0.8 "In campo"

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Quel pomeriggio, se tutto fosse andato per il verso giusto, sarebbe stato indelebile: la fine della "Stramba Henderson".
Con lo zaino pesante sulle spalle, china, Isabel chiuse il suo armadietto, prendendo a camminare. Sarebbe andata in palestra, la odiava: "Hey, stramba, ma le hai le mani", "Che schiappa!", "Ma che stai facendo!", "Non sai proprio fare nulla", "Fai schifo!". Era per questo che la odiava, per i ricordi.
Si fermò, la porta era davanti ai suoi occhi: sentiva le voci e lo stridio delle scarpe sul pavimento.
Roboticamente, si voltò verso destra, procedendo nel freddo corridoio, fino alle entrate degli spogliatoi. Si guardò intorno: destra, sinistra, destra, sinistra; per poi avvicinare l'orecchio a una delle due entrate: quella dello spogliatoio dei maschi. Era vuoto. Posò la mano sulla maniglia, pronta a spingerla. Inspirò.
"Hey, che ci fai qui?!"
Il cuore, in un secondo, le saltò in gola; nascose la mano e si voltò: Tommy H. la fissava, con i capelli madidi di sudore.
"Ehm... mi sono persa!" disse di getto. "Dannazione! Che cosa stupida, non ci creder-"
Il ragazzo prese a ridere, indicandola. Poi si fermò, ritornando a fissarla, quasi volesse catturare ogni sfumatura del suo volto.
"Sai... sei stramba, certo... ma non credevo fino a questo punto!" rise di nuovo "Ora smamma! Quelli come te non hanno nient'altro da fare?!" continuò a ghignare.
"Sì... vado" rispose Isabel, abbassando lo sguardo. Rideva anche lei, era stato così semplice.
Prese a camminare, sparendo da dove era venuta. Ma lui continuava a fissarla, quasi non fosse soddisfatto. Forse avrebbe voluto vederla piangere... sì, era quello che tutti desideravano. Eppure, non l'avevano mai vista con le lacrime agli occhi. E sarebbe rimasto così per sempre.
"È lui quello che non ha nient'altro da fare... 'quelli come lui' non fanno altro che... umiliare" si ripeté nella mente.
Poi, impercettibilmente, si catapultò nella prima porta a portata di mano. Indietreggiò, chiudendola. Gettò lo zaino a terra, continuando a indietreggiare. Cadde, scontrando un carrello, colmo di tante bustine. Erano dei condimenti: si trovava nella mensa.
"Dannazione!" bisbigliò tra i denti, sperando che nessuno avesse sentito. Tese l'orecchio: silenzio. Espirò, sdraiandosi a terra: quella vendetta sarebbe stata più difficile del previsto.
"Poi sarà tutto finito" ripeté a sé stessa.
"Poi... nessun to ti chiamerà più 'Stramba Henderson'"
Non percepì nulla: quella frase non le faceva alcun effetto. Cosa le prendeva?
"Io odio la Stramba Henderson" chiese.
"Vero" rispose.
"Io non voglio essere la Stramba Henderson"
"Vero"
"Io non voglio essere chiamata Stramba Henderson"
Nessuna risposta.
Si guardò intorno: era circondata da buste. Avrebbe dovuto raccoglierle, ma rimase ferma e fissarle, mentre quella sua solita espressione si dipinse su di lei. Aveva due idee.

* * *

Era passata un'ora e solo in quel momento Isabel si accorse di avere una gamba addormentata. Era stata troppo seduta, ma doveva solo attendere: dopo aver raccolto tutte le buste ed aver evitato Tommy H., era riuscita a sistemare tutto per la sua vendetta.
"Mannaggia... ma quanto durano qui le partite, io non capisco cosa ci sia di bell-"
Mentre borbottava tra sé, aveva preso a camminare, cercando di risvegliare tutto il suo corpo. Ma forse la partita era appena finita.
"Scusa..." bonfocchió alla persona che aveva appena urtato.
"Tu...?!" disse una voce, dall'alto. Alzò lo sguardo.
"Tu?!" rispose lei, fissandolo negli occhi. Era Steve: perfettamente pettinato e vestito.
"Che hai fatto lì dentro!?" non poté trattenersi.
"Giocato! Non vuol dire che se non puzzo di uovo marcio, non ho fatto nulla"
"Vinto?"
Non rispose.
"Secondo me no" rise Isabel, forse stava esagerando; ma era divertente vederlo così.
"Senti... ehm... sì abbiamo perso, ok?!" terminó lui, avanzando con il passo.
"Hay... aspetta!"
Isabel prese a correre, doveva raggiungerlo. Gli afferrò il braccio, lui si voltò ed i loro occhi si incontrarono. Non l'aveva mai toccato, era la prima volta. Ma subito entrambi ritrassero le braccia, come bruciati da una strana elettricità.
"Ecco... volevo chiederti se è successo qualcosa!"
"Beh... troppe!" disse lui, distogliendo lo sguardo e avanzando. Non voleva parlare, sembrava arrabbiato.
"Che hai?!" chiese lei. "Oh, dannazione! Chiudi quella boccaccia Isabel"
"Che ho!?" disse voltandosi e agitando l'asciugamano che aveva in mano. "Nulla..." si calmò improvvisamente, interrotto da qualcosa.
Isabel seguì lo sguardo di Steve: puntava dritto su Billy, appena uscito dall'edificio. La sua vendetta non aveva funzionato.
"Dobbiamo andare" disse freddamente.
"Devi... vorresti dir-"
Isabel non fece in tempo a finire la frase che si sentì strattonare e prese a correre. Steve la teneva per mano, ma per quale assurdo motivo?
"Lasciami!" gridò, non appena furono abbastanza lontani.
Lui si voltò, pareva più spaventato di lei: aveva occhi colmi di ansia, che puntavano dritti nei suoi. Appena si incontrarono, le sue pupille preso a dilatarsi, inondate da un'improvvisa calma.
"Scusami..." bisbigliò "è solo che-"
"Hai visito me è Billy stamattina..."
"Sì, ma non mi devi in-"
"Non ti devo interrompere, lo so"
Subito scoppiarono in una forte risata, una di quelle in grado di risollevare l'intera giornata. Per nessuno dei due era stata semplice: Isabel era stata minacciata, Steve umiliato in una partita, lei aveva fallito nella sua vendetta, lui aveva perso Nancy.
Risero ancora, con occhi stanchi, cercando di risollevarsi a vicenda. Ma l'orologio batté l'ora e Isabel si rese conto della realtà: doveva prendere i ragazzi.
Il riso si spense e con una corsa la ragazza sparí, salutandolo con un piccolo sguardo.

Perché Steve l'aveva portata via?
Perché si interessava di lei?
E se così fosse stato, perché non aveva fatto qualcosa quella mattina?
Quelle domande le vorticarono nella mente, sfrecciando verso  la Hawkins Middle School.

𝐇𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧, 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐚 | Steve HarringtonWhere stories live. Discover now