L'inferno ha tante facce

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Tornare a casa, dormire, fare il bucato e andare a lavoro, questa era la mia giornata tipo; lo era sempre stata eppure, ora, non mi sembrava più la stessa cosa

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Tornare a casa, dormire, fare il bucato e andare a lavoro, questa era la mia giornata tipo; lo era sempre stata eppure, ora, non mi sembrava più la stessa cosa. Dividere l'appartamento con un anemone o con un angelo non faceva differenza, entrambi non sporcavano, non mangiavano e non creavano disordine, ma c'era una cosa che facevano tremendamente bene, ed era farmi saltare i nervi.

-Cosa avrei fatto questa volta?- sbottai contro Dakota. Lei teneva il grembiule del locale nelle mani e mi guardava feroce.

-Avevo stirato la divisa e ora tu l'hai spiegazzata tutta! -mi gettò il capo dritto in faccia e io me lo stappai di dosso con stizza.

-Vattene da casa mia se non ti piace il modo in cui la gestisco!

Lei mi guardò furiosa e poi si precipitò nella stanza accanto; per un attimo pensai di averla azzittita per una volta, ma poi sentii degli strani rumori provenire dalla mia camera, come se un'enorme cerniera venisse aperta. Sgranai gli occhi in preda al panico. Avevo un terribile presentimento e quando arrivai sotto la soglia quasi mi sentii cedere.

-Ecco fatto, umana. Sei contenta?- Ghignò la perfida carceriera. -Mi hai costretta tu a farlo.

 Richiusi la mascella che era cascata giù da sola per lo scenario che mi si parava di fronte. I miei vestiti più belli giacevano a terra stracciati in due.

-Come hai potuto farlo?- Piagnucolai, inginocchiandomi sul pavimento e accarezzando i brandelli laceri. I miei piccoli gioielli, comprati col duro sacrificio e il sudore della fronte, rigorosamente in saldo, erano accatastati sul pavimento come stracci. 

-Te la sei cercata!- replicò lei col muso superiore arricciato che le donava un'aria terribilmente scocciata.

-Mesi e mesi di straordinari per potermi permettere quella roba e tu, orribile mostro, le hai fatte a metà!

La guardai affranta. Lei con indifferenza si lisciò la chioma scura e poi mi sorrise.

-Non ne valeva la pena. 

Mi sollevai come una furia dal pavimento e mi fiondai contro di lei con ancora metà della mia maglia preferita in mano. L'anemone mi scansò come se le fossi arrivata addosso a rallentatore e poi, sotto la porta, mi lanciò un'ultima occhiata di sufficienza.

-Se non ti muovi farai tardi.

Uscì dalla stanza, lasciandomi lì come una stupida, fra gli stracci del mio guardaroba primavera estate. Non ci potevo credere. Raccolsi rassegnata quello che restava dei miei vestiti e cercai invano di riunire i pezzi. 

Forse avrei potuto farli ricucire. 

Li riposi nell'armadio. Sentivo ancora la rabbia montarmi dentro, distruttrice e devastante come una tempesta estiva. Afferrai la divisa e mi diressi verso l'uscita, meditando durante tutto il tragitto per il mio posto di lavoro una vendetta. Forse ci avrei messo del tempo, ma quella femmina avrebbe pagato per quell'affronto.

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