Capitolo 76. Variabili incrollabili e indesiderate che non siete altro!

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<Come-?! Cosa?!> balbettò Vincenzo, muovendo ancora una volta le mani senza successo. 
Carmela ghignó, le labbra asimmetriche, storte, rispetto al volto. Il sorriso sembrava il disegno sghembo di un bambino, ma ciò lo rendeva decisamente più inquietante.
Era innaturale.
Eppure, insieme, paradossalmente, era così -giusto- su quel volto, come se il calabrese sapesse che le appartenesse.

Ma non aveva senso!
Non conosceva quella pazza con dei poteri che neanche lui concepiva!

<Niente di complicato; almeno, non complicato come te lo stai immaginando, cretino.> rispose la ragazza, sempre con quell'espressione <Solo una sostanza appiccicosa che ti ho messo sulle dita che così sono belle incollate e non puoi muovere le mani per farci del male.>

<Vipera.> sibilò Vincenzo. Al che Carmela abbozzò un sorriso più piccolo, più dolce, più simmetrico, e sospirò: <Puoi anche essere posseduto, ma rimango la tua vipera dal fiocchetto rosa, mh?>

Prima che il posseduto potesse esprimere la sua ulteriore confusione, lo sguardo della meridionale si fece più distante e lo rimproverò con tono severo: <Non dire niente. Tu diresti che non sei quello che me lo dice. Ma tu sei Vincenzo, è solo che non lo accetti e basta.>

<Io non sono questo Vincezo che tu continui a tirare fuori.> assicurò il calabrese.
<E chi sei allora?> inquisì Carmela, cercando di ignorare le urla appena dietro di lei.
Toccava a lei risolvere la situazione.

<Italia.> rispose sicuro il posseduto.
<Il tuo nome umano.> calcò la lucana.
Il mutismo del fratello spronò la meridionale a proseguire: <Pensavi che Vincenzo fosse il nome delle terre? Quello è Calabria. Vincenzo è il nome umano. Il mio è Carmela. Qual è il tuo? Tutti se ne scelgono uno, per essere più vicino alla propria gente. Qual è, quindi?>

Il fratello non rispose.
<Io... Sono Italia. Capo degli Italici...> ripeté, come un disco rotto. Anzi, come un bimbo sperduto al supermercato che stava dubitando del suo stesso nome e del nome della sua mamma mentre faceva un annuncio in cassa.

<E...?> lo spronò Carmela.
<E nient'altro.> dichiarò lui.
La lucana lo osservó con pietà: <E questo perché tu sei Vincenzo. Lui non ricorda quale era il suo nome umano, nella sua vita precedente. Non lo puoi ricordare.>

<Io sono Italia! Io sono il capo degli->
<Vince', lo so che vorresti sapere chi eri. Ma non possiamo sapere sempre tutto, anche se in teoria abbiamo una memoria infallibile di ogni nostro istante.> lo interruppe.
Lasciò che passasse qualche secondo di silenzio, un po' stupita che l'altro non avesse ribattuto. Poi notò che la stava fissando rapito.
Forse...-!

Proseguì: <Purtroppo e per fortuna ciò vale solo per la vita che stiamo vivendo.
E il capo degli Italici non sei tu, Vincenzo. Era un altro te, morto tanto tempo fa. Conservane il ricordo, va bene. Ci tieni. Rivivilo, se necessario, se hai paura che anche quelle poche memorie sfocate possano sparire. È giusto; non vuoi dimenticarlo. Ma non è propriamente un pezzo di te, è più un tuo alter ego. E merita di restare nel passato, di avere la sua eredità rispettata.>

<Quale eredità dovrei avere da lui? No, intendevo- quale eredità lascerò al futuro?> domandó il posseduto, evitando il suo sguardo dopo il suo lapsus.
Carmela trattenne la sua gioia, ci stava riuscendo!, lei, pessima con le parole!, e rispose con il più tenero dei suoi sorrisi: <Tu, Vincenzo.>

•~-~•

Ma non ci fu bisogno di nessuna edizione straordinaria di "Italia's Got Talent", perché si udirono dei passi in lontananza.
Tanti passi.
Troppi passi.

<E che è, un esercito?!> si lamentò Giorgio, ma già pronto a fare danni con il suo mazzo.
<Non c'è nulla da temere!> fece lo spavaldo Gilbert, cercando di mettersi in modo poco velato davanti al veneto.

Questi lo guardò storto, lo scostò e ribatté: <E chi cazzo ha paura? È che sarà una rottura di palle, Dio merda!>
<Potreste stare un po' zitti e nascondervi?!> sibilò Sofia, girandosi sui tacchi e dirigendosi verso un lato del duomo, nascosto se si proveniva dalla strada da cui si udiva quella simil-marcia.

Ludwig afferrò il fratello, lanciandogli un'occhiataccia, ponderando in un angolino del cervello se il fratello stesse cercando di diventare antipatico a tutti i parenti di Feli che avevano un'influenza su di lui.

Tutti nascosti come i personaggi dei cartoni animati dietro un muro, spiarono la scena.
Un piccolo esercito affluì nella piazza, capeggiati da Carlo.
La cosa strana era il vestiario della regione e del suo esercito: nessuna divisa, né protezione come giubbotti antiproiettile.

Sembrano tutti appena usciti da una riunione aziendale: tanti uomini e donne vestiti con un tre pezzi, con una semplice giacca e cravatta o con tailleur abbinato ad un tacco basso, tutti con una valigetta ventiquattr'ore appresso e un'arma sulla schiena, assicurata da una tracolla sul petto, l'unico elemento vagamente militare.

Iniziarono a girare, ancora tutti compatti, ancora con Carlo come guida, attorno al duomo. Si fermarono appena prima di poter osservare il consistente gruppo di spioni.
Ma la speranza, se albergava nei più allocchi del gruppo, morì in fretta.

Carlo si fermò, evocò la spada, la tenne lungo il fianco, si la si schiarì la gola e ordinò: <Uscite allo scoperto o non sarò così clemente. Il disordine non è accettato.>

<E sai invece cosa non accetto io? Quello che mi ordini tu!> rispose invece a tono Rosa, uscendo allo scoperto. E iniziò a scalare il duomo usando le sue falci come le piccozze.

Carlo ordinò: <Gruppo 1; fermatela, prima che distrugga la Madonnina! Gli altri con me!> e poi si voltò verso le nazioni e le regioni ancora per terra.

<Concordo con quella la!> commentò entusiasta Giorgio, estraendo una delle sue carte personalizzate preferite. Lanciò la carta e urlò: <Piazza San Pietro!>

Essa esplose a mezz'aria e da essa fuoriuscirono una multitudine di piccioni che si avventò su Carlo e il suo esercito, tubando e becchettando.

<È la cosa più assurda che abbia mai visto e ne ho viste. A quanto pare riesci a superare per stranezze lo stesso Feliciano.> decretò Kiku, a metà tra l'orrore e la meraviglia.

<Non dovremmo tipo bloccare Carlo sul serio e provare a farlo ragionare?> suggerì Anna.
<È inutile ragionare con lui da "normale", figurati ora! Forse con una merda o due di piccione addosso sarà più disponibile~.> se la sghignazzò Giovanna.

Purtroppo la sua gioia sadica fu stroncata, perché i piccioni perirono in una esplosione di piume e strilli, tutti tagliati quasi contemporaneamente da una luce scarlatta.

Ivan creò uno scudo di ghiaccio che venne spezzato dalla lama di Carlo, ancora tinta di rosso.
<Non puoi imbrogliare il padrone di questa strategia.> rispose il russo al volto per un attimo confuso (ma pure frustrato) del lombardo.

<In un modo o nell'altro vi ucciderò. Siete solo delle variabili incontrollabili e indesiderate!> sibilò Carlo, arretrando di lunghi passi, tornando vicino alle sue truppe.

<Mi mancava come insulto... doveva essere un insulto, giusto?> domandó Antonio.





N/A: forse qualcosa Carmela è riuscita a ficcare nella testa di Vincenzo (forse :3) e finalmente entra in scena Carlo.

Non so perché, ma mi faceva ridere immaginare Carlo che guida un esercito di stereotipi milanesi "giacca e cravatta-taaaac-figa-qua si fattura" e quindi è ciò che ho fatto.

Spero vi sia piaciuto il capitolo!

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