Capitolo ventuno

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Kirishima's pov

Mamma Shizu era davanti ai fornelli da circa due ore. Mi avevano fatto invitare Bakugou a pranzo sostenendo che, non soltanto lo volevano conoscere, ma lo dovevano già trattare come uno di famiglia. La prima opzione era stata la cena, ma avevano ritenuto che un pranzo sarebbe stato molto più informale e rilassato. Io non ero del tutto certo di comprendere la differenza di formalità tra un pranzo ed una cena, ma sapevo che era meglio non mettersi contro le decisioni di due donne indaffarate -specialmente se una delle due può tirarti uno schiaffo roccioso per rimetterti in riga.

Eriko, che per l'occasione aveva tirato fuori uno dei suoi vestiti più graziosi, andava di stanza in stanza per assicurarsi che ogni millimetro dell'appartamento fosse pulito e ordinato e, con la sua fin troppa minuziosità, spostava gli oggetti di qualche centimetro finché, dopo averli rimessi esattamente nel posto iniziale, non le sembravano perfetti. Non tralasciò niente: né le matrioske sulla mensola, né la ciotola dell'insalata, né il ciuffetto più ribelle dei miei capelli.
–Ti si vede la ricrescita, Eiji– mi disse, indicando appena sopra la mia fronte, per poi passarmi una delle mie amate bandane. Non sapevo nemmeno da dove l'avesse uscita fuori dato che il suo lungo abito bordeaux non aveva l'ombra di una tasca. –Tieni.
La indossai, un po' controvoglia, e solo dopo essersi accertata che fosse perfettamente perfetta, passò ad annoiare una povera pianta che evidentemente aveva un ramo troppo a destra. 

All'arrivo del ragazzo esplosivo mancavano ancora almeno una ventina di minuti. Io rimasi sul divano a non fare niente per tutto il tempo, e nemmeno mi resi conto che le mie gambe stavano tremando.
Avevo un po' ansia che Katsuki... posso chiamarlo per nome, ormai, vero? Va be', temevo che a mamma e mamma lui potesse sembrare un po', come dire... se stesso. Cioè, non che volessi che si mostrasse per qualcuno che non era, ma se si fosse finto un po' più cordiale del solito probabilmente non avrebbe fatto male.
"Ehi" gli scrissi, sperando vivamente di non farlo restare male. "Quando arrivi qua, potresti essere un po' più calmo del solito? Per favore? Così che magari gli stai un po' più simpatico?"
Lui rispose nel giro di qualche minuto. "Non penso di riuscirci ma ci proverò" digitò lui, per poi aggiungere un: "Sto qua sotto, apri il portone".
Presi un respiro profondo, poi avvisai le mie due genitrici che il mio ragazzo era appena arrivato.

Eriko si mise a saltellare tutta emozionata e si avviò verso il citofono.
–È carino!– esclamò, osservando il volto di Bakugou attraverso la telecamerina, per poi schiacciare il pulsante per permettergli di entrare.
–Com'è, com'è?– chiese mamma Shizu, curiosa, buttando il grembiule da cucina che indossava dall'altra parte della stanza. La compagna l'afferrò al volo e lo fece sparire dentro un armadietto.
–Biondo, occhi rossi... fa un po' bad boy– rispose Eriko. –Un bel tipino, direi.
–Aw, gli piacciono i biondi proprio come alla sua mamma– la donna con i capelli scuri si finse commossa. –Hai preso tutto da me!
–Mamma, ti prego...– mormorai, leggermente in imbarazzo.
Eriko mi fece l'occhiolino e si sistemò, probabilmente di proposito, la lunga chioma bionda su di una spalla. –Ha ragione lei, Eiji.
Sospirai per l'ennesima volta; contro quelle due non avevo la minima speranza.
E mezzo secondo dopo suonò il campanello. Bakugou era arrivato.

–Shizu, come sto?– chiese Eriko, frettolosa e nervosa.
–Benissimo– mia mamma le sorrise. –Io?
–Hai dei capelli osceni– rispose la compagna, cercando di domare quel taglio corto come meglio potesse con le dita.
–Quello sempre, lascia stare– scherzò, e poi mi di disse di andare ad aprire la porta. Io feci ciò che mi era stato richiesto.

–Ehilà!– salutai Bakugou appena lo vidi. –Ciao!
–Ciao– rispose lui con calma. –Posso?
–Certo!– e mi spostai all'uscio per permettergli di entrare.
Quel giorno, Bakugou si era tirato a lucido per dare la migliore impressione possibile. Aveva evitato la solita maglietta con i teschi, optando per una bella camicia nera ed un jeans leggermente consunto -probabilmente l'unico in suo possesso che non fosse completamente bucato. Era molto sobrio, per essere lui.
Tra le braccia, stringeva un vassoietto coperto da della stagnola; me lo lasciò tra le braccia e poi passò subito a salutare le due donne presenti.
Fu così educato che mi spaventai che non avesse mandato uno che gli somigliava al posto suo.
Beh, in effetti aveva detto che avrebbe provato a sembrare più cordiale.
Ci stava riuscendo, e alla grandissima.

Scambiarono due chiacchiere per rompere il ghiaccio e Bakugou non urlò né si pose in modo maleducato. Non disse nemmeno una parolaccia.
Avevo seriamente intenzione di chiamare l'ambulanza; non tanto per lui che sembrava stare benone ma per me che, preoccupato com'ero, avrei rischiato un collasso per la seconda volta in due giorni.
Subito dopo venne il pranzo, e non sarebbe potuto andare meglio. Metà dei cibi proposti sapevo non essere di suo particolare gradimento, ma mangiò tutto e non lasciò nemmeno una briciola. Disse perfino che era tutto buonissimo.
Alla fine di quell'incontro, mia mamma e mia mamma sembravano essersi innamorate di Bakugou più o meno quanto me, mentre io ero sempre più convinto che Katsuki si fosse rotto.
Ma va be', questi sono dettagli.

–Bakugou-kun, dopo la scuola vuoi fare l'eroe, vero?– chiese Eriko che, sebbene lo sapesse benissimo, tendeva a dimenticare tutto.
Il biondino annuì. –Certo– rispose.
–Hai già scelto il nome da eroe?– chiese invece mamma Shizu, curiosa.
–Diciamo che ci sto lavorando– disse Bakugou. –Attualmente, non ce l'ho ancora. L'ultimo che ho proposto non andava bene.
–Come mai?– chiese Eriko. –Che aveva di male?
–Emh... era...– il mio ragazzo sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di inventare una scusa che non fosse "non potevo essere un re assassino delle esplosioni". –...troppo banale– rispose.
–Che nome era?– domandò allora la mora.
–Explosion– risposi allora io al suo posto, sparando il nome più scontato che mi venisse in mente.
–In effetti era troppo semplice– osservò mia mamma. –Va be', hai ancora tanto tempo per trovarne uno più particolare.
–Magari un giorno se lo faranno coordinato– scherzò l'altra. –Che ne dite di Blond Riot?
Mi schiaffeggiai la fronte, imbarazzato. Non poteva averlo proposto davvero.
Anche Bakugou dovette aver pensato a qualcosa di simile, ma si trattenne dall'insultarle. –Chissà– disse soltanto, e poi si cambiò argomento di conversazione.

Finito di mangiare, portai Bakugou in camera mia per stare un po' da soli.
Chiusa la porta alle nostre spalle, il biondino scoppiò.
–Dio, che proposta del cazzo!– sbottò, liberando tutta la rabbia che aveva trattenuto. –Manco fossimo una coppia sposata, ti rendi conto?!
Alzai le spalle. –Loro si sono conosciute alla nostra età, quindi forse ci vedono come una coppia già sposata.
–E tu da dove sei saltato fuori?– chiese Bakugou.
–Stavano insieme al liceo, poi si sono lasciate, mia mamma ha avuto una storia con un uomo e poi si sono rimesse insieme– spiegai. –Io vengo fuori da quel piccolo intermezzo.
–Non ti ho chiesto la storia della tua vita!– esclamò, ma poi si bloccò di colpo. Forse realizzò che me l'aveva effettivamente appena chiesta.
Scosse la testa. –Va be', lasciamo perdere.
Cadde un leggero velo di silenzio; io e lui ci guardammo negli occhi, non sapendo bene che cosa avremmo dovuto fare. Bakugou era un po' nervosetto, come se volesse chiedere qualcosa ma non ne avesse il coraggio.
E allora il primo passo, questa volta, lo feci io. –Dai, vieni qua– lo invitai, allargando le braccia ed invitandolo a farsi stringere un po'.
Non se lo fece dire due volte; mi rivolse un sorrisetto e si fiondò addosso e mi abbracciò con la sua solita e particolare energica dolcezza.
Per quel piccolo istante, mi sentii l'uomo più felice sulla faccia della terra.

Il coraggio che ci vuole per essere gentili‐ KiribakuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora