0.4 "R-U-N"

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Un sapore terroso si diffuse nella sua bocca, mentre il suo corpo scivolava sull'asfalto ancora caldo. Sentì la sua guancia sgretolarsi e graffiarsi a causa dell'urto, mentre la bicicletta rimase poco dietro la macchina. 
Schizzata leggermente all'indietro da quel colpo frontale, la testa le doleva più che mai.
Un vortice di buio le si parò davanti agli occhi; tutto vorticava, girava, girava, girava. Non era stata una bella caduta, lo sentiva da quella nausea crescente, dal pensiero di essere sola. Il panico l'avvolse: e se fosse svenuta, chi avrebbe chiamato aiuto? Chi l'avrebbe spostata dal centro di quella strada?
Gli occhi abbassarono le loro palpebre involontariamente, ma Isabel li fermò, scuotendo la testa con violenza; sentiva che se li avesse chiusi, mai più li avrebbe riaperti. Stare lì, svenire lì significava morte certa.
Forse sarebbe stato anche meglio, non aveva mai pensato a quel rimedio per porre fine a tutto. Era sempre stata troppo innocente e infantile per poter pensare al suicidio. Ma in quel momento, il suo istinto di sopravvivenza esitò per alcuni attimi, lasciando il suo corpo inchiodato a quella strada.
La morte era la via più semplice per risolvere tutto; significava lasciare ogni cosa incompleta, ogni problema irrisolto, ogni speranza soffocata nell'ombra di quella sua buca. Era semplice, per lei; ma per chi altro?
C'era ancora qualcuno ad amarla in quello stupido mondo e per loro non avrebbe rinunciato alla sua vita.

Con la gamba sempre più dolente, si sollevò da terra, con un vortice di vertigini nella testa e scariche di brividi sulla pelle.
Impazienti e assetati d'aiuto, i suoi occhi vagarono in cerca di qualcuno; ma l'ombra era la sola sovrana di quel paesaggio, mentre la luna, alta nel cielo, aiutava a chiarire leggermente la vista di quel buio.
Inevitabilmente il suo sguardo ricadde su quella macchina, fuori strada e gettata, quasi per caso, a lato della strada.
Isabel fece un passo, mentre il vento della sua curiosità la spingeva sempre più avanti.
Cosa era successo? Chi aveva avuto quell'incidente?
Queste erano le sole domande nella sua testa; niente aiuto, niente dolore, solo sete di sapere.
Ma quando fu abbastanza vicina, abbastanza lucida da comprendere, quel vento si cessò.
Quella era la macchina di Billy.

Si arrestò su due piedi, guardando quella vettura blu, tinta da un luccichio argenteo.
A pochi passi da lei, una struttura abbandonata, dall'aria sinistra e misteriosa si ergeva nel buio di quella notte profonda, celando i suoi segreti agli occhi della ragazza.
Aveva davvero paura, dopo tanto tempo, si sentiva in pericolo ed era sola. Nessun accendino, nessun Dustin, nessuno Steve, solo Isabel. Ragione e istinto che la sbattevano avanti e indietro.
Forse avrebbe dovuto abituarsi a quella situazione, imparare ad affrontarla, come mai era riuscita a fare.
La vita è solitudine, puoi illuderti quanto vuoi, ma alla fine non resti che tu e tutte le difficoltà insormontabili davanti ai tuoi occhi, solo.

Lo sguardo posato sulla struttura di quell'edificio, si catapultò di nuovo sulla macchina: era vuota, nessun Billy. La sua immagine si rifletté su quella vernice lucida e brillante: era strana, la sua figura, arrotondata dalle curve della vettura, era immobile, pietrificata da sé stessa. Isabel chiuse gli occhi, lasciando, però, che lo sguardo rimanesse in quella direzione.

Inspirò, cercando una via per uscire da quella situazione; ma il solo panico giungeva in risposta alle sue domande.
Le sue palpebre si sollevarono e la sua immagine ricomparve su quella superficie.

Lui, lui era dietro di lei.

La figura di Billy era proiettata al suo fianco, sulla vernice dell'auto; lui era dietro di lei.

Tutto fu più chiaro, quando la sua mano, ferma e fredda, si poggiò sulla sua spalla. 
La ragazza si voltò di scatto, non potendo trattenere un sussulto; ma ogni sforzo fu vano e si ritrovò con la schiena sbattuta con forza sul cofano della macchina. Una spinta e Billy la fece cadere a terra sul suolo bagnato e umido.
Si ricordava di quel Billy, era ritornato quello di sempre, quello che in tutti quei mesi aveva creduto svanito, ma era tornato. Un mostro.

Un balzo e lui fu su di lei, portando le mani attorno ai suoi polsi: sentiva e vedeva la sua voglia di vederla senza vita, di vederla soffrire. La morte, che prima aveva meditato e rifiutato, stava per arrivare. Ma lei non voleva morire.

La sopravvivenza ebbe la meglio e, velocemente, prese a divincolarsi, scalciando e dimenandosi. Ma Billy resisteva e schiacciava le sue mani sul suolo bagnato.
Lo sguardo di Isabel si posò sui suoi polsi: erano viola, viola dal dolore.
Gridò, ma invano.

"Sta' tranquilla, presto sarà tutto finito"

"Lasciami!" quasi supplicò, con il fiato corto e spostando gli occhi sul ragazzo, su quel dannato mostro. Ma tutto sembrava inutile, tutto incomprensibile. Se non voleva ucciderla, cosa avrebbe fatto di lei? Eppure il suo sguardo sembrava proprio desiderare la sua morte; tinto da un buio più scuro della notte, soffocava nella terra le sue braccia, senza sentir ragione.
Esisteva qualcosa di peggiore del volere la sua morte? Esisteva, eccome. Qualcosa su cui lei aveva scherzato, un essere che aveva sempre imitato le tante volte durante le varie campagne di D&D: il Mind Flayer.

Isabel tremava e Billy sembrò allentare la presa, qualcosa stava per cambiare e lei non voleva più saperne. Nessuna forza, nessun coraggio la fecero reagire, solo sopravvivenza. Il suo viso si alzò da terra e, come mesi prima aveva fatto, lasciò che la poca saliva che ancora le rimaneva in gola si gettasse sul viso di Billy. Lui si distrasse per un istante e lei si divincolò con più forza, fuggendo da sotto il suo peso.
Smise di guardarsi indietro, di attendere, di essere curiosa e si fiondò verso la sua bici.
Ma la mano del ragazzo si allungò sulla sua gamba, su quella gamba. Inevitabilmente lei cadde a terra, sentendo un forte dolore, mentre il suo mento rimbalzò sul terreno. Non di nuovo.

Le dita di Billy si strinsero con forza sul suo polpaccio, mentre un grido spezzò il suo respiro. Quel dolore, quella cascata, calda, rossa, si riversarono su di lei, come una fonte appena riaperta dopo un lungo periodo di siccità.

Ma, nonostante tutto, reagì, scalciando e sentendo quella mano farsi più debole. Scalciò ancora e fu libera.
Barcollando si rialzò, fiondandosi sulla sua bicicletta, mentre la figura Billy si elevò di nuovo nell'ombra. Esitare significava restare lì e per quella sera era abbastanza.

Isabel montò in sella, inserendo i piedi nei pedali e sfrecciando via. Il sangue, fresco, prese a fuoriuscire dalla sua gamba, bagnando le sue candide Nike. Tutto come in passato, un film già visto, paura già provata. Voleva che ogni cosa finisse, aveva tanta paura.

Il suo fiato non smise di cecare aria ad ogni respiro e non si voltò indietro, mentre si lasciava alle spalle quel posto e Billy.

Strinse i denti a tutto quel dolore, a tutto quel terrore, sentendo gocce di sudore solcare il suo viso.
Un unica frase rimbombò nella sua mente: "Domani è un altro giorno".

Rosella O'Hara aveva ragione, era tutto finito, quell'incontro era finito, domani sarebbe stato tutto passato, quel passato che avrebbe cercato di seppellire nel buio della sua solitudine. Nessuno avrebbe mai saputo.

Ma per Billy non era lo stesso, quello era solo l'inizio. Isabel era la prossima, Isabel doveva far parte del suo esercito. L'esercito del Mind Flayer.

𝐇𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧, 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐚 | Steve HarringtonWhere stories live. Discover now