0.5 "Guai"

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Quella mattina il letto era più freddo del solito, tinto dal bianco delle lenzuola, pieno di un corpo, che sdraiato, non faceva altro che guardare il soffitto da ormai tutta la notte. La sveglia suonò, ma Isabel già teneva gli occhi spalancati. Pensava e non era riuscita a fare altro.

Si tirò su sui con i gomiti e allungò una mano, facendo cessare quel rumore assordante. Una luce lieve oltrepassava le persiane tirate giù quasi distrattamente; tutto era avvolto in un soave torpore mattutino e nessun rombo di motore si poteva ancora udire sulla strada, a pochi passi dalla casa. Tutto taceva, ma non quel dolore incessante.

Da quell'angolazione ogni cosa era visibile, fin troppo forse: una grande chiazza rossa era disegnata sul lenzuolo candido in prossimità della sua gamba, sembrava ormai ferma, mentre vene quasi nere si diramavano sempre più lontane dal suo arto, quasi a voler fuggire dal suo corpo. L'aveva distrattamente fasciata non appena si era fiondata dentro casa, ma le sue mani erano tramanti e il risultato era stato più che scarso. Non era riuscita a fare di meglio, non era brava con le ferite, con l'ansia in generale e quella sera non era riuscita a controllarla. Infatti, adesso ne pagava le conseguenze con due buchi rossi al posto degli occhi e profondi solchi viola poco sotto di essi. Stava davvero male, non avrebbe mai pensato che potesse accadere di nuovo tutto questo. Non si aspettava che quella marea di dolore e terrore tornasse ad investire la sua riva. Non era tutto finito?. Billy non aveva smesso di perseguitarla.
Così era sembrato fino a quella sera, fino a quando non aveva visto il desiderio di volerla morta vivido nei suoi occhi. Ma non l'aveva uccisa, non l'aveva picchiata, aveva solo tentato di tenerla ferma e poi quel sussurro. "Presto sarà tutto finito", non faceva che riecheggiare nella sua mente da ormai diverse ore. Più cercava di capire, più la chiarezza veniva a mancare e ogni cosa si mischiava come in una grande scatola di un puzzle. Stava a lei trovare i pezzi giusti e far combaciare tutto.

Ma non aveva nulla in mano, se non tanta paura di ritrovarsi in quella situazione, di non riuscirne più ad uscire viva o "inerme".

"Isabel!" gridò una voce fin troppo familiare da poco fuori la sua stanza, mentre dei passi scricchiolarono sempre più vicini alla porta. Era Dustin, presto sarebbe entrato e avrebbe scoperto ogni cosa. Istintivamente, Isabel afferrò il lenzuolo ancora candido e lo poggiò tutto sulla sua gamba rossa e incrostata.

"Svegl-... oh, già, già in piedi?!"

La porta si aprì e il fratello comparve sulla soglia, con una smorfia perplessa da quella situazione: sua sorella non era il tipo da alzarsi al primo suono della sveglia. Era tutto molto strano e poi quelle occhiaie e quegli occhi rossi non erano per niente naturali: "È... è successo qualcosa Isabel?" domandò, non riuscendo a tralasciare quella sua condizione.

"No, sto bene...benissimo Dustin; cosa c'è?!" disse forse fin troppo tagliente e con una certa velocità.

"Beh, mi chiedevo... ecco, se volessi venire allo Starcourt, mi sembra o forse mi sbaglio che tu abbia un lavoro lì adesso?" disse ironicamente, un po' perplesso dal tono della sorella.

"Sì, sì, giusto..."

"Beh, allora perché non ti alzi...?"

"Ora mi alzo, un secondo... sbaglio o esiste una libertà personale"

"La libertà personale non esiste è solo un'illusione che creano i potenti e gli stati totalitaristi per farti credere di non essere un loro possedimento... ma ehi, siamo tutti sulla stessa barca e la libertà è solo una fottuta parola"

"Oh, finiscila e smettila di dire parolacce" esclamò, lanciando nella sua direzione il suo cuscino e risdraiandosi a peso morto sul letto, socchiudendo di nuovo gli occhi: perché doveva essere sempre così assillante?
Sapeva che non gli avrebbe detto nulla. Sarebbe rimasto un suo segreto e avrebbe fatto di tutto per dimenticarlo. Era tutto tornato normale, i mostri non esistevano più, vero?

***

"Gap"
Questo era ciò che indicava un piccola targhetta poggiata in cima a quei grandi pacchi che stringeva tra le mani.
Aveva camminato molto per tutto il centro commerciale, nascondendo la sua profonda ferita sotto a un paio di lunghi jeans, fin troppo fuori luogo per quella calda giornata d'estate. Ma cos'altro poteva fare? Di certo girare in quello stato sarebbe stato preoccupante e forse qualcuno... no, nessuno avrebbe chiesto qualcosa su di lei o avrebbe provato ad aiutarla. L'indifferenza era sovrana in quel mondo.

Zoppicando e trattenendo sussulti di dolore, concluse la penultima consegna di quella mattina. Tra le sue mani restava solo un grande pacco di cartone, decisamente molto più pensante di tutti gli altri messi insieme. Avrebbe tanto voluto dare un'occhiata al suo interno, ma le regole di quel lavoro erano chiedere: "guardi dentro e sei fuori!"

Così avevano detto e di certo non avrebbe gettato all'aria quella sua misera possibilità per la sua eccessiva sete di sapere.
Sospirò, mentre lesse un nuovo indirizzo per quella consegna. Era molto lontano e questo significava solo altra fatica. Forse, avrebbe dovuto mollare tutto, di certo in quelle condizioni non era il lavoro adatto a lei.
Ma scosse la testa, avrebbe continuato lo stesso, sarebbe rimasta.

In quel piccolo passaggio per le consegne proprio dietro a Gap, fece un passo avanti e subito ne seguirono altri duri e dolorosi. Si sentiva di crollare ogni volta che la pianta del suo piede accarezzava terra, era tremendo; ma aveva sopportato tutto ciò solo pochi mesi prima, poteva rifarlo. Si ricordava bene di quella camminata in mezzo al bosco e di Hopper, di quando... 

Scacciò via quel pensiero. Tutta quella storia, mostri, Sottosopra, Laboratorio e altre cose assurde non avevano fatto altro che peggiorare la sua situazione.

Il suo sguardo vagò per alcuni secondi, ma furono veramente pochi.
Come in bilico su una pila instabile di libri, la sua gamba vacillò, mentre il suo corpo oscillò veloce come spinto da un forte vento. Sperò di ritrovare l'equilibrio, ma la speranza era diversa dalla fortuna.
Il suo viso si schiantò sul terreno, mentre la scatola scivolò lontana. Rotolò più volte, mentre la sua ultima consegna prese a disfarsi sotto il suo peso, divenendo presto piena di ammaccature. Aveva combinato un bel guaio.

Stesa a terra, il dolore alla gamba passò in secondo piano, mentre il suo sguardo rimaneva fisso su quello che aveva fatto. Lei e la sua stupida gamba, lei e la sua dannata testardaggine.

Velocemente, strisciò a terra, annaspando con i gomiti sul terreno freddo. Si avvicinò a quel cartone ormai distrutto e non poté fare a meno di notare una superficie grigiastra sbucare dalle ammaccature. La sua mano si mosse da sola e spostò parte di quella carta. Ormai non si sarebbe fermata. Come posseduta, aprì la scatola, rivelandone una più solida all'interno. Esitò, ma poco dopo le sue dita fecero scattare anche l'apertura di quel cofanetto. La sua bocca si spalancò e il verde di una strana sostanza risplese sulle sue iridi color oceano.
Strinse in mano una strana "provetta" e prese a sollevarla sempre più davanti a sé, senza preoccuparsi più di nulla. Tutto ciò era davvero strano e curioso. Ma aveva commesso un bel guaio, forse irreparabile, forse di un  pericolosità che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

Piccoli occhi neri scrutarono più volte quella ragazza inginocchiata nel corridoio. Un ghigno si dipinse su un viso freddo, che subito dopo si raggelò, mentre le lunghe dita di quell'uomo scivolarono su un piccolo walkie-talkie attaccato alla sua uniforme. Mormorò qualcosa di impercettibile, poi riprese a fissare quell'ingenuo corpo. Sarebbe stata eliminata presto o tardi, ma lo sarebbe stata.


·˚ ༘₊· ͟͟͞͞꒰➳ Salve a tutti, scusatemi tantissimo per l'assenza, ma in questi giorni ho avuto moltissime da fare. Tra verifiche e interrogazioni, solo ora sono riuscita a trovare un po' di tempo per dedicarmi al capitolo. Prometto, che per ripagare l'attesa, a brevissimo (meno di una settimana) arriveranno anche i prossimi.

Un carissimo saluto, spero possa piacervi la storia

MaryInes_

𝐇𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧, 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐚 | Steve HarringtonWhere stories live. Discover now