Capitolo 68. Dio Bestia, scelgo te!

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N/A: GIURO CHE LA BESTEMMIA HA SENSO. ED ERA IL TITOLO PIÙ SIMPATICO CHE POTESSI TROVARE!

Vi lascio immaginare chi lo ha detto.

Dopo una breve spiegazione della sua idea geniale (a detta di Giuseppe), Mario fu il primo a convenire che fosse una bella idea per davvero.

Anche Sofia dovette arrendersi all'evidenza e domandò: <Ti serve una distrazione e un modo per avvicinarti. Che facciamo?>

<Basta che fate casino, un modo per arrampicarmi lo trovo!> assicurò Giuseppe, anche se non aveva idea.
<E come fai, non hai delle armi appuntite come le mie!> notò Rosa, agitando le falci. Subito dopo si sporse e tranciò le gambe ad un fantoccio-nemico che si era avvicinato troppo.

<Aspetta, forse posso aiutare.> commentò Giorgio, aprendo la taschina di pelle contenente le carte che gli pendeva dal fianco. Fece scorrere il dito sul bordo delle carte qualche secondo, come se potesse individuarla al tatto, e poi tirò fuori una carta ben precisa.

Sopra vi era dipinto un maiale volante in un bellissimo e azzurro cielo limpido, con sopra un'aureola.
<L'ho creata io, si chiama "Dio Bestia". Se usata dritta, rende te o un altro un animale a tua scelta. Se la usi su di te, riesci anche a decidere quando smettere con la magia. Usala dritta vicina alla torre, ti basta dire il suo nome e appiccicartela al petto. Pensa ad un animale, esistente, furbo.> spiegò il veneto, lanciando con precisione la carta nella direzione del meridionale.

Il campano la afferrò e annuì, determinato.
<Adoro il nome della carta.> ridacchiò Francesca, per aggiungere <Sofia, puoi fare qualcosa che ci permetta di uscire senza diventare un groviera?>

Sofia si accovacciò totalmente dietro il suo rifugio, concentrandosi intensamente e ricaricando un po' delle energie.
Mosse delicatamente le mani e tutti vennero avvolti da una flebile aura violacea.

<Eviterà ai proietti di ferirvi, ma non per troppi colpi né per troppo tempo. Dobbiamo risolvere la questione in fretta.> dichiarò Sofia.

<Con piacere!> esclamò Rosa con un ghigno poco rassicurante in volto. Si mise in piedi, saltò oltre la propria difesa e, con un sorriso maniacale, iniziò a tagliuzzare a destra e a manca ridacchiando tra sé e sé.

Anche Mario partì alla carica, evocando la sua lupacchiotta, ma non prima di aver dato una pacca incoraggiante al meridionale. In fretta furono tutti di nuovo allo scoperto e Giuseppe si fiondò verso la torre da cui Giovanna sparava, chiaramente indispettita che i suoi colpi non andassero a segno.

Giuseppe si premette la carta al petto, sussurrandone il nome, e concentrandosi su un animale comodo per arrivare fin lassù. Chissà perché, gli venne in mente solo un gabbiano.

Confuso e stupido del nuovo corpo (ben più piccolo), sbattè le ali tentativamente. Fiducioso di riuscire a volare, prese la rincorsa e saltò, sbattendo le ali come un forsennato, librandosi in cielo.

Per un attimo l'euforia lo investì, poi si ricordò il perché fosse diventato un gabbiano. Superò la torre di terra e girò in cerchio, cercando il momento adatto per attaccare.

Quando Giovanna si dovette interrompere per ricaricare, scese in picchiata e si fiondò sul suo fucile, ritrasformandosi.
Con molto più peso, fece cadere la siciliana in avanti, che fu costretta a lasciare il fucile per non ferirsi la faccia. Giuseppe ne approfittò per stringere il fucile al petto, per poi sedercisi sopra, ed esordire: <Mamma!>

Giovanna lo fissò furente, in ginocchio, sibilando: <Se fossi davvero Campania, non avresti fatto una cosa del genere a tua madre.>

<E invece sì, perché stai dando i numeri e devo aiutarti a tornare normale!> ribatté il campano, usando la sua mazza chiodata per tenere l'altra lontana la giusta distanza.

<E ti posso dimostrare che sono Campania, guarda!> ribatté Giuseppe, tirando su la manica del braccio occupato, mostrando il loro tatuaggio.

Una corda che partiva dalla spalla e arrivava al polso. Giovanna fissò il tatuaggio con spavento, come se riconoscerlo fosse un grande orrore.

Il campano spiegò: <L'abbiamo fatto nel periodo in cui tu pensi di essere ora, durante il Regno delle Due Sicilie, ricordi? Ci abbiamo messo tipo uno o due decenni a convincere a Lovino a farlo con noi, dopo aver pensato per almeno mezzo secolo che fare.>

Giovanna si strinse il braccio sinistro, coperto dalla camicia, con forza. Non voleva guardare, perché sapeva che sarebbe stato lì.
Un barlume di lucidità le passò per il volto e questo spinse il meridionale a proseguire con il discorso.

<Alla fine abbiamo scelto la corda per noi cinque sul braccio e un timone con cinque corde per Lovino sul petto, anche se lo tiene nascosto. Ti ricordi perché abbiamo scelto le corde?>

<Zitto! Zitto!> sibilò Giovanna, ancora in ginocchio, accovacciandosi. La manica della camicia si tinse di piccoli laghi tra il rosso e il rosa.
<Non è vero!> aggiunse la donna, allargando le macchie delle ferite, gli occhi lucidi.

<E allora perché non scopri il braccio? Perché piuttosto ti fai male?> inquisì il campano.
<Perché di sicuro l'hai fatto apparire tu con qualche trucchetto, perché vuoi ingannarmi come tutti gli altri!> si giustificò la siciliana.

Giuseppe lasciò che il commento gli scorresse addosso e riprese il precedente filo del discorso: <Abbiamo scelto la corda perché è la corda che usavano i marinai. Spessa e forte, che tiene insieme fino alla fine. Volevamo esserlo anche noi; forti e insieme fino alla fine, legando con gli altri una parte importante di noi, un braccio. Una corda che si sarebbe potuta sfilacciare ma che non si sarebbe rotta perché avevamo affrontato così tanto insieme, rimanendo uniti, e avremmo affrontato tutto nello stesso modo, insieme. Ricordare sempre, anche da soli e nella merda, che abbiamo l'un l'altro come costante.>

Giovanna non resse più. Tolse le unghie dal braccio coperto, lo tirò su e fissò il tatuaggio decorato da qualche ferita zampillante rosso. Si strinse al petto il braccio, piangendo, rannicchiandosi su se stessa.

<Non voglio perdervi. Ma non voglio perdere la mia libertà.> singhiozzò la donna.
<E non la perderai, perché siamo uniti e vogliamo solo il meglio per l'altro.> sussurrò Giuseppe, sporgendosi, lasciando il fucile scoperto.

La siciliana fece scattare la testa all'insù, fissando il fratello con occhi spiritati.

•~-~•

Carmela cadde a terra di faccia prima che Michele la raggiungesse. Dalla sua schiena emerse una figura piccola, smilza ma con le dita lunghissime, le mani pronte a ghermire qualcosa o qualcuno.

Michele non ci pensò su tanto e colpì la figura con il martello, battendola in là come una palla da baseball. Tornò subito alle calcagna della figura oleosa e la schiacciò a terra, rendendola una sottiletta.

Una volta rialzato il martello, la creatura svaní in un fumo acre, pungente per gli occhi.

Il silenzio venne interrotto da Maurizio, che domandò: <Abbiamo risolto la situazione con un litigio?>



N/A: ehhhh, chissà come, Maurizio, forse prima o poi lo si scoprirà.
Intanto dobbiamo riporre le nostre speranze nelle parole di Giuseppe... Aiut (scusa Beppe).

Spero vi sia piaciuto il capitolo, comunque <3!

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