Amare et bene velle - La condanna

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Un lampadario in legno intarsiato mi penzolava sulla testa come sospinto da un corrente impercepibile

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Un lampadario in legno intarsiato mi penzolava sulla testa come sospinto da un corrente impercepibile. Le pareti verde menta erano le mie sbarre e i pastori lì dipinti i miei carcerieri. L'unico oggetto che riusciva a darmi conforto era una poltrona vicino alla finestra che mi permetteva di stare comoda mentre contemplavo la libertà perduta. Mi raggomitolai contro lo schienale. I piedi scalzi sfregarono sul morbido velluto creandogli delle righe più chiare sul nero lucente.

Non avevo intenzione di fuggire, non credevo di essere una prigioniera, però ero lì da qualche giorno e nessuno oltre ad una piccola anemone di nome Nirvana, era venuto a farmi visita. Mi portava i pasti ed ero riuscita ad estorcerle solo qualche parola mentre poggiava le pietanze sul tavolo con le mani tremanti e la voce sottile. Sembrava un piccolo bocciolo delicato. I suoi capelli ruggine e le lentiggini sul viso di porcellana la facevano sembrare una bambola. Non era un anemone puro, ma nemmeno un kami, i suoi occhi erano scuri come gli abissi e quel dettaglio mi fece pensare che un tempo doveva essere stata un angelo.

Accarezzai i bordi del mio vestito di raso lilla e me lo tirai sulle gambe per coprirne anche i polpacci. Era tutto terribilmente strano.

Lasciai che i miei pensieri vagassero fino a lui, non riuscivo a non farlo nonostante tutto.

Cosa stava provando? Cosa aveva intenzione di fare? Cosa stava pensando ora? Una fitta al petto mi fece stringere con forza le dita attorno alle braccia. Affondai le unghie nella carne fino a quando il dolore reale non coprì quello dei ricordi. Perché doveva fare così male?

Nessuno di quelli che conoscevo abbastanza per imbastire una conversazione, anche sciocca, si era fatto vivo. Dove erano finiti tutti? Ania, Devril, Dakota, il piccolo Ramon, Belfagor e persino il Kami dai capelli rossi non si era fatto vivo. Né loro, né nessun altro.

Sentii bussare alla porta e mi sollevai. Ero agitata. Era lui?

-Ezechiele, posso entrare?

La voce giovane e squillante superò la superficie levigata della porta e fu come sentire un colpo sordo nella testa. Come se un oggetto fosse caduto e rotolato su un tappeto.

-Sì, Ramon, puoi.

Subito dopo la maniglia si abbassò e l'uscio si aprì. La sua testa bruna sbucò da dietro il legno scuro e pesante. Si fermò sotto la soglia aspettando un mio invito. Gli indicai la poltrona accanto alla finestra.

-Non sono solo, possono entrare tutti?

-Tutti chi? - interrogai e il mio respiro si fece corto; incrociai le braccia al petto. Non volevo mostrarmi debole.

-Lui non c'è.- Ania si fece spazio dietro la schiena dell'anemone di razza.

Ovviamente lui non c'era. Come avevo anche solo potuto dubitare del fatto che Lucifero sarebbe venuto a trovarmi?

-Siamo solo io e Devril.

Entrambi entrarono. Ania si accoccolò sul letto, mentre Devril si appoggiò alla parete alla sua sinistra a braccia conserte.

Dark plume "Gli angeli gemelli"Where stories live. Discover now