0.5 "Tutto teso"

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"Alzati!" disse una voce lontana, seguita poi da un forte scossone. Qualcuno la stava svegliando, era stato tutto un sogno, un ricordo felice in mezzo a quei chilometri che ormai dividevano le due ragazze.

"Isabel, la mamma ha detto che ti devi alzare!" parlò ancora quella vocina a volte quasi incomprensibile: era sicuramente Dustin.
Ma lei non si sarebbe svegliata, almeno non voleva farlo. Girò la testa dall'altra parte e riprese a riposarsi, fingendo che nulla fosse mai accaduto. Era troppo stanca, forse anche abbattuta, per affrontare un altro estenuante giorno della sua vita. Ma i richiami del fratello continuavano e non avevano intenzione di finire.
Poi un colpo e dopo un altro, dritti proprio sulla sua schiena, così forti a farla sobbalzare.

"Perfetto! Mamma è sveglia!" urlò ancora Dustin, che con volto furbo osservava la sorella appena alzata. In mano aveva un grande cuscino e un sorriso, senza denti, si era dipinto proprio al centro del suo viso. Era felice, proprio come ai vecchi tempi. Ma nulla era più rimasto normale, dopo quel giorno. Isabel era cambiata e lo sapeva. Tentava solo di tirala su, sperava ogni giorno di riuscirci.

"Dustin lo sai che ti odio!"

Come acido, queste parole caddero duramente dalle labbra della sorella. Un silenzio improvviso avvolse i corpi dei due ragazzi; diceva molto, forse fin troppo. Raccontava la vita, ma anche la storia, di un rapporto sul filo del rasoio, prossimo a spezzarsi.
Non c'era sarcasmo in quelle parole, solo tanta crudeltà.

Un'espressione di dolore si tinse immediatamente sul viso di Dustin; era stato ferito, proprio come la sera precedente. Ma questa volta faceva male, era peggio. Non c'era più speranza nei suoi occhi, solo rassegnazione.
Lentamente posò il cuscino e, a testa bassa, in quell'interminabile silenzio, uscì dalla porta.
Una gelida emozione aleggiava nell'aria di quella colorata camera, ricca di giochi, videogame e altri oggetti tipicamente nerd. Nessuno di questi sembrava appartenere ad una giovane ragazza di diciassette anni. Sembra la camera di un piccolo e timido ragazzino, che è solito rintanarsi in un suo mondo fatto di viaggi interspaziali nell'universo di Star Wars e altre dimensioni parallele, fantastiche. Lontano dalla realtà, una realtà crudele con lui.
Ma quella era la stanza di Isabel, l'unica differenza era il suo sesso: era una ragazza. Ma lei era diversa dalle altre, almeno questa era la giustificazione del suo isolamento. Il suo, era un isolamento voluto. Ma come si può volere la solitudine?

Isabel non la voleva, ma inconsciamente ed ingenuamente la creava. Era caduta in una fossa, buia, fredda e gelida. Era sola, questa era la verità, ma non lo capiva.
Con alcuni gesti veloci afferrò qualche vestito sparso per la disordinata camera e si diresse verso il bagno.
Pensò al sogno, in quel suo breve cammino, ed un leggero sorriso si tinse sul suo volto: un dolce ricordo; almeno ancora ne rimanevano. Erano ciò che le restava per vivere insieme agli altri in quella fossa di solitudine.
Con in mano un cumulo di alcuni vestiti, spinse la porta del piccolo bagnetto; poi, con un forte calcio, la richiuse. Così lasciò da parte il mondo, imprigionato a soli pochi passi da lei.
Ma era proprio questo il suo problema: pensava al mondo come caduto in quel buco, ma era lei quella a sprofondare giorno dopo giorno. Attribuiva un suo problema alla realtà intorno a lei.
Forse per ingenuità o presunzione non riusciva a capirlo e perciò non poteva trovare un cura per la sua malattia; che, con rapidità, la faceva allontanare da tutto e da tutti, senza alcun rimpianto.
Era lei che doveva trovare una via per evadere, non il mondo. Si guardava sempre intorno solo con una benda sugli occhi, perciò, in realtà, non vedeva nulla: solo nero. Solo solitudine e rabbia, tanta rabbia.

* * *

Come una potente lampadina, il sole illuminava il cielo di un freddo giorno di inizio Novembre, il 7.
Ogni angolo di Hawkins ora era illuminato nuovamente da quella leggere luce pronta a diffondersi sempre di più nell'arco della giornata. La vita aveva ripreso il suo corso infinito, per quel che ne sappiamo. Un corso che noi contiamo e classifichiamo, ma che in realtà è solo un andare avanti; un continuo procedere sul filo di una linea retta, sempre avanti.
Una piccola porticina si aprì, spezzando l'apparente calma che regnava in una stradina di quel villaggio nel cuore dell'Indiana.
Con un forte tonfo essa si richiuse alle spalle di una giovane ragazza: Isabel.
Questa volta, con quel piccolo gesto, stava riprendendo a far parte del mondo, quella terra che tanto credeva crudele, solo fatta di male.
Nell'aria ancora parole spezzate potevano essere udite, erano quelle di sua madre: le stava augurando una buona giornata; ma lei, l'aveva semplicemente abbandonata con un fugace bacio sulla guancia. Freddo e anonimo, privo di verità; un gesto appartenente alla quotidianità che spesso si ha paura di spezzare.
Ora poteva respirare, sentiva di essere libera. Questa era la sua idea di libertà: la solitudine. Ma non la rendeva felice, solo sempre diversa e peggiore.
Chiuse gli occhi e respirò quell'aria, una dolce e leggere brezza, fredda e in grado di risvegliarla dal quel vecchio ricordo da poco sognato.
Ma qualcosa di ben più forte sarebbe servito per svegliarla dal sonno della sua ingenua presunzione, serviva l'amore, di qualsiasi genere.
Era pronta per una nuova sola giornata e, perciò, si avviò verso la sua bici, a pochi passi da lei, parcheggiata proprio sotto il porticato della casa.
Qualcosa mancava però, un pezzo fondamentale della quotidianità: Dustin.
Poi un fruscio, proprio alle sue spalle la fece voltare immediatamente. Una bici, un piccolo zainetto e poi un colorato cappellino: era suo fratello.
Una strana sensazione strinse il suo petto, fino al cuore; una forte emozione prese ad alleggiare in ogni parte del suo corpo.
Qualcosa si stava sgretolando, o forse era già totalmente distrutto.
Senti le gambe cedere come non era mai successo, tanto che dovette sedersi.

Dustin non l'aveva aspettata; un gesto semplice, forse innocuo e in un giorno come tanti. Ma quella mattina qualcosa in più poteva essere letto tra le righe: la speranza era finita, un altro filo era stato nuovamente tagliato, una corda importante, forse quella un tempo più resistente. Ora poteva dirsi veramente sola; era riuscita nel suo intento.
Ma quella sensazione non cessava di smettere, imperturbabile continuava a divorare ogni angolo della sua mente; era qualcosa di irrefrenabile: una forte tristezza unita ad un senso di vuoto. Il rimpianto.

Forse non era solo il mondo ad essere crudele?
Forse era anche colpa sua?
Iniziava a comprendere.
Una lacrima piena di calore toccò il suolo, poi un calmo silenzio.

* * *

Altre insulse gocce d'acqua, ora volteggiavano nell'aria; spazzate via da forti gelate di vento.
Questo era il pianto di un piccolo ragazzino, ferito nel profondo. Triste di non avere più speranze e vuoto, per avere lasciato andare una parte di sé. Sapeva di aver fatto il possibile; ma le lacrime cadevano e cadevano, goccia dopo goccia e non smettevano di inondare tutto il suo viso.
Due anime, quella mattina, vennero toccate dal dolore; il filo che le legava quel giorno era stato teso al massimo, ma non si era spezzato. Non lo avrebbe mai fatto.

𝐇𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧, 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐚 | Steve HarringtonDonde viven las historias. Descúbrelo ahora