1.1 "Niente più segreti"

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L'aveva trovata, l'aveva sempre saputo. Non era stata un'allucinazione.
Barcollando dal dolore e dalla fatica, correva come una pazza sulle vuote strade di Hawkins.
Dopo essere svenuta, un forte tonfo l'aveva risvegliata. Si era voltata e aveva rivisto quella casa nel mezzo del bosco. Si era avvicinata: la porta aperta sbatteva in continuazione. Era entrata: era abbastanza grande per massimo due persone e soprattutto era stata abitata di recente, non essendoci alcuna ragnatela o segno di polvere. Era in disordine, sembrava che qualcuno avesse fatto esplodere una bomba al suo interno. Si era accovacciata, sbirciando tra la miriade di documenti stesi per terra.
"Jane Ives" aveva letto "Laboratorio di Hawkins". Una vecchia speranza si era risvegliata in lei, mentre cercava altre prove per renderla realtà. Vi erano scorte di Eggo in cucina, ma non bastavano; vi era un vocabolario di lingua inglese, non bastava; vi era un vestito rosa, bastava. Tutti quegli oggetti facevano pensare ad una persona sola: Undici. Si era messa a gridare il suo nome, sperando di vederla comparire; ma solo il fruscio del vento le giungeva in risposta. Aveva afferrato quel pezzo di stoffa rosa e aveva preso a correre, lasciando l'edificio.
A chi l'avrebbe detto per primo? Forse, Mike... no, prima Dustin. Gli avrebbe confessato tutto, la sua ricerca, ogni cosa; era arrivato il momento.
Accelerò il passo, sentendo il viso ancora bagnato dalle lacrime gelarsi al contatto con il vento. Giunta davanti alla casa, barcollante, si gettò sulla porta. Stava per spalancarla, quando il suo riflesso sulla finestra la fece bloccare: aveva il viso rosso per il freddo, ma anche per il pianto. Forse, non era il caso di farsi vedere in quello stato. Prese ad asciugarsi con la manica della giacca, cercando di mascherare tutto quel dolore.
Poi un grido fuoriuscì dalla casa: sua madre stava piangendo. Senza pensare, aprì la porta e, senza più fiato, si diresse in salotto.
"Isabel" disse la madre, seduta sulla poltrona e ricoperta da una cascata di lacrime "Mews è-è... o no,no..."scoppiò in un concerto di singhiozzi.
La ragazza spostò lo sguardo sul fratello, accovacciato davanti alla madre. Non sembrava altrettanto dispiaciuto.
"Cosa?! Che c'entra Mews!?" urlò, con gli occhi spalancati.
"È sparita" rispose lui, con una voce tremante, totalmente diversa dal suo volto calmo. Era strano e Isabel sapeva la verità: le stava mentendo. Con un'altra occhiata, lo fulminò. Avrebbe scoperto la verità.

* * *

"Balle!" disse Isabel, mentre dallo specchio della sala osservava ancora il suo sguardo provato.
"Isabel, invece che farti bella... potresti anche darmi una mano" disse il fratello, con in mano la cornetta del telefono.
"Dico solo la verità, fratellino" esclamò la sorella voltandosi, mentre i singhiozzi della madre si fecero più forti.
Si rigirò verso sé stessa: era brutta, spettinata e distrutta. Aveva occhi stanchi, rossi e ancora lucidi; le guance altrettanto colorate e i capelli spettinati. Si fece una coda e, tirando di nuovo la manica, tentò di asciugarsi le pupille. Ma era inutile, era evidente che qualcosa era successo.
Si voltò di nuovo, sua madre era sparita.
"Dov'è andata?" chiese, guardando Dustin, fin troppo tranquillo.
"A cercare il nostro gatto" rispose l'altro, secco.
"Tu sai dov'è!"
"No, non avrei mandato la mamma fuori se lo sap-"
"Menti!"
"E tu dove sei stata, allora?"
"No  stavamo parlan-"
"È successo qualcosa, cosa?!"
"No, nulla è poi son-"
"Menti!"
Senza accorgersene erano un centimetro l'uno dall'altra, tanto che i loro nasi quasi si toccavano. Stavano urlando.
"Va bene, d'accordo. Vuoi la verità, Dustin?!" ringhiò la sorella, indietreggiando un poco "Ma a una condizione... dovrai dirmi tutto!"
"No!" rispose il fratello, distogliendo lo sguardo.
"Bene... allora, consideriamo questa conversazione chiusa!" disse Isabel voltandosi e dirigendosi verso la sua camera.
"Ferma!" gridò Dustin "Cos-cos'è quello" disse non credendo alla sua vista.
Isabel si voltò, teneva ancora nella mano il vestito rosa e l'aveva appena riconosciuto.
"Parte della verità, allora... ci stai?" disse, rendendo più visibile il pezzo di stoffa e porgendogli la mano libera.
"Ci sto!" esclamò la voce di Dustin tremante, stringendole la mano.

* * *

"Quindi tu mi stai dicendo che Undici è viva!?"
"E tu che Mews l'ha mangiata un baby-demogorgone" esclamò Isabel appoggiando la testa al muro.
"Non è un demogorgone, non so cosa sia e comunque si chiama Dart"
"Viscido, verdognolo, assetato di sangue, in nessuno di quei libri... è un demogorgone" ribattè la sorella, alzando la voce "Gli altri lo sanno?!"
"No"
"Sai almeno dove si trova?!"
"Ehm-ecco... in camera"
"Ok..." disse Isabel, iniziando a girare per la sala.
"Cosa vuoi fare?" disse il fratello osservandola.
"Shhhh"
"Ma davvero Undici è viva!?"
"Cosa non capisci di shhhh, Dustin"
Finalmente il silenzio riempì la stanza. Le opzioni erano due: lasciare quell'essere nella camera o rinchiuderlo in un posto più sicuro. E poi... troppe idee.
"La finestra era aperta?" chiese, senza guardare il fratello.
"Forse no"
"Ok, bene all-"
"O forse sì..."
"Dustin?!" gridò la sorella, non poteva crederci.
Riprese a pensare: dovevano per forza spostarlo, sempre che fosse ancora lì.
"So cosa fare!" esclamò il fratello alzandosi dalla sedia e catapultando si sull'armadio "Isabel avverti gli altri, io farò il resto"
"Uo,uo,uo... frena, frena, frena. I piani qui, Dustin, passano prima da questa stazione" diss e indicandosi "quindi spara"

* * *

"Ridicolo, ma sicuro. Direi perfetto!" esclamò Isabel, appoggiandosi allo stipite della porta della sua camera. Dustin era coperto da testa fino ai piedi di cuscinetti; in più teneva nella mano una lunga mazza da hockey. "
Tu stai così, senza niente di niente?!" chiese il fratello, osservandola.
"Andiamo" esclamò lei, voltandosi quasi non avesse sentito la domanda.
"Allora: primo, voglio che tu stia dietro di me; secondo, se ci attacca, corri; terzo... Dustin, mi stai ascoltando?!" disse Isabel, dopo aver chiuso il frigo, con in mano alcune fette di prosciutto.
"No" disse il fratello, scostandosi dal muro.
Con un gesto veloce, la ragazza abbandonò a terra ciò che aveva tra le braccia e lo afferrò per le spalle.
"Stammi bene a sentire... per me puoi essere coraggioso, grande, intelligente, forte e migliore di me quanto vuoi. Ma rimani sotto la mia responsabilità, chiaro. Non voglio che tu venga sbranato da uno di quei cosi, mettitelo bene in testa, Dustin. Quindi, è già tanto che non ti abbia rinchiuso in una stanza e che tu sia qui con me, ma adesso ascoltami: lascia che vada io vanti" disse seria "ti prego" aggiunse con voce tremante.
Al suono di quelle parole, lo sguardo di Dustin si fece più serio e profondo. La guardò negli occhi: forse non era stronza come pensava; ma rimaneva pur sempre assillante. Un nodo gli si piantò in gola.
"Si..." sospirò "primo, starò dietro di te; secondo correrò; terzo..."
Isabel scostò le mani dal fratello, sorpresa. L'aveva ascoltata, poi un sorriso si dipinse sul suo volto.
"Terzo, ti voglio bene, Dustin" concluse, guardandolo ancora; anche il fratello le sorrise, era tanto che non accedeva. Non sapevano cosa li stava aspettando, ma l'avrebbero affrontato, insieme.
Poi, Isabel si accovacciò, raccogliendo le confezioni di prosciutto: "E ora: diamo un taglio a questa storia"

𝐇𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧, 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐚 | Steve HarringtonWhere stories live. Discover now