Capitolo ventidue

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Bakugou's pov

La scuola, dopo gli ultimi incidenti, aveva giustamente deciso di farci dei dormitori per tenerci al sicuro. Soffermandoci un secondo sul fatto che hanno realizzato tutto in qualche giorno, mi chiedo da sempre quanti soldi abbia lo U.A.. No, sul serio. Quanti diavolo sono?!
Probabilmente così tanti che la tizia che sbava dietro a Deku morirebbe, se lo scoprisse. Sarebbe divertente, però.

Va be', comunque, il giorno del trasloco i miei dovettero scaricare me e i miei diecimila scatoloni fuori dal portone del mio nuovo alloggio.
Il posto era anche figo, a dirla tutta, ma l'idea di dover convivere ventiquattr'ore al giorno con tutta la classe mi dava sui nervi, ma almeno c'era Kirishima.
Il trio di deficenti che condivideva un unico neurone stava organizzando una gara a chi aveva la stanza più bella, coinvolgendo tutto il resto della scolaresca. Io non avevo la benché minima intenzione di partecipare al loro stupidissimo giochetto, quindi mandai a fanculo quella specie di pirla elettrico e mi caricai sulle spalle lo specchio da salire al piano di sopra.

Fu Deku ad aiutarmi a portate tutti i miei scatoloni nella stanza che mi ero scelto. Chiesi a lui perché il mio ragazzo ancora non c'era ed il broccolo era l'unico altro essere vivente in tutta la scuola a sapere che leggevo shoujo e anche qualche yaoi. Me li ero portati tutti e li stavo già sistemando, e non avevo intenzione di lasciare che altri lo scoprissero. Sarebbe stato fin troppo umiliante, dato che ne ho almeno cinquecento.
Non giudicatemi, i manga sono la mia priorità... potrei comprarne anche decine e decine ogni mese senza pentirmene. O forse me ne pentirei, ma lo farei di nuovo. E infatti lo faccio.
E penso di parlare anche a nome di tutti voi dannati weeb che state leggendo. 

–Questo è l'ultimo– mi informò Midoriya, lasciando l'ultimo scatolo pieno di roba accanto alla porta. –Serve altro?
–Sì, si devono riempire le mensole– risposi, ma in realtà era solo una scusa. Avrei potuto fare tranquillamente da solo, ma avevo bis-... oh Dio, no... non ho bisogno di Deku, io ho solo... cioè... troverei utile parlargli. Ecco, così suona bene.
–D'accordo, ma poi tu mi aiuti con l'armadio?– mi chiese lui con uno dei suoi sorrisi gentili.
–Se ho tempo– risposi, annuendo appena. –Chiudi la porta.
–Ah?
–Ti ho detto di chiudere la porta ripetei in un tono che non ammetteva repliche.
Il ragazzino dai capelli verdi fece come gli avevo chiesto, per poi prendere le prime serie e chiedermi dove andassero messe.
Io glielo indicai ed inizialmente lavorammo in silenzio, ma poi mi costrinsi a porgli la prima domanda.

–Come va con il bastardo a metà?– dissi, per poi spostare lo sguardo da un'altra parte, mettendo un paio di manga sulla mensola in alto.
Merdeku arrossì, ma non avrei saputo dire se perché si era ritrovato uno yaoi tra le mani o per la domanda. –Alla grande, grazie– fece lui timidamente, mettendo via il volume. –Con Kirishima?
–Diciamo che non è passato abbastanza tempo per far succedere qualcosa di brutto– risposi con un'alzata di spalle, mettendone a posto altri. –Negli ultimi giorni non l'ho  nemmeno visto molto, a causa del trasloco.
–Sì, capisco– sospirò, sospettoso. –Anche io e Shouto abbiamo avuto lo stesso problema.
Aveva intuito che avevo qualche cosa da chiedergli ed attendeva che, tra tankobon e l'altro, gliela svelassi.

–Vi chiamate già per nome?– chiesi, stupito. Per chi non lo sapesse, dato che voi lettori siete italiani, chiamarsi per nome in Giappone è un gesto molto importante, molto intimo.
–Voi no?– domandò lui di rimando, arrossendo ancora di più.
Scossi la testa. –Non ne abbiamo ancora parlato, semplicemente. Non penso che mi direbbe di no, ma forse comincerebbe chiamandomi Katsuki-kun o una roba simile.
–Shouto mi chiama Izu, ogni tanto– rivelò lui. –Magari Kirishima-kun può trovare un nomignolo anche a te.
–Katsu suona malissimo– obiettai, schietto.
Deku alzò le spalle. –Hai un nome fraintendibile, Kacchan– ammise.
Guardai il manga che avevo in mano in quel momento. –Quantomeno non mi chiamo Yacchan– obiettai, per poi farlo sparire quel dannato volume e gli altri in un angolino, ben nascosto tra altre serie mezze normali.
–Yacchan?
–Lascia perdere– sbottai, diventando di colpo molto più aggressivo.

Il broccoletto si zittì. Forse gli avevo addirittura fatto un po' paura.
–L'altro giorno ho conosciuto le signore Kirishima– raccontai. –Ho provato a mettere in atto il tuo consiglio.
–Quale? Quello di essere più gentile?
Annuii. –Non è stato facile.
–Immagino– disse Deku. –Com'è andata?
–Una cringiata assurda, ma almeno quelle due mi adorano– risposi subito, riprendendo a quanto il rosso fosse stato felice di raccontarmi di quanto fosse stata buona l'impressione che avevo fatto. –Ma io... non so. Non mi piace.
–Essere gentile?
–Fingermi gentile– specificai. –Cioè... fa schifo. Sembra una cosa strana, come se non fossi io.

–A volte bisogna fare così per andare d'accordo con gli altri– spiegò il broccolo, continuando pazientemente a spostare manga dallo scatolo alla mensola. –È un po' quello che ho fatto io con te per tutte le medie. Mi trattenevo dal reagire per evitare di fatti incazzare più del dovuto. Avevo paura che reagissi male, quindi ho cercato di essere gentile per non prenderne altre.
Alzai le spalle. Aveva senso come ragionamento, ma qualcosa continuava a non tornarmi. –Ma non sarebbe meglio essere onesti e dire le cose come stanno? Cioè, se avessimo chiarito prima non sarebbe andata meglio?
–Beh, forse sì– ammise Deku. –Ma il mondo non funziona così. Nessuno si mostra e agisce per quello che realmente è, e se lo fa verrà criticato.
Aveva ragione anche su questo; nemmeno io ero mai onesto con le persone che avevo intorno, a parte che con quello stesso broccolo che mi stava parlando.
Finimmo di mettere a posto senza più dire più nemmeno una sillaba; dieci minuti dopo, qualcuno bussò alla porta.

–Sono io, posso?– esclamò la voce di Kirishima dal corridoio.
–Entra– risposi, e in circa tre secondi mi si fiondò addosso. Doveva essere un abbraccio, probabilmente, ma in realtà sembrò più un placcaggio; per l'appunto, non so bene come, ci ritrovammo a terra.
–Ciau– disse, e poi mi lasciò un bacio a stampo sulle labbra. –Mi sei mancato.
Io arrossii fino a diventare del colore dei suoi capelli, e solo allora si rese conto che in stanza c'era pure Deku -che tanto per dire si era messo ad aweggiare.
–Oh, ehi Midoriya-kun!– esclamò il mio ragazzo, per poi alzarsi in piedi e salutare il broccolo. –Anche tu qui?
Mentre loro due chiacchieravano allegramente, io mi sedetti a gambe incrociate sul pavimento. Diedi un'occhiata orgogliosa ai miei manga, e poi mi persi nel sorriso di Kirishima mentre chiacchierava con il nostro compagno di classe.

Il coraggio che ci vuole per essere gentili‐ KiribakuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora