Capitolo 109. No! Fanculo!

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N/A: e con questa finezza di titolo, vi lascio al capitolo e spero vi piaccia.

E buona epifania!




Kuro voló via una volta per colpa di Yao.
E sbatté la testa la seconda volta che venne investito da un'ondata magica (la terza in pochi minuti, avrebbe aggiunto!).

Spalancò gli occhi e gemette di dolore. Poi l'iride fuggì insieme alla pupilla e le palpebre coprirono quelle due biglie biancastre.

Yao gioí solo un istante per i danni procurati, perché anche lui venne investito da quella magia che gli fece fischiare le orecchie e si ritrovò a carponi.

•~-~•

Era come muoversi in un'acqua paludosa, quasi grumosa, e gelida.
Franco rabbrividì mentre strinse con più forza il pugnale e si sforzó di aumentare il passo.

Aveva un obiettivo, non poteva fallire!

Una presa algida alla caviglia e il mondo scuro finì sottosopra. Il coltello gli sfuggì di mano, ma lo riacciuffò per la lama con l'altro.

Sibilò e si dimenò mentre riafferró con la mano buona l'arma, mentre il suo sangue colava verso il terreno, venendo inghiottito, come se fosse un'avida spugna.

Una risatina lo distolse dal suo stato pietoso.

Un altro sé lo fissava sornione, leccandosi le labbra.
<Hai un buon sapore. Forse fin troppo dolce, però. È tutta quella magia "buona" il problema.> spiegò con tutta calma la figura, avvicinandosi, tenendolo a penzoloni grazie un arto simil-ramo spuntato dal nulla.

Più si avvicinava, più era terrificante.
Gli occhi erano due pozze nere e i denti ben in mostra erano troppo grossi e troppo appuntiti per essere i suoi...
E il suo corpo! Sembrava fumo che sfarfallava, mal celando la vera natura aberrante di quel mostro.

<Questo lo prenderò io.> asserì quell'essere.

Uno schiaffo, una fiamma contro il braccio e un urlo.
Franco si strinse il braccio ferito contro il petto mentre il pugnale finì nella presa di un tentacolo spuntato dal terreno.

<Non ti ho reciso neanche un nervo? Neanche uno piccolo piccolo?>
E la figura gli arrivò faccia a faccia. Il broncio sparì per lasciare spazio ad un altro ghigno, con ben più di trentadue denti.

Il molisano lasciò che il suo respiro, tremolante per il dolore e lo spavento, parlasse per lui. Ora aveva entrambe le mani fuori uso, una perché sanguinante per un taglio che si era fatto da solo; l'altra perché, dal palmo al gomito, era stata colpita come da una frusta. Quindi vibrava nel dolore, ma allo stesso tempo l'arto era bloccato da esso, e sanguinava.
Merda!

La creatura si leccó i denti mentre altri arti si avvolsero attorno al molisano, chi attorno l'altra caviglia, chi attorno i polsi, chi attorno la gola.

L'ultimo aveva ancora una presa delicata, ma ciò non rassicurava il molisano, il cui cuore rischiava di scoppiare, mentre tremava come una foglia.

<Mi sei sfuggito la prima volta.> la figura sibilò.
Un tentacolo, dalla caviglia, prese ad avvolgersi e risalire la gamba, infilandosi sotto i pantaloncini, fermandosi e strizzando una coscia, quasi all'inguine.

Franco ebbe quasi un conato a quel contatto viscido e freddo in una parte così intima, privata.

<Ed è un vero peccato, perché più assaggio il tuo sangue, più è una delizia, ben più di quanto mi nausei. Chissà come è la tua energia vitale!>
E l'arto attorno il collo si appoggiò contro la pelle, contro il vago pomo d'Adamo, ma non premuto con forza.
Non ancora.

Con una mano fumosa, tangibile come un soffio ma dura come ferro, gli diede un buffetto doloroso.
Il tentacolo attorno il collo iniziò a stringere piano piano la presa e l'unico suono che Franco sentì fu il suo cuore impazzito.

La creatura rise ma alle orecchie del molisano non giunse niente, terrorizzato.
Stava davvero per morire?!

No! Fanculo!
Basta essere una merda di pupazzo!

Si dimenò e tentacoli verdi gli spuntarono dalla schiena. Iracondi, strinsero e spezzarono tutti gli arti che lo attanagliavano come se fossero ramoscelli.

Lo adagiarono a terra e lo rialzarono. Strapparono ad un altro arto il pugnale. Quel alter ego fuligginoso gemette di dolore e provò ad attaccarlo.

Qualsiasi tentativo fu futile perché i suoi tentacoli respinsero qualsiasi attacco.

Il dolore non era più importante, s'accorse Franco mentre stringeva il pugnale e confluiva quanta più rabbia possibile nel suo braccio.

Si fiondó sulla creatura con uno strillo di rabbia e lo accoltellò. Estrasse la lama solo per re-infilarla in un altro punto e gli squarciò l'intero petto.
Fu agghiacciante, per un istante, vedersi così ridotto e morente.
Poi la figura divenne interamente fumo, informe, e scomparve.

Il mondo iniziò a tremare.
S'alzò e agitò il pugnale attorno a sé, gridando: <Muori, brutto pezzo di merda!>
E i suoi tentacoli e lui e la sua lama esplosero in una luce smeraldina.

L'enorme creatura scoppiò e la sala in cui si stava combattendo fu inondata di quella stessa luce verde e stese al tappeto tutti i presenti, chi più e chi meno gravemente.

•~-~•

Rita gemette mentre aprì gli occhi. Il corpo era così pesante, ma doveva alzarsi. Non ricordava perché, ma doveva farlo.

Si mise seduta con uno sforzo erculeo e perlustrò l'ampia sala.
Come un fulmine a ciel sereno, tornò la memoria.

Cazzo, li avevano fregati per bene! E loro che avevano pensato di aver risolto il problema alla radice!

Si guardò ancora intorno.
Ma allora dove era il suddetto problema?

Lentamente, provò a mettersi in piedi, le gambe stanche e tremolanti, neanche avesse appena corso tre maratone.
Respirò affannata mentre realizzò che l'aria puzzava di bruciato e di magia.

Ingoiò a vuoto.
Doveva essere appena stata conclusa una cruenta battaglia magica. Ma tra chi? E chi aveva vinto?

Avanzò di qualche passo e solo allora notò qualcosa che spiccava come un pugno nell'occhio.
Come non l'aveva notato subito?

Con gambe ancora malferme si avvicinò a Franco, riverso a terra, svenuto, in mezzo ad una pozza di un materiale oleoso.
Ma quest'ultimo stava evaporando al mero contatto con il molisano, riempiendo l'aria ancora più di ozono.

Rimase solo la piccola regione quando Rita s'inginocchiò accanto al fratellino.
Notò con spavento che striature verdi gli attraversavano il volto, simili a tanti serpentelli o fulmini.
La sarda sollevò incerta una mano e provò a sfiorare la pelle.

Quelle striature pulsavano di magia. Inoltre, un po' sollevata ma insieme incerta fosse una buona cosa, quei segni smeraldi piano piano stavano scomparendo, ridando un colore più olivastro alla pelle del molisano.

<Rita...? Cosa è successo?>


N/A: e niente, spero vi sia piaciuto!
E come sono andate le vacanze?

Gabbia di séWhere stories live. Discover now