Capitolo 90. Rimediare, in parte

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N/A: ehilà, lo so che la storia è ben più lunga dell'originale e che è estate quindi si è più lenti a leggere, ecc ecc... Ma ancora vi sta piacendo questa storia?

O mi conviene tagliare più corto, anche se ormai siamo alla fine e non so quanto cambierà?
Fatemi sapere <3.

Buona lettura!




<Giuro che ti ammazzo se non ci pensa prima lui!> minacciò Arthur, creando tra Francis e Roberto uno scudo magico.

Purtroppo, la rabbia del piemontese era un ottimo carburante per la sua magia, a cui si mescolava una foga e veemenza dei colpi che fecero vacillare in fretta la protezione.

<Cosa è successo?!> interrogò Sofia.
Angela, distruggendo qualche altro soldato, replicò freddamente: <Quel coglione si è avvicinato troppo a Roberto, ha fatto una battutina ad effetto, Roberto l'ha visto e ha deciso che deve ammazzarlo. Tutto il progresso fatto da Rita per calmarlo è stato buttato via.>

<Quindi che fate?> domandò Ivan, mentre dalla sfera, oltre la visuale che Angela forniva, si sentivano urla e imprecazioni.

<Dipende da cosa farà Rita. Credo sia quella che sappia meglio come gestire la cosa.> notò Maurizio, togliendo dalla sua arma un soldato che era rimasto trafitto come un pezzo di carne su uno spiedino.

<Quella che saprebbe meglio che fare, soprattutto con la baguette, è Marie, ma dato che non l'abbiamo ancora trovata, Rita è la migliore opzione disponibile.> notò Rosa.

<Che sia lì, da qualche parte, nascosta?> tentò Anna.
<Franco ha già provato a richiamarla nel mezzo della calca, ma niente.> rispose Angela.

<E noi qua non possiamo fare niente.> sbuffò la ligure. Sbatté il piede per terra e ordinò: <Non possiamo stare con le mani in mano! Scendiamo da questa montagna. Forse troviamo quella molesta di Marie, anche se dubito.> e si diresse verso il sentiero corretto.

Rita intanto strinse i denti, la fronte imperlata di sudore, mentre Roberto schivó per l'ennesima volta un suo attacco.
Non riusciva neanche ad immobilizzarlo, e che cazzo!

Guardò Arthur e ordinò: <Teletrasportalo in fondo alla stanza.> e indicò con la testa Francis <Così forse riesco a farlo di nuovo ragionare.>

Il britannico ubbidì. Ruppe la copertura magica e subito teletrasportó Francis vicino ad Antonio, lontano da lì.
Roberto fece scattare la sua attenzione sulla nazione anglofona, ma in mezzo si mise Rita, parando il fioretto altrui con la propria spada.

<Guarda me. Solo me!> ordinò Rita, rimanendo sulla difensiva, mentre la veemenza del fratello non accennava a diminuire.
Però rispose all'ordine, o comunque si disinteressò al resto, perché fissò Rita e solo Rita con due occhi spiritati.

<Bravo, Roberto. Continua a guardarmi. Continua a guardare chi ha sofferto con te sotto quei maledetti dei Savoia.> e la sarda rise amaramente, schivando di lato. Provò a bloccarlo con la magia, senza successo, quindi tornò ad usare la spada e proseguì: <Ci hanno fatto sposare per avere la mia corona, ricordi? E ricordi che volevano che facessimo come loro umani? Che consumassimo la prima notte di nozze sotto gli occhi della corte?>

Roberto rimase muto, crudele e forte come prima, ma il suo volto per un attimo si contrasse nel disgusto. Ricordava. Volente o nolente la stava ascoltando e stava reagendo, nonostante la rabbia, il dolore e la possessione magica.

<Non volevamo, vero? Che imbarazzo sarebbe stato, poi! E nessuno di noi sapeva se sarebbe stato più imbarazzante scopare tra di noi o essere visti mentre scopavamo.> raccontò, il tono crudo, ma voleva arrivare dritta nel cuore altrui.

<Io non volevo. Tolleravo a malapena vedere i miei reali. Non volevo essere quello osservato.> commentò Roberto.
<Volevamo portare avanti le tradizioni!> sibilò l'ombra-Savoia.
Ma il piemontese non rispose, ne fece un cenno di averli ascoltati. Aveva occhi solo per la sorella.

<Per fortuna che ce la siamo scampata, mh? Appena hanno capito che non ero vergine, in fretta e furia hanno cancellato tale rito, ma non il matrimonio.> e ridacchiò, anche se amaramente <È stato bello, quella volta, avere un minimo di controllo.>

Roberto annuì, i suoi colpi meno audaci, meno forti, più concentrato sullo schivare che attaccare.
<Abbiamo scelto noi gli anelli.> aggiunse lui.

L'isolana annuì, abbozzando un sorriso: <Il mio è a Cagliari, infilato ancora nella catenella di ferro che ci siamo comprati da quel signore sul mercato, quella mattina. Sarebbe il simbolo di un amore, ma per me è il simbolo della nostra amicizia.>

Il settentrionale non replicò, ma fece una smorfia di disgusto quando le ombre-Savoia strillarono: <Che sacrilegio! Come hai potuto, contadina?!>
Ma non era odio verso la sorella, bensì per quelle parole.

Rita dovette contenere la gioia: ci stava riuscendo, sì, cazzo! Solo un altro po' e finalmente avrebbe liberato il fratello!

Il piemontese notò: <Anche per me.>
Tentennò con la propria spada, fissandola, perso nei suoi pensieri. Indeciso su chi dovesse ferire.

Chi i suoi capi gli dicevano che fosse la nemica o i suoi capi, i suoi veri nemici? No, non erano suoi nemici, erano suoi capi, gli volevano bene!
Anche se l'avevano fatto soffrire, era per un bene superiore, era il pegno per poter essere potente. Chi aveva davanti lo stava solo ingannando, i suoi capi non potevano essere i cattivi, vero?

La sarda sfruttò questo momento di debolezza, fece sparire la propria spada e asserì: <Ho odiato avere a che fare con i Savoia, ma non avrei mai conosciuto te, la cosa migliore di quel periodo. Una persona fantastica che non voglio più lasciare indietro. Perché io voglio bene a Roberto, alla persona che ho di fronte, non a Piemonte o Savoia o quel che sia.>

Roberto alzò lo sguardo dalla spada e la osservò con gli occhi spalancati.
Le ombre-Savoia strillarono di non ascoltarla, affermavano che lui era Piemonte prima di qualsiasi altra cosa, ma nelle sue orecchie non erano altro che un fastidioso ronzio.

Scoppiò a piangere, rannicchiandosi su se stesso, non inginocchiandosi.
Strinse a sé il suo fioretto con ambe le mani, macchiando di caldo sangue la lama dove la mano destra toccava il metallo, mentre il volto veniva scaldato dalle sue stesse lacrime.

Le ombre-Savoia presero a strillare con più impero, ordinandogli di smetterla di essere debole e far onore alla sua casata.
Gli piombarono dietro in un istante, provando a rimetterlo con la schiena eretta, sgridandolo per la sua debolezza, tenendo a distanza la "maledetta contadina".

Roberto alzò la testa di scatto, girandosi verso quei frammenti di tanti re, regine e principi che ha servito prima di ascoltare il suo popolo, nel nome del bene superiore, per secoli e secoli.

Le ombre-Savoia prima gli sorrisero con quella loro espressione falsa e gli occhi vuoti, inesistenti, niente di più di due capocchie di spilli biancastri.
Poi lo sollecitarono ad uccidere quella nemica che stupidamente non si stava difendendo e poi tutti gli amichetti che si era portata appresso, nemici anch'essi.

Muovevano le braccia come stoffa al vento, le dita che accarezzavano l'aria.
Come se stessero suonando un pianoforte etereo.
Come se stessero manovrando un burattino.

Roberto si rimise dritto, la spada insanguinata davanti a sé, lo sguardo determinato.
<Finisci il lavoro!> sibilò entusiasta una delle ombre.

<Con piacere.> replicò, tranciando l'ombra, che svanì in un stridio acuto.
Prima che le altre due ombre potessero reagire, dichiarò: <Ho impedito che foste decapitati, ma rimedierò ora, in parte.> e trafisse le altre due ombre.

I soldati presenti nella sala svanirono e un silenzio oppressivo, teso, calò sulla sala.
Roberto sentì le gambe cedere, il fioretto gli scivoló dalla mano e cadde a terra, mentre Rita lo chiamò preoccupata e il buio provò a reclamarlo.





N/A: e niente, Roberto si è presa una mini vendetta perché ai miei personaggi faccio fare tutto fuorché andare da uno psicoterapeuta e risolvere i loro traumi.

E comunque alla fine nessuno di voi aveva indovinato il motivo dell'urletto, ehehe, ho vinto io~.
(Che ho vinto giocando in casa e con uno scarto enorme, ma shhhh)

Alla prossima settimana!

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