione appesa ad un filo. Quello che aveva visto non poteva attendere.

Le foto per terra, leggermente sospinte dal vento, erano strappate. La macchina fotografica distrutta sul suolo. Un avvertimento ignorato. Ma a Isabel non importava ciò che era successo, guardava avanti rossa di rabbia. Una sensazione le infiammò il volto e strinse i pugni, piantando le unghie nella carne.
Non fece caso a Nancy, accovacciata a raccogliere alcuni pezzi di foto; sentiva solo un forte calore. Urlava in silenzio. Non poteva più soffocare quelle grida.
"Isabel, che hai...?" disse una voce leggera, quasi impaurita.
"Isabel, lo so... ho sbagliato" continuò;ma non ascoltava.
Un volto le si parò davanti, sembrava serio.
"Ho un piano" esclamò, quasi a sé stessa.
"No" fu l'ultima parola che sentì, prima di sparire tra le mura della scuola. Aveva un piano e l'avrebbe realizzato. Era stufa di soffocare quelle grida.

𝐇𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧, 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐚 | Steve HarringtonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora