Capitolo 112. Tre indizi che fanno una spaventosa prova

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A vedere Lovino, non si sarebbe mai detto che il suo mondo interiore fosse effettivamente quello con cui Giovanna aveva sempre avuto a che fare.

Era un mondo pieno di calore, accogliente, come un abbraccio o una morbida coperta in cui imbacuccarsi durante una fresca giornata di autunno.
Un mondo che Giovanna aveva sempre amato vedere, perché le ricordava che alla fine Lovino era sempre il bimbo timido ma pieno di amore che ha cresciuto. Ma dall'altro era sempre stato un amaro memento di come la vita avesse reso la nazione così sferzante come meccanismo di difesa, finché la maschera non era diventata anche la persona, in parte.

Ma questa volta non fu così.
Ovviamente non poteva.
Giovanna cadde come un sacco di patate a terra in quel mondo, come sempre poco abituata a tale connessione e, quella volta, anche perché era stata sospinta da una forza magica maggiore.

Ancora a terra, percepì subito la gola rinsecchirsi. Annaspò mentre si rialzò a fatica, il corpo appesantito.

Quel mondo la pura definizione di arido. Secco, brullo e spoglio. Triste. Ma non quella tristezza che portava alle lacrime, bensì quel dolore sordo al petto che svuotava, mentre il corpo rimaneva scollegato, preso da mille altre faccende.

Se le avessero sparato nel petto, la sicula era certa che avrebbe fatto meno male. Inoltre, pareva di star abbrustolendo nel mezzo di un forno acceso.

Giovanna coprì la gola con le mani, ingerendo boccate d'aria che le raschiavano la gola e i polmoni.
Perché?

Strizzó gli occhi, ma non cadde neanche una lacrima. Probabilmente era evaporata prima che scendesse sul volto.
Si costrinse a mettere un piede davanti all'altro, occhi ancora quasi del tutto chiusi. Doveva trovare Lovino.

Inciampò e cadde al suolo, di nuovo.
Rantolò disperata.
Perché era tutto così difficile?
Ebbe a malapena la forza per rannicchiarsi in posizione fetale.

Aveva solo voglia di urlare, cacciare via quel caldo opprimente a suon di urla, ma non ebbe neanche la voce per bisbigliare un insulto.

•~-~•

Il vuoto stava per sopraffarlo. Stava per investirlo come una marea.
Si girò lentamente su se stesso e osservò quel vuoto senziente avvicinarsi, strisciando eppure dirompente come una valanga.

Ma non lo investì mai.
Uno scudo vermiglio lo avvolse mentre il vuoto lo sovrastò senza riuscire ad inglobarlo, scansandosi in fretta.

Giorgio fissò confuso la barriera. S'avvicinò, stupito tra sé e sé di come lì dentro sentisse un rumore statico e il battito del suo cuore.

Sfioró la barriera e fu come essere buttato in un caleidoscopio di colori e suoni per il secondo in cui la sua pelle entrò a contatto con quella magia.
Ma la cosa che spiccò in mezzo alle altre fu: <Dai!>

Ma non era una esclamazione qualsiasi, detta da una voce qualsiasi.
Era un urlo di Aleksander, con il suo solito tono stupidamente entusiasta.
Gli si scaldò il cuore e sorrise come lo stolto innamorato quale era. Già, era proprio uno stupido.

Uno spillo che gli attraversò il cuore.
S'inginocchiò, ansimante.
Ecco, ecco!

Toccò il pavimento, senza protezione.
La barriera, quasi avesse capito le intenzioni di Giorgio, provò a raggiungerlo e coprirlo sotto i piedi.

Ma il veneto fu più lesto mentre strinse i pugni contro il terreno freddo.
Un buco si aprì sotto i suoi piedi e scivolò verso un bianco ancora più accecante.
Con un ghigno sul volto.

La discesa durò relativamente poco, perché prima di rendersene conto, sbatté il sedere contro il terreno e lanciò qualche insulto, che questa volta sentì!

S'alzò in piedi pieno di stupore, un sorriso da occhio a occhio. Però il suo entusiasmo venne sbriciolato quando girò la testa.

Eccolo, Feliciano, seduto a gambe incrociate, sul terreno, che muoveva il braccio in ampi ma lenti gesti su un foglio. O era il terreno? Era ancora in quel vuoto opprimente, anche se sembrava più quieto. E ciò lo spaventava di più, perché non era statico, pareva di più una pentola a pressione lì lì dallo scoppiare.

Giorgio s'avvicinò in fretta, ma non si buttò tra le braccia della nazione, perché i peli rizzati sulla nuca non presagivano buon segno.
E, avvicinandosi, notò la prima avvertenza che qualcosa non andasse.
Dalle caviglie pigri ma solidi fasci lo bloccano al pavimento, che distingueva perché queste restrizioni erano di un colore più perlato.

La seconda fu che, anche se Feliciano muoveva una matita sul terreno/foglio, essa svaniva pochi istanti dopo essere stata tracciata.

<Feli...?> sussurrò Giorgio, ormai davanti alla nazione. Rimpianse di essere senza carte o, per lo meno, non riusciva ad evocarle.

L'altro alzò il volto e il veneto ebbe chiaro il terzo indizio che rese tutti quei segni una prova inconfutabile: gli occhi, solitamente d'ambra quasi  dotata di luce propria, erano spenti, ricoperti da una patina di polvere e sudiciume.
Non erano neanche castani, solo torbidi, del colore di una fanghiglia mescolata ad un'acqua stagnante, quasi paludosa.

Feliciano lo fissò per lunghi secondi, sbatté le palpebre e chinò di nuovo il capo, riprendendo il suo operato.

<Feli?> ripeté Giorgio, ma questa volta venne ignorato.
La nazione tracciava segni di grafite per terra che svanivano in un respiro. Ancora e ancora e ancora.

Giorgio batté un piede per terra e si esasperò: <Ah, vuoi fare tutto il silenzioso?! Ma per favore!>
In due passi arrivò faccia a faccia con il fratello/padre, si inginocchió, strinse le mani sulle spalle altrui e lo scosse.

Feliciano lo lasciò fare, mentre la mano che disegnava si mosse in modo erratico sul foglio di conseguenza. E come sempre, la traccia svanì.

<Rispondimi!> strillò Giorgio, scuotendolo sempre più forte. Per qualche istante, ebbe quasi paura di staccargli la testa dal collo per quanto questa si muovesse senza opporre resistenza.
O che avrebbe vomitato.

Di colpo, la nazione s'oppose al movimento con una rigidità tale che Giorgio s'arrestó e venne spinto indietro dal rinculo della sua stessa forza.

Feliciano alzò di nuovo il volto e, con quegli occhi ancora così spenti e inespressivi, lo fissò nelle pupille, quasi fosse alla ricerca della sua anima per risucchiarla.
E Giorgio non avrebbe potuto evitarlo; era pietrificato, stregato.


N/A: allegria portami via, come sempre, ma spero vi sia piaciuto!
Alla prossima settimana!

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