Prologo

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I miei pensieri tornano lì, a un pomeriggio come tanti altri

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I miei pensieri tornano lì, a un pomeriggio come tanti altri. Quell'uomo maledetto che sarebbe mio padre, se ne stava a poltrire sul divano a tracannare alcolici come se non ci fosse un domani. Sapevo anch'io che per lui, un domani non c'era davvero. Alternava i liquori alle sigarette, tossicchiando e ridendo sguaiatamente. Occhi annebbiati e vitrei come biglie, guardava un programma alla tv che lo divertiva parecchio, se ci avesse capito qualcosa, forse, sarebbe stato così. Io stavo buono, buono, nella mia stanzetta con uno spiraglio della porta aperta per tenere d'occhio ogni suo singolo spostamento. 

La mamma lo diceva sempre, «Chad ascoltami attentamente: Quando la mamma va a lavoro e non è in casa, tu devi stare lontano da tuo padre. Se lui ti chiama non rispondergli mai, se viene a cercarti non farti mai trovare da lui, nasconditi in un posto sicuro. Corri lontano da qui e da lui. Promettimi che lo farai.» Ed io promisi di farlo, a modo mio, ovviamente. 

Obbedivo sempre a ciò che mi diceva, perché era l'unica che mi volesse bene e si prendesse cura di me. Così, qualunque cosa mi dicesse mio padre, o, in qualsiasi momento mi cercasse, io non mi facevo mai trovare, o perlomeno ci provavo comunque a non finire in mezzo alla sua traiettoria. «Cazzo! Dov'è quella merda di telecomando! Quel piccolo stronzetto... Chad! Chad!» Sbraitava mentre cercava quell'aggeggio, ed io tremavo di terrore quando mi chiamava con la sua terribile voce impastata di alcol. 

Alzandosi, mise a soqquadro il piccolo salotto strattonando tutti i cuscini per poi gettarli a terra, e proprio in quel momento incappò su quel piccolo contenitore di mentine seppellito tra le fessure del sofà malconcio. Si rigirò la scatolina tra le mani e, assaggiandone una, dal gusto capì subito che quella non era semplicemente una mentina. Corse in bagno, gettando quella poca indefinibile anima che gli rimaneva in corpo. Lo sentii vomitare.

Corsi a perdifiato verso il mio riparo sicuro. Non la smettevo di tremare, rifugiato sotto al mio letto. Respiravo affannosamente, pregando e sperando che non mi trovasse. Nella mia mente scandivo il tempo che ci sarebbe voluto per far finire quel terribile pomeriggio.

«Maledetta puttana!» urlava al piano di sopra, tra un conato di vomito e l'altro.

"Mamma, ti prego, non tornare. Oggi, non tornare a casa."

 Stringevo così forte gli occhi dal desiderio che le arrivasse il mio messaggio, ma invano. Quella sera la mamma tornò da lavoro. Lui ebbe tutto il tempo di riprendersi, nonostante sembrasse molle nei movimenti. Si diresse al divano e aspettò che lei tornasse per vendicarsi. Le luci erano spente, persino la sua preziosa scatola elettronica lo era. Rigirava la bottiglia tra le mani rimestando il liquido ambrato rimasto sprecato sul fondo del vetro, quando sentì lo scatto della porta d'ingresso. "Karen" così chiamava mia madre, la donna che ebbe la sfortunata disgrazia d'incrociare il suo cammino e diventare sua moglie, entrò superando la soglia e se ne restò li, congelata vicino alla porta. Avevo una buona visuale con l'uscio mezzo socchiuso. 

✰03. Give Me Love ☆•A STARS TRILOGY•☆Where stories live. Discover now