0.3 "Apri gli occhi"

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L'aria era leggera, trasportata da una brezza fresca e piacevole. A terra alcune foglie volteggiavano accarezzate dal suo tocco; si levavano alte in aria, sperando di poter riprendere parte a quel grande disegno, sperando di poter tornare indietro; ma era tutta un'illusione e, senza ritegno, crollavano, abbandonate, toccando il freddo suolo della via.

Poche macchine ancora restavano parcheggiate davanti al centro commerciale, mentre una miriade di piccoli veicoli sfrecciava nel buio, sulla piccola strada poco lontana da lì. Erano veloci e invisibili, tranne per i loro grandi occhi luminosi, ognuno diverso dall'altro, unici.

Le porte scorrevoli del grande edificio, ancora acceso da quelle luci abbaglianti, si aprirono un'altra volta. Una ragazza, trafelata e dell'aria quasi sconvolta, uscì, trascinando quasi come un peso la sua gamba destra.
Con un gesto asciugò una leggera goccia di sudore che, sola, era scivolata sulla sua fronte: non pensava sarebbe stato tutto così faticoso e improduttivo.
Aveva girato tutto il centro commerciale, sperando, ora dopo ora, in una consegna in quella gelateria, ma quello che aveva ottenuto in risposta era solo un grande dolore. Steve se n'era andato, chiudendo la serranda del suo negozio e, Isabel pensava, forse presto avrebbe fatto lo stesso con "loro". Dopotutto era meglio così, non avevano fatto che peggiorarsi a vicenda; lei lo aveva trascinato in quel buco di delusione e solitudine, dove ognuno è anonimo e la sua parola sembra solo una nota a piè di pagina di un eccentrico racconto. Questo voleva dire non essere popolari e, ora, Steve stava subendo tutto ciò per colpa sua.

Isabel sospirò, avvicinandosi alla sua bici, con i capelli scuri che volteggiavano leggeri nel vento. Leggerezza, aveva proprio bisogno di questo. E l'aveva trovato: nei mesi prima era riuscita a sentirsi diversa, libera da quello che era veramente. Ma tutta quella "felicità" aveva portato solo altri problemi, causa ed effetto. Felicità e tristezza. Andava sempre così, come una catena infinita, dove tutto culminava con lei, un grande buco nero che distrugge e non sa fare altro; taglia rapporti, risponde freddamente e si richiude su sé stesso. Questa era lei.

Salì sulla sella, lasciando cadere in quell'aria piena di pensieri, quel foglietto che tanto aveva creduto essere la sua ultima speranza, un modo per rivederlo.
Poi, prese a pedalare, abbandonando alle sue spalle anche quel posto, chiudendo temporaneamente anche quella porta, non sperando più nel domani, ma solo nel passato; sperando in un ritorno a ciò che era, al mondo in cui aveva amato vivere.

Iniziò a farsi strada velocemente tra tutte quelle nere macchine parcheggiate alla rinfusa e, dopo due curve, fu sulla strada, sfiorata ogni secondo da violente folate di vento. Viva per un soffio o meglio per lo sfrecciare di una vettura.
La luce poggiata davanti alla sua bicicletta risplendeva leggera in quel vorticare momentaneo di fasci luminosi rossi e gialli. Forse era inutile tenerla accesa, ma, seguendo quel ragionamento, era anche inutile portarsi in giro quel pesante zaino; ma erano una necessità per la sua paura, la paura di quel... bosco.

Senza accorgersene il suo viso si era calamitato verso tutti quegli alberi, che indistintamente si estendevano al suo fianco. Erano fitti e i loro piedi erano coperti da un morbido e lieve strato di foglie scricchiolanti, mentre altri le conservavano ancora sui loro secchi e ondeggianti rami. Era un paesaggio sublime, poetico forse, ma non per lei, non per quello che le ricordava.

Il rombo dei motori delle macchine si attenuò e la strada si fece sempre più buia e vuota. Un brivido improvviso sciolse le membra di Isabel, mentre i suoi occhi si posarono su quei pochi tratti di cemento illuminati dalla flebile luce della sua bici. Le mani si strinsero di più attorno al manubrio e, senza accorgersene, aumentò la sua andatura, quasi a voler scappare da tutto quello. Si sentiva così infantile e così sola. Se solo con lei ci fosse stato qualcuno, Steve...

A sentir riecheggiare quel nome nella sua mente, quel brivido si ripresentò, avvolgendola ancora; ma non era di terrore, non sapeva nemmeno lei di cosa potesse trattarsi e temeva nel voler scoprire la verità.

Chiuse gli occhi, cercando di ritrovare la calma, nonostante quel turbine di emozioni che l'aveva investita. Non le importava più della strada, del bosco e, sì, anche della paura stessa. Ora sentiva solo di aver sbagliato, sentiva di aver sbagliato tutto con lui quella sera. Ma anche Steve aveva errato e anche molto; forse avrebbero dovuto chiedersi scusa a vicenda, ma erano troppo orgogliosi per farlo.

In quegli attimi, la luce scomparve per pochi secondi, lampeggiando leggermente. Il buio si fece più fitto, mentre un'aria glaciale iniziò a respirarsi in quella comune serata estiva.
Ma Isabel sfrecciava ad occhi chiusi, pensante nel suo mondo e, perciò, non si accorse di nulla. Nulla, nemmeno della macchina blu che pochi secondi dopo andò ad urtare, precipitando al suolo e aprendo gli occhi abbastanza in tempo per veder sfavillare la luce della sua bicicletta sempre di più. Sembrava come precipitata in uno strano loop, un susseguirsi di fugaci convulsioni, segni che volevano direi solo una cosa: era in pericolo.

𝐇𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧, 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐚 | Steve HarringtonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora