Capitolo 125. Giorgio fa venire pensieri impuri e non lo sa

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Lovino mesceva il vino nel bicchiere, gustandosi quei secondi di pace al tavolo, tutti impegnati a finire educatamente il dolce.
E intanto la mano di Henrique gli accarezzava la coscia, discretamente, da sotto il tavolo.

Era stato un pranzo lungo, una mattinata sicuramente lunga (che non ricordava benissimo, purtroppo) e voleva pace. E sicuramente la voleva anche il suo amato. Con ogni probabilità, la voleva anche più di lui. Forse non voleva solamente "pace" nel suo senso ovvio. Da quando era tornato cosciente (lo terrorizzava non ricordare cosa aveva fatto, anche se glielo avevano spiegato), João era stato più appiccicoso del normale.
Ed è tutto dire!

Quasi ogni secondo nell'ultima ora e poco più, gli era sembrato abbastanza palese che Henrique s'agitasse appena non avesse qualche parte del corpo in contatto con lui. Anche solo un dito.

Ma, a rifletterci, anche il crucco gli era sembrato più palo-in-culo e insieme più incollato a Feliciano del solito.
Probabilmente avere il proprio marito posseduto, ridotto a marionetta e usato come pedina per combatterti portava ad essere un po' più apprensivi.
Non che non capisse! Non voleva neanche immaginare se i ruoli fossero stati ribaltati.
Per fortuna che Henrique non l'aveva dovuto combattere direttamente! In un soffio, João aveva commentato, prima, che non sapeva se ce l'avrebbe fatta. E Lovino condivideva.

Quindi si mise più comodo sulla sedia, sedere più sul bordo del sedile mentre s'appoggiava meglio contro lo schienale e beveva un sorso di vino. Non era totalmente scomposto, non ancora!, ma era sulla buona strada.

Dato che comunque era ancora contro il tavolo, Henrique ne approfittò per salire con la mano lungo la coscia, più vicino all'inguine.
Sperò che nessuno notasse e tirasse ad indovinare sul perché il suo ricciolo si fosse arrotolato di più su se stesso, perché si sarebbe tagliato la lingua prima di ammetterlo a voce alta!

E poi il vento gli portò due odori. Disperandosi mentalmente sul perché non potessero avere tre secondi di pace, girò il volto e vide arrivare Aleksander, seguito da Giorgio.

Feliciano aggrottò le sopracciglia e notò, quando furono a portata di orecchio: <Non ti ho chiesto del vino, no?>
<Tu no.> notò Giorgio, che fece comparire una fiaschetta in mano e ne bevve un lungo sorso.
Invece Aleksander mostró un mazzo di carte e commentò: <Io ancora la mia promessa da mantenere, ossia far imparare qualcuno a giocare a briscola.>

<Oh, Yao, impara con me, così giochiamo insieme! È un gioco che si può fare in coppia, no?> domandò Ivan, allegro, anche se sperava in una risposta di товарищ Sofia.

Giorgio si staccò dalla fiaschetta, si pulí una goccia di vino con il retro della mano e ribatté: <Minimo in coppia. Massimo in quattro, di solito. Non puoi giocare a briscola da solo.>

<Oh, perfetto, odio giochi come il solitario!> rispose Ivan, indicando la fine del tavolo, accanto a sé.

Giorgio fece comparire il suo mazzo di carte e iniziò a borbottare qualcosa mentre Gilbert lamentava internamente, per una volta, che era un grande peccato fosse seduto lontano da Ivan.

Il veneto tirò fuori una carta, evocando due sgabelli. Aleksander ne prese due e, senza tanti problemi, si mise tra Yao e Ivan, anche se leggermente indietro. Giorgio si sedette vicino al russo, non muovendo lo sgabello da dove era stato creato, e appoggiò i gomiti sul tavolo.

<Non sembri entusiasta.> notò Feliciano.
<Perché Ale ha fatto la promessa, ma in tre giocare a briscola fa cagare, soprattutto per chi non sa niente. Quindi mi ha ingaggiato.> e bevve un altro sorso di vino dalla fiaschetta che continuava ad apparire e scomparire.

<Non fa bene tutto quel vino.> ammonì Ludwig <Specialmente quando c'è bisogno di essere lucidi.>
Giorgio assottigliò lo sguardo fino a che due capocchie di spillo ambrate non trafiggevano da parte a parte il tedesco. Sibilò: <Fammi la morale quando non devo ubriacarmi per tempo per colpa tua.>

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