Presente

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Forse avrei dovuto abituarmi a quel senso di stordimento che oramai potevo considerare perenne nelle mie giornate, nei miei risvegli. C'era un forte odore di marcio nell'aria, come se qualcosa fosse stato lasciato lì ad ammuffire da tempo.  Ero in una sala dai soffitti molto alti e retti da colonne. I capitelli di queste avevano delle statue. Girai su me stessa osservando meglio i particolari. Sembrava una chiesa, anzi la navata di una chiesa. Dietro le colonne c'era un muro fatto di tralci e rovi; era come se i rami nodosi di quelle piante fossero cresciuti senza controllo e avessero diviso quella lunga navata dalle altre. C'era una gradinata semicircolare ai miei piedi e su ogni gradino diverse corone di fiori. Mi guardai in giro spaesata. Erano sfioriti. Le punte dei petali erano secchi, marroni e le foglie accartocciate su se stesse. Dalla vetrata colorata alle mie spalle un bagliore entrò nella sala, illuminandola fino all'ultimo gradino. Sollevai gli occhi al cielo, lì dove delle travi tonde si congiungevano a formare un soffitto a cupola. Fu in quel momento che ebbi la certezza che ci fossero delle gallerie dietro quegli intrecci disordinati. Almeno due, forse più piccole. Avevo la sensazione di conoscere quel posto. 

Scesi i gradini lentamente. C'era qualcosa di diverso. Era troppo tranquillo. Nelle chiese lo era sempre ma in quel caso sembrava un edificio abbandonato.

Avanzai lungo quella che poteva essere una navata centrale. Avevo un brutto presentimento. L'intero edificio sembrava lasciato a se stesso, ogni singolo vaso conteneva fiori marci eppure la presenza di candele mi dava la certezza che ci fosse ancora qualcuno che entrasse lì a pregare; inalavo quel poco di ossigeno che era rimasto tenendo una mano sulla bocca e il naso. Quando ne ebbi percorsa più di metà mi fermai. Sentivo dei passi. Dei ticchettii leggeri, quasi impercettibili, ma veloci.
La porta alla fine della grande sala si aprì e finalmente quella brutta sensazione mi lasciò andare.

-Raffaele! -urlai. Non aveva una tunica azzurra e la sola presenza di una chiesa con architettura gotica era una prova del fatto che avessi superato almeno il millecento d.c. 

Lui mi guardò per un attimo e poi si voltò alle sue spalle. Entrò nella stanza come se cercasse di non fare rumore e accostò la porta prima di tornare a dedicarmi la sua attenzione.

-Che sta succedendo, io non capisco, dove sono?

Lui mi si avvicinò percorrendo la parte di navata che ci divideva a grandi falcate.

-Tu sai chi sono? - chiese.

Era come sottoporsi al getto ghiacciato delle acque di una cascata.

-Certo che so chi sei. State bene? Dove mi trovo? - balbettai confusa.

Non poteva non sapere chi fossi. Quello era il mio tempo. Lui doveva conoscermi.Ero nel mio presente. Dovevo essere nel mio presente.

-Bene, questo facilita il mio compito, Straniera. Sei nel Duomo di Milano o almeno ciò che ne è diventato. - sbuffò malinconico.

Straniera. Mi aveva chiamata straniera. Inoltre aveva detto che quello era il duomo, ma io c'ero stata più volte e quello assomigliava pochissimo all'immagine che ne avevo. Dove erano finite le cinque navate e i loro altari?

Lo guardai. Era diverso. Aveva i capelli più lunghi di quanto ricordassi, gli arrivavano oltre le spalle, inoltre aveva una cintura di cuoio da cui pendeva un fodero attaccata alla vita e un pugnale riposto all'interno. 

-Dobbiamo andare via da qui. Stanno arrivando. - mi indicò la via da seguire. Il suo passo veloce mi lasciava intuire che non avevamo molto tempo da perdere, quello che non sapevo era perché. Inoltre si comportava come se non mi conoscesse, non bene almeno. Non mi aveva chiamata per nome. Mi bloccai nel mezzo della navata. Puntando prima i fiori disegnati sul pavimento di marmo e poi lui e il suo viso contrariato.

Dark plume "Gli angeli gemelli"Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz