Capitolo 115. L'arte

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Giorgio lo fissò come fosse uno stupido.
Beh, pensò Feliciano tornando a fissare il foglio-pavimento, era uno stupido.
Lo stava guardando come era giusto che fosse.

<Ma che straminchia stai dicendo?!> esclamò il veneto, facendo per un attimo sobbalzare la nazione.
Una mano schiaffò contro il pavimento e Feliciano vagamente si chiese se avesse fatto male, mentre osservava la suddetta mano.
Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Non aveva niente di utile da mostrare.

Ma Giorgio non la pensava nello stesso modo perché gli afferrò le guance e lo costrinse ad alzare il viso.
Feliciano prima percepì il vago tremore di quei polpastrelli, in totale contrasto con quello sguardo di fuoco con cui l'altro lo scrutinò. La regione proseguì ardita: <Tu inutile?! Le tue capacità inutili?! Da quando in qua?! Non si chiamerebbero capacità! E non sono inutili, né tu sei inutile, nossignore!>

Quello stesso volto, forse un po' più tondo e infantile, si sovrappose a quello di fronte a lui per un rapido secondo, forzato.
Feliciano scosse la testa e ritirò il volto da quel tocco in tutta fretta, aggrottando le sopracciglia.
Le sue memorie raccontavano altro.
<Lo pensi davvero? Nonostante tutte le volte che mi hai detto di smettere di dipingere o giocare per scrivere o fare di conto perché quelle sì che erano cose importanti?>

Giorgio abbassò le mani e il volto.
Feliciano tornò a disegnare, invano, sul foglio-pavimento. Lo sapeva.
Le belle parole non potevano nascondere la verità. E il passato non poteva essere dimenticato.

Trattenne le lacrime.
Oltre un millennio a sentirsi dire la solita solfa e lui che faceva? Perseverava sulla via storta, stolto come sempre.

Strinse con più forza la matita, tanto che ebbe paura di spezzare la mina mentre calcava su quel dannato foglio che continuava a cancellare ogni suo tratto, beffardo.

Stolto, stolto, stolto, stolto, stolto!

Quanto aveva voglia di lanciare quella maledetta matita ed essere perseguitato anche dietro le palpebre dall'incubo di ogni artista: la sindrome del foglio bianco.
Ma non era una sua scelta; quindi cosa poteva fare? Come?

Si pulì con la mano libera le lacrime e provò ancora a tracciare la struttura di un volto ben chiaro. Il foglio, impassibile, cancellò lesto i segni leggeri, come se volesse anche cancellarli dalla mente di Feliciano, non solo dal foglio.

Eppure lui aveva impresso quel viso nella sua memoria, niente l'avrebbe fatto scivolare nell'oblio.

Impossibile scordarsi di quella mascella quadrata, perennemente sbarbata, che s'ammorbidiva quando due labbra sottili e chiare s'arricciavano all'insù con sincerità. Peculiare il naso dritto, che sapeva fosse così contro ogni logica umana, perché era stato spaccato più volte, ma sempre era tornato dritto.
Vividi nella sua retina due iridi azzurre, due brandelli di cielo per sempre incastonati in due finestrelle squadrate, allungate; ben diversi dai suoi ampi e rotondi occhi.

E come poteva cancellare quei fini capelli biondo che lo incorniciavano, anche se rigorosamente bloccati nel gel. Feliciano li preferiva in quei rari momenti di libertà, amava passarci la mano in mezzo.

Quanto amava quel volto.
Eppure la sua mente gli piazzò davanti quel volto contratto nella rabbia e nella frustrazione, stesso volto mille volte, ma infiniti contesti diversi.
Ma ciò che lo uccise fu l'ultima memoria che forzatamente riaffiorò. Uno sguardo di incontenibile, profonda e pura delusione.

Feliciano deludeva e deludeva.
Aveva deluso lui, come aveva deluso Giorgio, perché non era capace di fare niente.
Stringendo ancora la matita tra le mani, come una maledizione, scoppiò in un pianto isterico.

Giorgio rimase interdetto per lunghi secondi, mentre il cuore si stringeva nel petto. S'avvicinò gattonando, osservando il foglio-pavimento su cui anche le lacrime svanivano.
Ma perché s'era messo a piangere? S'era ferito con le sue stesse parole?

Aveva provato a connettersi con Feliciano, anche lì, perché non aveva altre idee, ed era solo riuscito ad intravedere il volto di quel crucco che in fretta veniva soppiantato da un ammasso di ricordi ed emozioni opprimenti che l'avevano costretti a interrompere il legame.

Quindi come risolvere la situazione? Tutti i bei discorsi sarebbero stati smontati semplicemente dai ricordi che entrambi avevano, momenti in cui Giorgio aveva solo in mente il sopravvivere e vincere. E in un mondo del genere non c'era spazio all'arte. Ma non era mai stato il mondo di Feliciano. Quello della nazione era sempre stato arte, ottimismo e bontà.

E per quanto ancora non si capacita della filosofia che la nazione porta avanti, sapeva che non lo poteva cambiare nonostante le innocenti provocazioni e commenti (che sicuramente il Feliciano davanti a sé gli avrebbe imputato contro).
Ed eccolo ancora al punto di partenza! Come fare per vincere quello sporco trucco che teneva ingabbiato Feliciano?
E soprattutto senza distruggere il vero Feli?

Fissò anche lui il foglio bianco.
Sembrava ogni volta che disegnava lui. Cancellava o neanche ci provava, faceva pena a disegnare.

Una risata, un foglio bianco svolazzante e un memento del modo di vivere di Feliciano.

Alzò la testa di scatto, esclamò: <Feli, Feli!> e scosse la nazione.
Questa non poté ignorare lo sbatacchiamento e con occhi stanchi e rossi lo tornò ad osservare, guardingo.

<Cosa mi hai sempre detto sull'arte?>
<L'arte è una perdita di tem->
<No! Quello è quello che dico io perché sono un cretino. Cos'è che mi ha sempre detto il mio Feli sull'arte?>

La nazione rimase muta, lo sguardo distante.
Perché voleva smontarlo ancora e ancora? Non era bastato farlo per una vita?
No. Perché mai sarebbe bastato? Era una nullità e meritava di venir continuamente vessato per le sue stronzate.

Giorgio si morse il labbro superiore per la frustrazione e attaccò di nuovo la conversazione: <Il Feli che ricordo diceva e dice sempre che l'arte è ovunque, che l'arte sta negli occhi di chi guarda e che può essere così intima o così pubblica che nessuno a parte chi la crea può capirla nel suo intrinseco. Alcune volte neanche chi la crea la comprende fino in fondo! E- e...-!>

Giorgio si ritrovò senza parole. Cos'altro diceva Feliciano? Perché era tutto ingarbugliato? Aveva detto le cose giuste?!
Porco Dio, se avesse fatto bene fino ad ora solo per rovinarsi con le sue stesse mani?!

Ma Feliciano si sedette più ritto e continuò: <E questo perché l'artista è chiunque crei, chiunque veda il mondo e ne plasma un angolino e la chiama arte. L'arte come concetto, l'arte nella sua essenza, è l'espressione dell'uomo che trascende la logica e l'ordine e insieme ripudia il caos. L'arte è vivere e immortalarlo.>

<E quindi che arte puoi creare su questo foglio?> domandò Giorgio, quasi stupito che il suo piano stesse andando in porto.

Feliciano spalancó gli occhi e divennero umidi: <Gigi, non lo so, non lo so! Perché lo chiedi?!>





N/A: e niente, come al solito drammi...
Spero vi sia piaciuto!
Ciao ciao!

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