Capitolo 34. Fratelli sentiti e fratelli per semplicità

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N/A: capitolo pubblicato un po' prima perché sia mai vada in abbiocco e dorma come un ghiro (dato che abbiamo festeggiato il compleanno di mia nonna), dimenticandomi di pubblicare.

Se potete lasciate una stellina e un commentino (anche più di uno non mi offende, anzi!) e io vi auguro buona lettura!

La lupa li condusse ad una porta, coperta solo da tende, che conduceva verso l'esterno del palazzo.
Era piccolina e la maggioranza di loro si dovette chinare per passare.

In quel tratto l'animale li aspettò un secondo, per poi ripartire alla carica. Uscì dalla magione saltando il basso muretto e corse per una grande strada lastriscata.

Le regioni e le nazioni continuarono a seguirla, anche se avrebbero preferito farlo senza correre.

Sotto le occhiate confuse dei cittadini di quel posto fittizio, sfrecciarono fin dove si trovava la cinta muraria della città.
Lì la lupa si fermò, si sedette e fissò il suo padroncino.

<Da qui in poi ce la dobbiamo cavare noi, eh?> chiese retorico Mario, ansimante, chinandosi a coccolarla.
La lupa lo lasciò fare, ma mosse il muso come in assenso.
<Va bene, hai fatto il tuo dovere.> la complimentò il laziale, facendola svanire.

<Possiamo solo andare avanti. Chissà chi incontreremo!> esclamò Ivan.
<In chissà quali modi proveranno a farci a fette!> lo imitò Henrique, ma con chiaro sarcasmo.

<È la parte più divertente!> ribatté Ivan, semplicemente onesto. Al lusitano questo preoccupò più di quanto avrebbe voluto.

<Gli altri sono ancora in difficoltà.> notò Gilbert, guardando la sfera solo per qualche secondo. Era tutto confuso, ma era chiaro che non fosse una passeggiata.

<Se la caveranno, non sono degli scemi.> assicurò Ludwig <Almeno, non tutti.>
<Che gentilezza.> commentò Antonio.
<È la pura verità.> notò Sofia, riprendendo a cammianare.

Francesca la affiancò, nella speranza di levarsi Mario, ma questi si mise dall'altro lato e le sorrise radioso.
<Ho idee confuse su cosa sia successo là dentro, ma sono sicuro che sia stata tu a salvarmi! Sei la mia eroina~!> raccontò lui.

<Esatto, ho già fatto troppo. E stai attento, che potremmo subire un'imboscata da qualsiasi cosa o persona.> sbuffò Francesca.
<Perché devi essere sempre così dura con il mio cuoricino, Francé? Voglio solo un pochino di amore da te!> si lamentò il laziale.

<Scordatelo. Fatti una sega, se proprio hai bisogno di 'amore'.> ribatté acida la toscana.
La copia scrausa di Romulus, e ora lo sembrava ancora di più con addosso quella armatura piccolina, si imbronciò, ma le rimase vicino.

<Scusate l'insolenza, ma... non siete fratelli?> domandò Kiku, un po' stupito dalla 'relazione' fra i due, ancora di più dell'ultima risposta della rossa (anche se pure quella era degna di nota).

Pensava che ci fosse solo Alfred di strano in quel senso, con tutta la questione Alabama.
In un certo senso, ci sperava.

<È per convenienza. Lovino e Feliciano sono fratelli, quindi noi, seguendo le logiche umane, essendo figli loro, dovremmo essere cugini. Ma letteralmente l'inno nazionale inizia con 'Fratelli d'Italia', quindi ci definiamo così anche per comodità e rafforzare il messaggio veicolato da quel testo.> spiegò Francesca.

<Inoltre, soprattutto quando ci unificammo per la prima volta nel 1861, ci fu chiesto direttamente da Feli e Lovino per cercare di creare più legami fra gli italiani di territori diversi.> aggiunse Sofia.

<In sintesi, siamo fratelli effettivi di chi conosciamo da tanto tempo o con chi abbiamo stretto un rapporto del genere. Per esempio le regioni di Lovino, senza contare me e gli altri che sono di entrambi, si considerano strettamente tra di loro fratelli e perfino Lovino è un loro fratello, anche se lo chiamano 'babbo' per dargli più importanza.> si dilungò Mario.

Gabbia di séWhere stories live. Discover now