2.6 Epilogo: "Regali"

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"Arrivo!" gridò Isabel dalla sua camera. Era in ritardo e non era una novità.
Sistemò tutti i fogli che aveva sul letto, ammucchiandoli alla rinfusa. Aveva iniziato a scrivere da circa un mese, da quel maledetto sogno, perdendo ogni volta la cognizione del tempo. C'era molto da dire e poco tempo per farlo.
Aprì velocemente entrambe le ante del suo armadio, dando un'occhiata ai vestiti che aveva dentro: erano davvero pochi e per la maggior parte travestimenti. Lo sguardo involontariamente le cadde sul suo vecchio costume da elfo: ricordava ancora la sua ultima campagna di D&D. Da quanto tempo era lì? E per quanto ancora ci sarebbe rimasto? Forse avrebbe dovuto gettarlo, a cosa serviva tenerlo lì a prendere polvere. Serviva, invece; per ricordare, ricordare un tempo in cui poteva fare liberamente quello che le piaceva, dove l'amicizia sembrava un legame perenne, la vota leggera, in cui il vero male era solo lo scarabocchio di un mostro su uno stupido manuale. C'era stato tutto questo, sorrise; ma adesso non c'era più. A quel pensiero, chiuse un'anta e lo soffocò di nuovo nel buio di quell'armadio; poi trovò quello che stava cercando: un vestito di un grigio bluastro, costernato da tanti piccoli puntini rosa e una cintura dello stesso colore sulla vita. Se lo ricordava bene, ricordava perfettamente quando lo indossava tutte le volte al ballo della scuola, senza mai cambiare. Ma lo vedeva diverso, più spento, ma dopotutto ogni cosa in quella stanza sembrava essersi raggelata insieme a lei con il passare degli anni.

"Isabel!" gridò sua madre dalla cucina "vieni o si raffreddano!"
"Arrivo!" rispose lei, gettando un occhio sull'orologio: sì, era davvero in ritardo, tenendo conto che avrebbe dovuto pedalare con la sua gamba. Sì, perché c'era ancora quella. Il medico le aveva dato alcuni mesi di riposo, ma come avrebbe potuto rinunciare allo spostarsi sulla sua bicicletta; cosa avrebbe mai fatto un po' di movimento.

Il campanello suonò in lontananza, risvegliandola da quel pensare ad occhi aperti.
Uscì dalla sua stanza, zoppicando velocemente attraverso il corridoio. Dustin le passò davanti e lo scansò a un soffio dall'essergli addosso.
"Ehi!" gridò lui "non si può neanche andare ad aprire la porta che si rischia di essere investiti?!"
"Oh, zitto!" disse lei, poggiando il vestito sul divano e mettendosi la giacca.
"Zitta tu, sto solo dicendo la verità!"
"Ragazzi, non la Vigilia di Natale, ok?!" esclamò sua madre da dietro il piano della cucina, "ecco tieni, tesoro" allungò verso di lei un piccolo involucro rivestito d'alluminio.
Isabel si avvicinò, subito dopo aver lanciato una smorfia nella direzione di Dustin: "Eggos?" chiese, prima di prendere il pacchetto tra le mani.
"Eggos appena fatti, come richiesto" sorrise lei "e ora vai su, su" concluse, lasciandole tra le mani l'involucro, esortandola ad andare.

"Doveva vai?" chiese Dustin, ancora fermo al centro della sala.
"Non dovevi aprire la porta?!"
"Ragazzi, per favore!"
Isabel alzò leggermente gli occhi al cielo, senza farsi vedere da sua madre, con la mano che ancora le restava libera, coperta in parte dal tessuto dal vestito, indossò la sua sciarpa, forse non proprio sua.

"Beh, apro io allora" sbuffò, aprendo definitivamente la porta.
"Ce ne avete messo di tempo!" esclamò la figura di Steve, dietro all'anta, ridacchiando leggermente.
"Oh, divertente, ciao anche a te Steve" disse lei, nascondendo la felicità nel vederlo.

Lui la guardò per alcuni secondi, osservando tutto quello che aveva addosso o stringeva tra le mani; mentre lei si dimenticò completamente del suo ritardo. Gli faceva uno strano effetto. Spostò l'attenzione sul suo viso, sorridendo leggermente, ma subito quella piccola curva sparì dal suo volto.
Corse via dalla porta, andando velocemente in camera e prendendo il suo zaino. Non poteva dimenticarlo, non doveva mai farlo.

"Eccomi... io, ecco devo andare" esclamò ritornando dalla porta.
"Dove?" chiese Steve, guardandola perplesso, mentre lei lo sorpassò zoppicando allo scoperto.
"Te lo dirò dopo" rispose, montando sulla sua bicicletta, goffamente.
"Ehi, se aspetti ti do un passaggio"
"No, ecco, non posso aspettare... ci vediamo dopo, Steve" concluse con un leggero sorriso, fermandosi per alcuni secondi a osservarlo.
"A dopo..." sussurrò lui, guardando la sua figura ormai parzialmente coperta dal buio della notte.

𝐇𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧, 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐚 | Steve HarringtonWhere stories live. Discover now