Capitolo 114. «Con me»

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Lovino a malapena sbuffò in risposta alle sincere parole della madre/sorella, rimanendo un bozzolo di arti, busto e testa.
Chi la dava a bere?

Giovanna corrugò la fronte, immaginando che non sarebbe stato così semplice, e domandò: <Perché non mi credi?>

Lovino non rispose.
Qual era il problema di quella sadica? Adorava rigirare il coltello nella piaga?!

<Lovino...? Lovi?> sussurrò la sicula.
L'italiano aggrottò le sopracciglia e digrignò i denti.
Come osava fingere quel tono preoccupato, come se davvero le importasse come lui stesse?

Alzò il volto, tenendolo appoggiato sulle ginocchia, e la fissò severo.
<Perché perché perché?> la scimmiottó, la rabbia che intanto montava e provava a riempire quel vuoto nel petto incolmabile. Provò a scostarsi, ma era ancorato a quel terreno che era solo un vuoto, come il vuoto che aveva dentro, come il vuoto che era.

Continuò a fissarla storto, da quella posizione penosa in cui era, e nonostante ciò la regione si spaventò e distolse lo sguardo.
Ecco, era ovvio. Non teneva a lui, ma chi poteva tenere a lui?
Era solo un bambinetto viziato, furibondo e mal disposto con il mondo. Chi poteva preferirlo al suo adorabile, gentile ed ottimista fratello?

Tirò su con il naso e s'accorse troppo tardi che stava piangendo. Di nuovo. Nascose il volto e si sfregò gli occhi con impazienza e imbarazzo.
Perché riusciva solo a piangere? Nella vita non era mai stato qualcuno. Mai. Viveva nell'ombra del nonno e del fratello e l'unica cosa che riusciva a fare era piangere.
Che patetico che era!

Si meritava quel destino, quella solitudine. Era un vuoto. Qualsiasi cosa buona, attorno a lui, perdeva il suo smalto e la sua gioia. Anche il suo perfetto fratello s'agitava e s'incupiva quando si ritrovano vicini.

Due mani lo scossero per le spalle e la sicula continuava a ripetere: <Lovino, Lovino! Parlami, parlami!>

<No!> strillò, il volto ancora tra le ginocchia. Le mani si tolsero celeri.
<No!> ripeté <Smettila di fare finta! Vattene! Odio la pietà! Tutti hanno pietà di me perché amarmi è impossibile ma non potete dire apertamente che mi volete morto!>

Silenzio.
Un silenzio così netto che per qualche istante Lovino pensò che la siciliana fosse svanita in fumo, finalmente smettendo di torturarlo.

E poi la sua dolorosa speranza venne spezzata da un singhiozzo mescolato ad un verso strozzato.
Alzò la testa di scatto (quanto avrebbe voluto ignorare; ma come poteva, quando aveva perso il conto delle notti in cui s'era addormentato cullato da se stesso con quei medesimi suoni?) e rimase spiazzato.

Lacrimoni scendevano lungo le guance della sicula che, imbarazzata, provava a cancellarle, ma senza successo. Il suo pianto era più potente.

Tra i singhiozzi lamentò: <Non siamo mai riusciti a farti vedere quanto ti amiamo? Non sono mai riuscita a farti vedere quanto io ti amo? 'Vi! Perché non me l'hai mai detto?!>

Lovino arricciò il naso e le riservò uno sguardo meno comprensivo e più arrabbiato. Ecco, anche quando qualcosa riguardava lui, diventavano sempre altri i protagonisti. Strano che non fosse il fratello.

Giovanna proseguì: <So di non essere stata la madre perfetta, né potevo mai esserlo, ma neanche farti capire quanto ti amavo? Neanche un briciolo? Tu non hai idea di quanto ti ami.>
<Eppure stiamo solo parlando di te.> ribatté lui.

Giovanna, tra le lacrime e il dolore, riuscì comunque a riservargli uno sguardo ammonitore.

(E qualcosa in quella silenziosa strigliata gli solleticò la nuca, ma non sulla pelle. Era come se fosse stato punto in una zona del suo cervello che ora era pruriginosa e non poteva ignorarla. Qualcosa premeva. Ma cosa?)

Poi la donna ingoiò a vuoto, prese un profondo respiro e nel mentre provò ad asciugarsi le ultime lacrime. Con gli occhi rossi spiegó: <Perché per amare c'è bisogno di due persone e dato che tu pensi che nessuno ti ami, devo parlare di me! E quindi continuo. Tu non sai cosa c'è fuori da questa torre. Siamo nel mezzo di un deserto, ma non uno qualsiasi... pensavo di morire per il calore. Sono stata aiutata, sí, ma in fretta il caldo mi stava di nuovo per soffocare. Eppure sono andata avanti. Ho corso finché non ti ho trovato. Perché non avrei mai potuto morire sapendo di averti abbandonato e lasciato solo e in pericolo.>

<Oppure questa è tutta una bugia e hai corso in cerca di un luogo fresco ed è stato il tuo spirito di sopravvivenza a spingerti.> la smontò Lovino <So che menti. Tutti mentite. Non vi interessa niente di me. È solo utilitarismo. Anzi, sei venuta qua perché se muoio anche tu ci rimetti. Non per amore. Come puoi amare quando dipendi da qualcuno?>

<Sono un tuo territorio, sì, ma non dipendo totalmente da te. Anzi, è più il contrario. Se io sto male, tu stai male. Dovresti essere tu, al massimo, l'utilitarista tra i due. Inoltre, ti ricordo che ho avuto altri capi oltre a te. Molti sono morti. E io sono ancora qua.>

<Mi ucciderai tu dopo avermi usato finché possibile, quindi?>
<No!> si esasperò Giovanna, stropicciandosi la faccia. Aveva sbagliato parole, porca troia!

Tornò a fissarlo e prese un'altra via: <Ok, allora. Non pensare a me. Non sono uno Stato come te. Parliamo allora di altri Stati. So chi ti è amico, perché me ne parli sempre. Ti fidi di me perché mi ami e sai che io ti amo altrettanto, se non di più. Pensi davvero, per esempio, che Canada ti sia amico per un tornaconto? Se sì, quale?>

<Conoscere Feliciano. Avvicinarsi. Essere suo amico, se non di più. Come tutti.>
<Canada non è amico di Feliciano, ora come ora? Non lo conosce?>
<No, no... Anzi. Ha conosciuto prima lui, credo.>

<Eppure ha voluto conoscere pure te.>
<Per pietà. Ha poca forza di volontà, a volte.>
<A me non è sembrato, ma è fuori argomento. Pensaci, Lovi, tra te e Feliciano, con chi passa più tempo Canada?>

Lovino pensò a lungo a testa china. Avrebbe potuto mentire. Era facile mentire. Facile nascondere tutto dietro quella rabbia ingigantita, quella rabbia esistenziale alimentata a forza col disincanto per quella crudele realtà e che estendeva a tutto e tutti per proteggersi.
Si proteggeva perché era fragile. Difendeva quel piccolo bambino le cui speranze di stima altrui erano state spezzate di fronte all'evidenza che sarebbe sempre stato secondo al fratello.

E quello stesso bambino urlava. Urlava e urlava. Si sgolava per costringerlo ad ammettere l'evidenza.
Era stanco di nascondersi dietro solo rabbia e odio verso il mondo ma in primis se stesso.

Alzò il volto ma non ebbe la forza di guardarla negli occhi. Con tono stupito, come se anche lui non sapesse raccapezzarsi su tale fatto (e ciò non era totalmente falso), ammise: <Con me.>




N/A: stamattina stavo facendo fatica a scrivere e avevo poche righe già scritte perché sono una pirletta e non scrivo per tempo.

Poi, dopo pranzo, inizio a scrivere, un po' a fatica, ma poi ingrano e solo quando mi fermo un attimo per capire quante parole ho scritto e come e se chiudere lì il capitolo, vedo che ho raggiunto e superato il mio limite minimo per ogni capitolo.

Giusto per dire che per quanto mi piaccia essere organizzata e darvi sempre un capitolo a settimana, un po' tanto si basa sulla vena creativa che viene a bucio de ciapet e solitamente a ridosso della "scadenza".

Spero vi sia piaciuto il capitolo e noi ci vediamo la settimana prossima!

Gabbia di séWhere stories live. Discover now