Capitolo 88. "Con i miei coglioni!"

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N/A: ok, così il titolo è molto fraintendile, ma giuro che ha senso! Giurin giurello!
Leggete e lo scoprirete!

Rita schivó un soldato e lo disintegrò in un istante e non le diede granché soddisfazione.
Alzò lo sguardo e scandagliò la stanza affollata alla ricerca di Roberto che era rimasto diligentemente accanto a quelle ombre che avrebbero dovuto rappresentare i Savoia. Non che fosse sorpresa dalla cosa.

Ma volare era fuori questione, si sarebbe resa un bersaglio ancora più semplice, e teletrasportarsi era impossibile, non essendo mai stata nel luogo in cui il fratello si trovava.

<Giù!> gridò qualcuno dietro di lei e non ci pensò due volte ad accovacciarsi. Due soldati che avevano provato ad assalirla (senza che lei se ne accorgesse, cazzo-!) vennero rispettivamente crivellati di proiettili e frecce.

Si girò e vide Alfred messo in una posa ridicola per mostrarsi "virile" e Matthew che sorrideva, arco teso, per poi concentrarsi su altri soldati. E dando un calcio (leggero) contro lo stinco del fratello per disincantarlo.

Rita sorrise e strinse a sé il bastone, pensando a come agire. Se non fossero stati due pere cotte per lei, come se fosse stata l'unica donna che avevano mai visto in vita loro, sarebbero anche stati simpatici, con ogni probabilità.

Chiuse gli occhi e mosse il bastone in un arco sopra la sua testa, segnato da un brillio rosso.
Divenne leggera e intoccabile come l'aria e, portandosi appresso il bastone diventato incorporeo a parte per le gemme che costituivano gli occhi del mammuthones inciso sull'impugnatura, sfrecciò attraverso la sala per piombare di fronte a Roberto e le ombra-Savoia.

Ridiventò in fretta corporea e parò il colpo di Roberto, osservando orripilata come il suo sguardo fosse spento, quello di un pupazzo. Come quello di quella sera, solo che quella volta gli occhi erano lucidi-!

Scosse la testa e urlò: <Non sono più i tuoi capi! Non ti controllano più!>
Roberto ruppe il suo scudo con una velocità e potenza impressionanti (e un po' terrificanti). Rita lo evitò per un soffio, solo l'orlo finale della sua gonna che ne uscì tagliuzzato. Se non stava attenta, sarebbe capitato al suo collo o petto.

<Io li servo, perché sono il meglio per le mie terre. E se devo soffrire, soffrirò. È questo che dobbiamo sopportare.> recitò il piemontese con tono piatto.

La sarda batté un piede per terra e agitò il bastone come una mazza da baseball, producendo una ventata d'aria che fece arretrare (e quasi cadere a terra) il fratello.

<No! Non così tanto Non come ti hanno fatto soffrire quei bastardi. Nessuno lo merita!> ribatté l'isolana, schivando un altro colpo.
Provò ad intrappolare l'altro in una bolla, ma Roberto la spezzò con il suo fioretto, una lingua di fuoco blu data la magia che pareva scorrere a fiumi da lui.
A quanto pare essere posseduto gli aveva amplificato i poteri.

Lo spinse indietro con un'altra onda d'aria, ma non aveva senso continuare quella lotta arma incantata contro magia pura. Doveva mettersi al suo stesso livello... e non ne era entusiasta.

Strinse il bastone che si illuminò di violetto, per tramutarsi nella sua mano in una spada bastarda.
Gli occhi di Roberto si spalancarono per un attimo, prima di tornare inespressivi come prima.

Andò all'attacco e Rita celere parò il colpo, poi arretrò di un passo per poi di nuovo buttarsi in avanti e provare un affondo, che venne deviato facilmente.
Ma alla sarda era bastato quella scintilla per sperare di poter animare un incendio.

<Ti ricordi quella sera? Quella in cui ti ho chiesto di combattere ad armi pari ed ho usato questa spada?> chiese l'isolana.
Roberto tentò un colpo audace, un colpo netto al collo di lei, fallendo miseramente.
Non replicò, ma la fissò negli occhi per un secondo di troppo, rischiando di farsi colpire nel fianco.

<Ero arrabbiata, furiosa, e volevo solo una scusa per farti male.> continuò lei.
Roberto le si buttò addosso con rabbia, quasi facendola cadere a terra nonostante la differenza di peso fosse a sfavore di lui.

Ignorò la paura e il dolore alle braccia e commentò con una risata amara: <Volevo vincere, avrei odiato perdere. E alla fine siamo finiti in quella sorta di odioso pareggio che ho trovato ancora più astioso della sconfitta.>

Dietro di sé, i soldati erano sempre meno e qualche nazione e regione si avvicinavano sempre di più.
Quasi disarmò il fratello. Duellando con più foga, tra i respiri affannati, concluse: <È allora che ho capito che non ero solo io la vittima di quegli stronzi dei Savoia, anzi. Io c'ero dentro fino al collo, ma tu eri immerso fin nei capelli. E nonostante li abbiamo cacciati quasi un secolo fa, nonostante siamo una repubblica, ti continuano a controllare. Ma non devono. Tu sai esistere senza di loro. Tu stai meglio senza di loro.>

<No.> ribatté Roberto, ma il tono era tremolante. Si bloccò e cercò con lo sguardo le ombre dei Savoia, che sibilarono: <Ha torto! Come fai a credere ad una simile contadina? Noi siamo il meglio che ti può capitare, Piemonte!>

<Il meglio che gli poteva capitare l'avrebbe fatto soffrire come un cane? L'avrebbe sfruttato come una bestia da soma? L'avrebbe usato come-> e si bloccò. Le voci degli altri erano troppo vicine e, per quanto voleva salvare il fratello, forse accennare a quell'evento avrebbe solo peggiorato le cose.

Ma lo sguardo lucido che il piemontese le riservò, le braccia flosce lungo i fianchi e la spada appoggiata sulla punta contro il terreno urlarono a sufficienza.

Ora o mai più.

•~-~•

Hans fissò Aleksander a metà tra lo shock e l'incazzatura e urlò, sempre in tedesco: <Ma che cazzo-?!>

Il friulano rise e rise ancora, mentre ancora stringeva a sé Giorgio svenuto e sanguinante. Tra boccate d'aria tremolanti per via dei risolii quasi balbettò: <Come parli, mi fa spaccare-! AHAHAHAHA! Perché il tedesco, quando lo parli tu, Bruno, è così divertente? Pft-PUHAHAHA> e scimmiottó i suoni pronunciati dall'altro, sempre con la ridarola.

<È... impazzito?> chiese Kiku senza mezzi termini, non trovando un modo più posato per esprimere il suo stupore.
<Non più del solito.> commentò Francesca.
<Succede sempre, infatti Bruno non parla mai tedesco. Lo fa solo con lui, davvero.> assicurò Mario.

<Ma con che razza di coglioni ho a che fare?!> s'adirò Hans, sempre in quella lingua germanica, scatenando altre risate da parte di Aleksander.

Bruno, rinchiuso nella sua stessa mente (terrificato ma risoluto ad uscire), trovò una breccia nella muraglia oleastra e nera che Hans aveva costruito.
A quanto pare, un po' di dose di Aleksander bastava per farlo cedere.

"Con i miei coglioni!" rispose a tono Bruno, fiondandosi attraverso la breccia.
E avanti a sé trovò Hans, che gli dava le spalle, e che si girò a fissarlo, scioccato.

Bruno allungò una mano e lo tirò indietro. Venne risucchiato dalla luce che emanò il "pavimento" dove poco prima stava Hans.

Il mondo vorticó su se stesso, poi il suo corpo fu attraversato da aghi bollenti in ogni singolo poro e infine fu tutto buio.

Gabbia di séWhere stories live. Discover now