Capitolo 8. Caduta di poco stile

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Alfred fu reattivo abbastanza da far sparire le armi e afferrare l'umbra da sotto le ascelle.

Nel mentre, si staccò da ella un'ombra fatta a sua immagine e somiglianza, ma con la stessa aurea e della stessa sostanza della creatura uscita dal petto di Rita.

Antonio, preso un piccolo spavento, si slanciò contro la creatura. Pochi rapidi tagli e quell'essere, di nuovo puntante la regione svenuta, tremolò come un riflesso nell'acqua increspata e infine svanì.

<Angela!> si preoccupò Franco, zigzagando fra i corpi dei demoni che si stavano tramutando in cumuli di cenere.

<Sta bene, credo-!> avvisò lo statunitense, il visibile movimento della sua gabbia toracica un buon segno.
<Quel 'credo' non rassicura affatto, se viene da te.> commentò Matthew, inudito dalle altre nazioni, ma strappò un risolino alla sarda.

<Che ridi?> domandò Yao.
<Non hai sentito il signor Canada?> chiese ella.
<No. È qu-?- ah, eccolo.> notò Ivan, un'espressione sorpresa sul suo volto quando lo notò vicino alla sarda.

L'isolana fissò i due stupita, ma il canadese la rassicurò con: <Ci sono abituato.>
<Non è giusto.> asserì Rita, per poi dirigersi velocemente verso la sorella, come stavano facendo le altre nazioni.

Alfred aveva depositato Angela a terra, comunque sorreggendola. La regione montuosa mugugnò qualcosa e aprì gli occhi, osservando senza molta concentrazione i suoi dintorni.

<Angela? Ci sei? Mi senti?> domandò incalzante Franco.
Lei si fermò su di lui e il suo sguardo ridivenne più preciso, attento, presente. Rispose: <Si, ci sono... ma ho una strana sensazione...>

<Beh, hai appena cercato di ucciderci-> notò Gilbert.
<È Prussia...? Sono arrivate le nazioni ad aiutarci?> riconobbe la voce e chiese Angela.

<Sì.> rispose Rita <Stai bene?>
<Ho della confusione in testa, ma ci sono.> asserì ella, rialzandosi in piedi con un fluido e rapido movimento.
Si girò e fissò l'americano per qualche istante, asserì: <Grazie per non avermi fatto sbattere la testa, signor USA.> e poi si rigirò verso i due fratelli.

<Gli altri...?> chiese.
<Dobbiamo ancora trovarli.> rispose Rita.
<Andiamo?> propose lei.

<Te la senti davvero? Non è che svieni fra due passi?> indagò Yao.
Angela lo fissò con la sua tipica espressione seria e fredda e assicurò: <Ho le forze. Non serve cincischiare e abbiamo ancora tanti da trovare. E ciò che non so posso chiederlo ai miei fratelli.>

<Wow, sembri Kiku.> commentó Alfred, sorridente <Avete lo stesso atteggiamento con quel vecchietto!>
<Bambinone idiota.> rispose il cinese.

<Come il signor Giappone...? Credo Feliciano me l'abbia detto, una volta.> ricordò lei, cercando e incontrando con lo sguardo il nipponico. Si squadrarono qualche istante ma non dissero nulla.

<Usciamo dal portone.> suggerì Antonio.
Henrique si avvicinò e lo aprì, oltre passandolo. In fretta gli altri lo seguirono e si ritrovarono in un ampio corridoio da cui si diramavano una moltitudine di corridoi, tutti diversi.

Alcuni erano stretti, altri larghi, taluni alti, diversi bassi, svariati decorati, molti spartani, pochi con un arco, tanti dall'apertura rettangolare.

Questi elementi si combinavano e creavano tutte quelle porte, diverse, sì, ma anonime. Nessuna ti faceva supporre fosse più importante delle altre.

<E ora...?> domandò Ludwig.
<Qualcuno di voi maghi ha una risposta?> chiese Francis.
<Assolutamente no, rana.> rispose Arthur irritato; se con l'altra nazione o con se stesso (per non capirci niente) era indifferente.

Gabbia di séWhere stories live. Discover now